Una mano tesa sull'abisso del dubbio
XIX DOMENICA TEMPO ORDINARIO A
10 Agosto 2008

Matteo 14, 22-33
Riferimenti : 1Re 19,9a.11-13a - Salmo 84 - Romani 9, 1-5

1Re 19,9a.11-13a
Nel regno del Nord (regno d’Israele che raccoglie il territorio di 10 tribù, e quindi più grande del piccolo regno di Giuda, a sud con il territorio di 2 tribù), nel secolo IX a.C. si è insediato un dominio che tende a privilegiare gli dei della costa. Impegnata in questo cambiamento religioso è Gezabele, figlia del re di Tiro, sposata ad Acab. Chi si contrappone è Elia, profeta che viene da oltre il fiume Giordano, ai confini con il deserto, austero, coraggioso, predicatore impegnato fino allo spasimo. “Ma sono rimasto solo” si lamenta Elia con Dio e fugge verso il monte Oreb, il monte su cui Mosè ricevette la legge del Signore. Elia ripercorre a rovescio la strada della liberazione del suo popolo poiché deve capire la volontà di Dio. Il deserto è il luogo in cui i profeti si ritrovavano nella ricerca di Dio. Elia vuol prendere contatto con Dio e lo immagina nel vento, nel terremoto, nel fuoco. Così ha sempre pensato Dio, così si è presentato a Mosè e così pensano i popoli idolatri dei loro dei. Su questo Dio Elia si è misurato. Quando si nasconde in una grotta, come in un grembo materno, il Signore lo chiama a rinascere per sperimentare la sua presenza. Ci sono vento, terremoto e fuoco ma il Signore, in queste manifestazioni di dramma e di paura, non c’è. Elia attende spaventato. Ma finalmente “una voce di silenzio sottile” (traduzione ebraica letterale che in italiano viene letta come “mormorio di vento leggero” ) fa scoprire il vero volto di Dio. Dio è soprattutto tenerezza, sussurro, accoglienza, voce sottile e penetrante. Elia allora scopre che la sua fedeltà era, essa stessa, fanatismo, chiusura di cuore alla sofferenza degli uomini, pregiudizio. Il Signore va cercato e si svela sempre nuovo, diverso, impensabile, vicino; egli sorregge per capire, per ricominciare. Anche Elia deve riconvertirsi al vero Dio, lui unico fedele rimasto.
Romani 9, 1-5
San Paolo ha concluso il cap. VIII con la certezza che l’amore di Dio non abbandona (testo letto domenica scorsa) e svela, tuttavia, il suo dramma interiore che lo tormenta. Egli, ebreo, uomo del popolo di Dio e innamorato del destino glorioso d’Israele, sta vivendo con sofferenza e sta verificando la lontananza di questo suo popolo alla fede del Signore Gesù. Certamente molti ebrei hanno accolto la fede cristiana ma il popolo, nelle sue istituzioni e nel suo insieme, lo ha rifiutato. Questo rimette in discussione il progetto di Dio che aveva posto il popolo di Dio come segno delle nazioni, popolo santo ed unico agli occhi del Signore. Paolo ripensa alla preghiera che Mosè aveva fatto a Dio dopo aver scoperto il vitello d’oro e la concretezza dell’abbandono del Dio Salvatore. “Ora tu perdona il loro peccato, se no, cancellami dal tuo libro che hai scritto” (Es 32,32). E tuttavia Paolo continua a ricordare i doni che Dio non ritrae, sempre presenti, garantiti rispetto ai popoli pagani. La sofferenza di Paolo è quella di un figlio, non di un nemico come spesso è risultato nel rapporto con il popolo degli ebrei. Paolo non maledice nessuno, resta sconcertato del mistero d’Israele, si rifà alla volontà di Dio che non si capisce mai fino in fondo e crede nella misericordia del Signore che alla fine (Paolo ne è sicuro) ricupererà tutti i popoli nella salvezza.

 

 

Matteo 14, 22-33
In quel tempo Gesù 22 ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. 23 Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù. 24 La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. 25 Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare. 26 I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: «È un fantasma» e si misero a gridare dalla paura. 27 Ma subito Gesù parlò loro: «Coraggio, sono io, non abbiate paura». 28 Pietro gli disse: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». 29 Ed egli disse: «Vieni!». Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. 30 Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». 31 E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». 32 Appena saliti sulla barca, il vento cessò. 33 Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: «Tu sei veramente il Figlio di Dio!».

