Se l’invitato non ha la veste nuziale
08 Ottobre 2005 Anno A

 Matteo 22,1-14
Riferimenti : Isaia 25,6-10a; Salmo 22; Filippesi 4,12-14.19-20



In quel tempo, Gesù [...] disse: «Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. [...] Allora il re si indignò e [...] disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. [...] Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l’abito nuziale, gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz’abito nuziale? Ed egli ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

Nella prima lettura della Messa il profeta Isaia (25,6-10) sogna un grande raduno di tutti i popoli. L’immagine è quella del banchetto: «Un convito di carni grasse e di vini pregiati». La nota più sottolineata è l’universalità: «per tutti i popoli». Non più l’oppressione e l’arroganza, ma la pace e la libertà: «Il canto dei tiranni si affievolisce».
Questa grandiosa speranza del profeta non poggia sull’uomo, ma unicamente su Dio. È la solidità della sua Parola («una roccia perpetua»: 26,4) che autorizza a sperare anche in tempi di disperazione. E queste pagine furono infatti scritte in tempo di disperazione.
Secondo diversi commentatori Gesù avrebbe raccontato la parabola del banchetto per spiegare come mai la sua predicazione veniva rifiutata dai praticanti e veniva invece accolta dai pubblicani e dai peccatori. Matteo poi, a sua volta, avrebbe ripreso la parabola per spiegare il fatto che il Regno è passato dai giudei ai gentili: voi avete rifiutato, così la salvezza è passata ai pagani. È il solito paradosso: il popolo di Dio rifiuta il Messia e il suo Vangelo, mentre gli altri, i lontani, lo cercano e lo accolgono. Questo paradosso racchiude (ed è così che noi oggi lo dobbiamo leggere) un severo e pressante avvertimento per noi cristiani: l’appartenenza alla Chiesa non ci pone al sicuro. Può accadere anche oggi che i vicini rifiutino Cristo e i lontani lo cerchino.
Se però leggiamo la parabola accanto al passo di Isaia (prima lettura) allora lo spunto da sottolineare è l’universalità.
I servi invitano al banchetto tutti gli uomini, buoni e cattivi, che incontrano ai crocicchi delle strade. L’appello è rivolto a tutti e la sala deve essere, comunque, riempita. Il corrispettivo ecclesiologico di questo universalismo è che la Chiesa deve rivolgere a tutti, senza distinzioni, il suo invito alla salvezza.
Ma ci sono anche altri spunti. Per esempio l’avvertimento che l’ora è decisiva: non si può differire, tutto è pronto, la sala deve essere subito riempita. Di fronte all’appello del Vangelo non è permesso essere distratti né esitanti.
O anche il tema del giudizio. Il re non solo punisce gli invitati che hanno rifiutato, ma giudica anche l’invitato senza la veste nuziale. Il giudizio non riguarda soltanto i primi invitati, riguarda anche i secondi, quelli che hanno accettato l’invito e possono illudersi di essere a posto. Il giudizio riguarda anche noi. L’essere entrati nella sala non è ancora una garanzia.