PARROCCHIA
S. MARIA REGINA
Via Favana - Busto Arsizio
Telefono 0331-631690

 


Anno 2008/2009
Numero 8 - giugno 2009

SOMMARIO

SCARICA IL NUMERO
IN FORMATO PDF

INSERISCI LA TUA EMAIL
NELLA CASELLA SOTTOSTANTE E
RICEVERAI IL TASSELLO
DIRETTAMENTE NELLA TUA MAILBOX

Il bello della Bibbia

Forse qualcuno ricorderà la rubrica tenuta da don Gianfranco Ravasi su "Famiglia Cristiana" intitolata "Il bello della Bibbia". Ma c’è il "bello" nella Bibbia? A dir la verità, per restare al Nuovo Testamento, non pare si parli molto di bellezza, almeno se consideriamo la versione italiana. I passi in cui ricorre il termine sono però significativi.

Il più importante è nell’episodio della Trasfigurazione di Gesù, che possiamo leggere nelle tre versioni dei Sinottici: Mt 17,1-8; Mc 9,2-8 e Lc 9,28-36. Prendiamo il brano di Marco; al v. 5 leggiamo le parole di Pietro davanti allo "spettacolo" della trasfigurazione: «Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende…». Bello, dunque, è stare con il Signore, bella è l’amicizia con lui, bella è la "gloria" di Gesù che si rivela anticipatamente ai tre discepoli privilegiati, bello senza fine è il futuro che ci attende al termine della nostra sequela di Gesù, che dovrà passare per la croce.

Nelle Lodi di Dio altissimo, Francesco d’Assisi invoca Dio dicendo: "Tu sei bellezza", e prima di lui sant’Agostino aveva sospirato, davanti al Dio finalmente trovato dopo tanta ricerca: «Tardi ti ho amato, bellezza tanto antica e tanto nuova». Ci si può innamorare della bellezza di Dio, e non dobbiamo aver vergogna di ammetterlo a noi stessi.

Nel cap. 10 del vangelo di Giovanni, Gesù parla di sé come del "buon pastore". Qualcuno ricorderà che il testo originale greco in realtà suonerebbe: "il bel pastore": «Io sono il pastore bello. Il bel pastore offre la vita per le pecore» (Gv 10,11). «La bellezza del pastore – commentava il cardinale Martini nella Lettera pastorale per l’anno 1999-2000 Quale bellezza salverà il mondo? – sta nell’amore con cui consegna se stesso alla morte per ciascuna delle sue pecore […] Questo significa che l’esperienza della sua bellezza si fa lasciandosi amare da Lui». Al termine del suo capolavoro, la Regola pastorale destinata a istruire i vescovi e i responsabili delle chiese cristiane, il papa Gregorio Magno, verso la fine del VI sec., scrive: «Ecco…tutto attento a mostrare quale debba essere il Pastore, ho dipinto un uomo bello, io cattivo pittore, che, ancora sbattuto dai flutti dei peccati, pretendo di guidare gli altri al lido della perfezione». L’esercizio quotidiano della responsabilità pastorale rivela a Gregorio l’ampiezza dei suoi limiti, eppure quello che egli ha tracciato è il ritratto di un pastore "riuscito", invidiabile, di un "uomo bello", sebbene (o proprio perché) sbattuto dalle onde della vita.

Bello è Dio, ma bello è anche l’uomo di Dio, il credente che si lascia plasmare dallo Spirito santo. La tradizione spirituale dell’Oriente cristiano insiste molto sul fatto che "lo Spirito si vede": è l’idea che anche il credente viene "trasfigurato", in quanto è reso "uomo spirituale", abitato dallo Spirito di Gesù e quindi "cristificato". Questa tradizione descrive allora la luminosità del volto dei santi, l’armonia esteriore del corpo e dei suoi gesti. Non diciamo anche noi, talvolta, che si vede sul volto, negli atteggiamenti, nelle espressioni esteriori di una persona la pace che porta nel cuore, l’armonia interiore, così che si dice che questa è proprio una "bella persona"?

A questo proposito, molti santi ci testimoniano la bellezza dei gesti della carità. A cominciare dal Santo per eccellenza che è Gesù: provate a rileggere la straordinaria pagina di Gv 13, quasi una scena cinematografica ripresa istante per istante nella calma e nella solennità dei movimenti, descritti con cura uno per uno: alzarsi, deporre le vesti, prendere l’asciugatoio, cingerselo attorno alla vita, versare l’acqua nel catino, lavare i piedi dei discepoli, asciugarli. Oppure si può rileggere il racconto, in verità un po’ romanzato, quasi un concentrato di un’esperienza autentica ma più ampia e distesa nel tempo, dell’incontro di san Francesco con i lebbrosi: la ripugnanza iniziale, poi lo smontare da cavallo, l’offrire un denaro, baciare la mano del lebbroso, ricevere in cambio un "bacio di pace", risalire a cavallo e proseguire il cammino. Ma da quel giorno «ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo».

La bellezza dei gesti dell’amore si riflette, quasi penetra nel gusto dell’esperienza interiore.

Don Giuseppe

Sito ottimizzato per Internet Explorer 4+ 1024x768
Redazione Web: don Sergio, Achille, Dario

Gli accessi al sito