Pagina 4 - Il Tassello

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L’Avvento veste viola
Q
uali sono i colori dell’Avvento? Il
rosso
del fuo-
co del giorno in cui il Signore viene a giudicare:
“Ognuno osserva sgomento il suo vicino: i loro
volti sono volti di fiamma. Ecco, il giorno del Signore
arriva implacabile” (Isaia 13,8-9). Oppure il
giallo
ab-
bagliante del deserto di Giuda, dove Giovanni il Battista
invita alla conversione e annuncia Colui che deve venire
(Mc 1,4).
O ancora il
porpora
delle “vesti sontuose” di colo-
ro che stanno nei palazzi dei re, mentre il profeta Gio-
vanni veste con peli di cammello (Lc 7,25). Ma anche
il
verde
degli ulivi che fanno da cornice all’ingresso
gioioso di Gesù nella città santa di Gerusalemme (Lc
19,37). O l’
azzurro
dell’acqua del Giordano, dove
Giovanni battezza, dando testimonianza di essere solo
l’amico dello Sposo atteso dall’umanità (Gv 3,23.29).
O forse piuttosto non un colore, ma il
bianco e nero
della scena dell’Annunciazione a Maria, la penombra
della casa di Nazareth rischiarata dalla luce dell’angelo
e dal sì di Maria che apre la strada alla Luce delle genti
(Lc 1,26-38).
Viene allora da chiedersi come mai la liturgia, che
nel percorso delle domeniche d’Avvento dell’anno C
ci fa passare in rassegna questi colori (e molti altri che
l’immaginazione credente identifica nelle scene bibli-
che), utilizzi in questo tempo il colore viola, anzi, più
precisamente “
morello
”. Sicuramente il tempo d’Av-
vento ha nel rito ambrosiano un forte carattere peniten-
ziale, tant’è vero che è anche chiamato “Quaresima di S.
Martino” (perché comincia nella prima domenica suc-
cessiva all’11 novembre, festa del vescovo Martino di
Tours) e della Quaresima ha la stessa durata, al contrario
di quanto avviene nel rito romano. A me piace intende-
re questo carattere penitenziale non solo come impegno
ascetico che prepara l’accoglienza del Figlio fatto car-
ne in mezzo a noi, perché
veramente in un cuore
spoglio di tanti affanni e
attaccamenti inutili il Dio
che viene trovi una abita-
zione più confortevole.
Mi affascina soprat-
tutto l’idea che l’attesa di
Dio aiuti a sperimentare
il disagio della sua as-
senza e quindi il bisogno
che abbiamo di lui. Non
quindi solo uno sforzo
per preparare una degna
dimora a Gesù che nasce,
ma soprattutto il ricono-
scimento che la luce della
nostra esistenza è deter-
minata dalla realtà della
I colori dell’Avvento
sua presenza: la liturgia della Chiesa lo dice con il
bianco
del tempo di Natale.
Ma mi sia permesso di aggiungere un significato che,
detto in tutta sincerità, non ha proprio nulla a che vedere
con la storia del colore liturgico dell’Avvento, e però mi
pare, come si ama dire spesso, “intrigante”. Prima di avere
una qualche idea di cosa fosse la liturgia della Chiesa e
ancora meno di cosa fosse la liturgia ambrosiana, per me
la parola “morello” aveva fin da piccolo un solo e pre-
ciso significato. Si tratta dell’uso conosciuto dal dialetto
brianzolo, e credo lombardo in generale, di indicare con
questo termine la piccola tumefazione che si forma sul-
la pelle dopo l’urto per una caduta o altri piccoli traumi
così frequenti nella vivace esperienza dei bambini. Ecco,
quel segno color violetto che compare quando già il trau-
ma è “in via di guarigione” (così la mamma rassicurava il
bambino preoccupato di quel colore così strano) si chiama
appunto “morello”.
Allora, perché non pensare che il colore liturgico
dell’Avvento indichi la necessità che l’incontro con il Si-
gnore che viene, perché sia vero, “lasci un segno” nella
nostra “carne”, cioè nella concretezza della nostra esisten-
za? Un po’ come avvenne a Giacobbe che lottò con Dio
al fiume Iabbok (Gen 32,23-33) e ne uscì vittorioso ma
zoppicante, per il colpo ricevuto all’articolazione del fe-
more. Se l’incontro con Gesù che nasce non lascia in noi
questo segno visibile, allora il Natale sarà solo l’ennesima
variante del panettone di stagione e speranza che “dilegua
come il ricordo dell’ospite di un solo giorno” (Sapienza
5,14).
Don Giuseppe