Un giogo che libera il cuore
02 Luglio 2005 Anno A

 Matteo 11, 25-30
Riferimenti : Zaccaria 9,9-10; Salmo 144; Romani 8, 9. 11-13

In quel tempo Gesù disse: "Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perchè hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. [...] Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime [...]".

Venite a me, affaticati e oppressi: il verbo venire indica la sequela ed esprime un invito pressante e gioioso. E' anche un invito a rompere con tutti gli altri maestri per affidarsi al solo vero Maestro. "Affaticati e oppressi": il primo termine evoca l'immagine di un uomo che lavora duro; il secondo l'uomo che cammina curvo, schiacciato sotto un carico troppo pesante. Ma quale fatica? Quale carico? Qualche autore ha pensato semplicemente alla fatica di vivere. Gesù si rivolgerebbe a tutti coloro che conducono una vita difficile e penosa. Ma la maggioranza degli interpreti pensa invece che Gesù si sia rivolto alla gente del popolo che penava sotto il peso del legalismo giudaico. "Mite e umile" sono due termini che Gesù applica a se stesso. E giustamente, perché indicano il suo atteggiamento verso Dio e verso gli uomini. Verso Dio un atteggiamento di confidenza, obbedienza e docilità. Verso gli uomini un atteggiamento di accoglienza, pazienza, discrezione, disponibilità e perdono, addirittura il servizio. E anche l'aggiunta "di cuore" non è senza importanza. Indica che le disposizioni di Gesù - verso il Padre e verso i fratelli - si radicano nella sua interiorità e coinvolgono tutta la sua Persona. "Portare il giogo" era un'espressione corrente. L'immagine suggerisce che l'uomo tutto intero deve impegnarsi nell'obbedienza al Signore, come uno schiavo è tutto impegnato nel suo lavoro. Gesù può dire "il mio giogo", perché l'ha portato personalmente per primo, a differenza dei falsi maestri che invece lo impongono agli altri senza personalmente muovere un dito. Ma se Gesù dice il mio giogo, è anche per un motivo più profondo. Si parlava del giogo del regno dei cieli, della legge, dei comandamenti. Gesù dice semplicemente il mio giogo. Prendere il giogo di Gesù non significa prendere su di sè una serie di precetti, ma subisce il fascino di una persona. Anche le esigenze di Gesù sono radicali e impegnative: come può allora dire che il suo giogo è "leggero"? Almeno per tre motivi. Gesù non ha abolito la legge, però l'ha ricondotta al suo centro, cioè alla carità, liberandola da tutta una precettistica complicata: un centro chiaro, lineare e ricco di movimenti. La legge di Gesù è impegnativa, ma è semplice. E poi un secondo motivo: Gesù non fa precedere la legge, ma la grazia, la gioia della notizia del Regno. E' questa la novità di Gesù: prima lo stupore del Regno, e dopo, solo dopo - dunque come gioiosa risposta -, la legge morale. E infine una terza ragione: il giogo di Gesù è leggero perché Egli non è un maestro che insegna e poi abbandona a se stesso il proprio discepolo.