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Quella mattina di gennaio
Cheddonna si era alzata presto e
aveva cominciato la lunga serie
di gesti rituali che compiva ogni
mattina: un attento e meticoloso
trucco e parrucco, la scelta degli
abiti e degli accessori da indos-
sare una veloce scorsa agli ap-
puntamenti della giornata e il
TG davanti a una tazza di caffè
bollente.
“Ancora bombe su Gaza! Ma
finirà mai questa guerra?” pen-
sava tra sé. “Bisogna agire, fare
qualcosa … è un dovere mora-
le!”
Intanto i rumori della casa
cominciavano a udirsi distinta-
mente: al piano di sotto Laluisa
alzava le tapparelle per svegliare
i bambini.
“Cheppalle, quella! Ma deve
proprio alzarle così presto quella
stramaledette tapparelle?”.
Dalla stanza in fondo al
corridoio si era alzata, ancora
insonnolita, ma ugualmente im-
periosa, la voce del Ilprincipe, il
figlio di Cheddonna.
“Maaammaaa! Ho fameeee… è
pronta la colazioneeee?”
“Siii Tesoro. Arrivo
subito!”
“Ci sono i cerali al
triplo cacaoooo?”
“No, ciccio, sono fini-
ti …”
“Coosa?? Ma io li
vogliooo”.
“Sii, caro, vado subito
a comprarli al negozio
qui sotto”.
A Cheddonna
non piaceva essere
interrotta quando era
immersa nei suoi pensieri e in
questo momento stava rifletten-
do su cose grosse come la pace
nel mondo e simili, ma se Ilprin-
cipe voleva i cerali per colazio-
ne il suo cuore di mamma non
poteva rimanere sordo a quel
richiamo.
Infilando un pesante piu-
mino viola (il colore più trendy
della stagione) e senza rinuncia-
re agli stivali coi tacchi alti, si
accinse a uscire di casa, sfidan-
do i meno tre gradi del primo
mattino.
“Ma Miomarito dov’è? Potrei
mandare lui! No, sbaglierebbe di
sicuro la marca dei cereali. Devo
andare, è un dovere morale!”
E chiudendo la porta blin-
data appena un po’ troppo rumo-
rosamente si mise in attesa da-
vanti all’ascensore:
“Maledizione! E’ occupato! Mai
una volta che Lastregadisopra
faccia un po’ di movimento, con
tutta quella ciccia. E va bene,
farò le scale.” E sfoggiando la
più nera delle sue espressioni di
repertorio, scese le scale con la
grazie di un grosso quadrumane.
Al negozio, dopo aver
ghermito l’ultima confezione di
cereali verso la quale una vec-
chietta esitante stava allungando
una mano, si accorse di essere
molto in ritardo sulla tabella di
marcia.
“Quant’è?” chiese alla commes-
sa in tono sbrigativo.
“Scusi, signora, c’ero
prima io in fila!” la
apostrofò un signore
col berretto di lana
ben calcato in testa.
“Non so di cosa parla!
Non ho visto nessuna
fila, e comunque ho
fretta, io!”E senza più
badare alle rimostran-
ze del risentito cliente,
pagò e uscì di corsa
dal negozio, diretta a
casa.
“Ecco, tesoro! I tuoi cereali al
triplo cioccolato!” cinguettò
Cheddonna.
“Non li voglio più. Ho mangiato
la fetta al latte, il succo e tre
kinder”.
“Oh, stella,! Ma ti basta? Sei
sicuro di aver mangiato a suffi-
cienza? Avrai assunto abbastan-
za calcio?”. Ma Ilprincipe era
già corso ad accendere la TV, e
non la sentiva più.
Miomarito, con l’accappa-
toio ancora addosso, si affacciò
timidamente alla porta della cu-
cina.
“Ciao cara, stai uscendo?” sba-
digliò.
“Veramente sono appena rientra-
ta, ma ora devo sbrigarmi, se
voglio arrivare in tempo!Sai,
Lafulvia mi sta già aspettando e
non possiamo far tardi…”
“Certo, certo” considerò Mioma-
rito con aria comprensiva.”E’
per una buona causa!”e tornò a
rifugiarsi negli anfratti della ca-
bina armadio matrimoniale.
Cheddonna era davvero in
ritardo.
Lafulvia, kefiah d’ordi-
nanza, clarks dei tempi del liceo
e eskimo verde (che porta ad-
dosso suo fratello ancora!), la
stava aspettando impaziente sot-
to casa.
“La manifestazione per la pace
comincia fra un quarto d’ora!”
disse. “Sei pronta?”.
“Tranquilla, giusto il tempo di
fare un’ultima commissione!” e
arrancando pericolosamente sul-
le lastre di ghiaccio, ricordo del-
la recente nevicata, e maledicen-
do tra sé la negligenza dei net-
turbini, Cheddonna si avviò
trionfante alla porta della lavan-
deria vicina a casa.
“Allora? E’ pronta la mia
bandiera arcobaleno?”
C
HIARA
LE AVVENTURE DI CHEDDONNA
CHEDDONNA E L’ARCOBALENO