Matteo 14, 22-33
La giornata si è conclusa con una folla che ha mangiato, contenta e meravigliata di questi pezzi di pane e di questi pesci che, attraverso gli apostoli, continuavano ad essere distribuiti e disponibili a tutti. A conclusione Gesù resta solo. Costringe i suoi ad andare sul lago e saluta la folla. Tutto il brano acquista però, qui, un significato particolare in cui Matteo non intende fare cronaca ma vuole inviare messaggi alla sua comunità che sta vivendo situazioni difficili. Gli apostoli debbono andare, affrontando il loro cammino di credenti, e la tempesta li sconvolge: la tempesta e la notte, il male e le tenebre. Gesù, salito tutto solo sul monte, è come entrato nel mondo di Dio. Dalla fatica quotidiana Gesù è lontano. Gli apostoli, affannati e impauriti, lo rivedono “sul far del mattino”, senza però riconoscerlo e gridano ancor più di prima. Gesù li rassicura: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. Vi si legge, in contro luce, l’avventura della Comunità cristiana di Matteo che vive nella paura e non sa riconoscere Gesù che invece è “colui che è presente sempre e può dare fiducia nella prova”. Il messaggio è dato e la fede dovrebbe tradurre la paura in certezza, in garanzia. “Se dovrai attraversare le acque, io sarò con te; i fiumi non ti sommergeranno” (Is 43,2). Ma la fede subisce contraccolpi nella paura: la fede infatti vuole prove e non basta a sé stessa nella nostra povertà. Tommaso chiederà di mettere il dito nei fori dei piedi e della mani (dopo la risurrezione). Anche Pietro chiede di camminare sulle acque per il comando di Gesù. Ma la nostra fede non sa reggere. Essa si gioca sempre sulle alternative: non è salda come la forza di Gesù e capisce che deve poggiare su una fedeltà matura che il Signore alimenta. A questo punto la fede deve diventare preghiera perché affronti il male: “Signore, salvami”. L’esperienza a tutti fa dire quello che la Comunità cristiana aveva imparato nella sua professione di fede: “Davvero tu sei figlio di Dio”.

Pietro domanda due cose: una giusta e una sbagliata. Chiede di andare verso il Signore, ed è la domanda assoluta, perfetta, quella di ogni credente: che io venga da te. Poi chiede di andarci camminando sulle acque, ed è la parte sbagliata. Tu andrai verso il Signore ma in tutt'altro modo. Tu lo incontrerai ma non nei miracoli. Pietro seguirà il Signore, ma non più attratto dal suo camminare sulle acque, bensì dal suo camminare verso il calvario; andrà dietro a colui che sa far tacere non tanto il vento e il mare, ma tutto ciò che non è amore. Andrà dietro a colui che sa farsi prossimo sulla strada che va da Gerusalemme a Gerico, sulla polvere di ogni sentiero e non sul luccichio di acque miracolose. E andò verso Gesù, dice il Vangelo. Pietro cammina sulle acque, perché guarda a Lui, non ha occhi che per quel volto. Poi, vedendo il grande vento ebbe paura: inizia ad affondare, perché guarda il vento, fissa le onde. Così noi, se guardiamo al Signore e alla sua parola, avanziamo anche nella tempesta; se guardiamo a noi stessi, ai nostri limiti, alle difficoltà, iniziamo la discesa nel buio. Io ringrazio Pietro per questo suo umanissimo oscillare tra fede e dubbi, tra miracoli ed abissi, per questo suo grido: Signore, salvami. E capisco che qualsiasi mio dubbio può essere redento, anche da una sola invocazione, gridata di notte, nella tempesta o nella paura, gridata nel vento, come Pietro, gridata sulla croce, come il ladrone. Pietro mostra che il miracolo non serve alla fede, non la rafforza. Egli cammina sul lago come nessuno ha mai fatto e già dubita. Vive un miracolo eppure la sua fede va in crisi: Signore, affondo! Pietro dubita e affonda; affonda e crede: Signore, salvami! Dubbio, fede, grido. Mi piace questo pescatore che ringrazio, uomo d'acqua e poi di roccia, per questo suo umanissimo oscillare tra fede grande, che sfida la tempesta, e fede piccola. Ed è proprio là che Gesù ci raggiunge, al centro della nostra mancanza di fede. Ci raggiunge e non punta il dito contro i nostri dubbi, ma stende la mano per afferrarci. Nei giorni della fede piccola arriva la mano forte che Dio non ha mai cessato di tendere. E il grido di paura diventa abbraccio tra l'uomo e il suo Dio.