Parrocchia S. Maria regina

 

PARROCCHIA
S. MARIA REGINA
Via Favana - Busto Arsizio
Telefono 0331-631690

 

 
Bosnia, la Svizzera dei Balcani

 
DI PIERO DEL GIUDICE(Avvenire)

È la «jugonostalgia». Non nostalgia del socialismo reale, ma sguardo rivolto al passato, ripulsa del presente. È disorientamento, spaesamento dentro quello che fu un grande paese mentre la sua frammentazione continua. Si divide e autonomizza il Kosovo dalla Serbia, si fronteggiano sui nuovi confini con nuove bandiere sloveni e croati, si affrontano in armi le correnti albanesi in Macedonia, è divisa in due - forse tre - entità la repubblica di Bosnia Erzegovina. Il poeta e sceneggiatore Abdulah Sidran, bosniaco-musulmano, padre spirituale della repubblica, ha scritto alcune poesie e testi sulla «Jugonostalgia» e dice: «Continuo a pensare che quel sentimento collettivo fosse positivo, a differenza di questo altro sentimento - etnico, comunitario.
Sognavamo noi scrittori la letteratura mondiale. Sognavo io l’umanità come Uno, tutti noi sul pianeta siamo Uno, e anche gli animali assieme a noi, e anche la roccia, la terra è tutto Uno. Dio è Uno, non può essere diverso».
Miljenko Jergovic, croato­bosniaco, autore di Marlboro Sarajevo - il libro delle short stories dell’assedio della capitale - dice: «…La mia croaticità è bosniaca. Io rifiutavo l’odio perché era contro di me, perché nonostante io sia croato, minacciava il serbo ed il bosniaco musulmano che è in me. Se scegliamo di non odiare, siamo costretti a confrontarci con gli altri e l’altro diventa necessariamente parte della nostra identità» ma per Jergovic ormai «la mia identità è oggi in gran parte composta da ciò che non sono…gli inni e le frontiere delle nazioni ci sfuggono in continuazione. Ci rimane il pentimento, un rimorso lungo e doloroso, perché uno del nostro sangue ha vissuto ed è morto come nemico, e quindi anche noi siamo un po’ nemici dentro». Don Franjo Topic - il grande mediatore tra religioni e chiese, il tessitore dell’unità dei musulmani e croati durante la guerra - è sacerdote della diocesi di Sarajevo con due incarichi. Ha la cattedra di teologia fondamentale e storia delle religioni con corso speciale sull’Islam al seminario della città ed è presidente della ramificata e potente associazione laica «Napredak» (progresso). «Fondata nel 1902 - in quell’epoca l’idea modernista di progresso era molto popolare - da sacerdoti di Sarajevo che volevano dare una istruzione ai giovani. Tra le decine di migliaia di giovani che Napredak ha ospitato nelle sue case dello studente e formato, ci sono anche due premi Nobel. Ivo Andric per la letteratura nel 1961 e Vladimir Prelok nel 1975 per la chimica…».
La repubblica di Bosnia Erzegovina come va? Quali i compiti della Chiesa in questa situazione?
«Qui la politica influenza le religioni - non solo i fedeli ma anche i sacerdoti. Le chiese perdono la loro universalità e molti seguono la propria nazione. Ma c’è più ecumenismo di quanto si potrebbe pensare. Noi siamo l’ultima chiesa cattolica bene organizzata ad oriente, da qui la nostra speciale importanza, la nostra funzione cruciale di chiesa dialogante. La corruzione dilaga, la povertà si diffonde ma, dicono: «la mia etnia, il mio popolo sono minacciati». C’è una vera e propria xenofobia. Le comunità si riducono, la domanda di potere è sempre più locale, da usare sul posto. L’universalismo della Chiesa deve portare ossigeno a questa riduzione brutale».
Formalmente questo è uno Stato unico. Chi lo minaccia?
«Ma basta leggere le dichiarazioni di Milorad Dodik, il premier della Repubblica Srbska (RS):«È ora che Sarajevo accetti il fatto che la RS esiste e in base a ciò veda in che modo creare la BiH...tutti in BiH devono accettare che la RS è una realtà…' e così via. Dodik chiede una federazione e poi un referendum per autodeterminarsi».
E i croati?
«Un quarto dei croati di questo paese vive tra Mostar e Medjugorije e lì ci sono forti pulsioni secessioniste. Gli altri, a cominciare da quelli di Sarajevo, sono unitari».
Serbi con la Serbia, croati alla Croazia?
«La Croazia non è interessata e la Serbia ha ben altro a cui pensare.
Figurarsi se pensano alla poDrinja
(le comunità serbo bosniache lungo la Drina) quando non hanno avuto il tempo di pensare al Kosovo! È una situazione provinciale, chiusa».
Tanto pessimismo adesso che lo Stato ha un esercito unico!
«Ma quello che conta non è l’esercito, è la polizia che è importante. L’esercito è solo un peso, è la polizia che controlla conti e affari, e la polizia rimane divisa. In pace che cosa è importante? La polizia. E quella non la unificano».
Quale futuro per questa Bosnia?
«Ci vuole l’integrazione europea, è lì che vanno sciolti i nodi. Fate subito una grande UE!».
Quale modello?
«La Svizzera. I Cantoni che includano in qualche modo la dimensione etnica. Qui la democrazia normale non può funzionare.
Siamo uno stato multietnico come la Svizzera. Municipi, Cantoni e uno Stato che abbia cura di tutto il paese. Non si può sfuggire alle comunità etniche, la guerra era tutta etnica. Il comunismo parlava e insegnava nelle scuole che la questione etnica era risolta, invece no. Proprio a Sarajevo il ponte «Fratellanza e Unità» ha segnato la divisione della città nell’assedio».
Il sacerdote cattolico, tessitore dell’unità dei musulmani e dei croati durante la guerra, auspica inoltre un repentino ingresso nell’Unione Europea

 

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