
Il pastore che dona la vita
16 Aprile 2005 Anno A
Gv 10,1-10
Riferimenti : At 2,14.36-41 («Dio lo ha costituito Signore e Cristo»); Salmo
22 («Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla»); 1Pt 2,20-25 («Siete
tornati al pastore delle vostre anime»
In quel tempo Gesù
disse: «In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per
la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece
entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore
ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori.
E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le
pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Un estraneo, invece, non lo
seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli
estranei». Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa
significava ciò che diceva loro
La parabola del pastore
(Gv 10,1-10) si muove su uno sfondo molto familiare alla vita palestinese. La
sera i pastori conducono il gregge in un recinto per la notte. Un recinto comune
serve generalmente a diversi greggi. Il mattino ciascun pastore grida il suo
richiamo e le pecore – le sue pecore che conoscono la sua voce – lo seguono.
Raccontando questa scena familiare Gesù sottolinea anzitutto che Egli è il vero
pastore perché – a differenza del mercenario – non viene a rubare le pecore, ma
a donare la vita. Il falso pastore pensa a se stesso e sfrutta le pecore, il
vero pastore invece pensa alle pecore e dona se stesso. La caratteristica del
vero pastore è il dono di sé.
Ma c’è anche un secondo pensiero: Gesù è la porta dell’ovile. E questo assume
due significati: uno in direzione dei capi, e un secondo
in riferimento ai fedeli. Gesù è la porta per la quale si deve passare per
essere legittimi pastori. Nessuno può avere autorità sulla Chiesa se non
legittimato da Gesù. E, secondo, nessuno è discepolo se non passa attraverso
Gesù ed entra nella sua comunità. Come si vede, Gesù è al centro, sia
dell’autorità che in suo nome governa, sia dei fedeli che in comunione con Lui
possono appartenere veramente al popolo di Dio.
Però nel brano del Vangelo di oggi non si descrive soltanto la figura del
pastore e dell’apostolo, ma si descrive anche il comportamento delle pecore. E
qui si affaccia un terzo tema: la sequela. La sequela è frutto di una chiamata
(«Egli chiama le sue pecore una per una»). Implica un’appartenenza (le pecore
sono sue) e si esige un ascolto («ascoltano la sua voce»).
Chiamata, appartenenza e ascolto costituiscono i tratti della comunità, che
cammina insieme con Gesù. Naturalmente tutto questo richiede il netto rifiuto di
ogni altro pastore, e di ogni altro maestro («un estraneo invece non lo
seguiranno, ma fuggiranno via da lui»).
C’è però anche un altro tratto, che è indicato qualche riga dopo. Gesù/pastore
non solo traccia la strada al gregge (cammina davanti al gregge), né è soltanto
colui che raduna il gregge (che ama le sue pecore), ma è colui che – camminando
davanti al gregge – pensa alle pecore che non appartengono all’ovile. Così
Pietro: è il pastore della Chiesa, ma il suo pensiero è per il mondo intero. La
sua funzione è anche di non permettere alla comunità cristiana di chiudersi nel
particolare, di estraniarsi dal mondo, di pensare a se stessa.
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