Un amore che sfugge alle parole
XXI Domenica del Tempo Ordinario Anno A
24/08/2008

Matteo 16,13-20
Riferimenti :Isaia 22,19-23; Salmo 137; Romani 11,33-36

SALMO 137
1. Lungo i fiumi laggiù in Babilonia,
sulle rive sedemmo in pianto
al ricordo struggente di Sion;
sopra i salici, là in quella terra,
appendemmo le cetre armoniose.
2. Oppressori e infami aguzzini
ci chiedevan le nostre canzoni,
dopo averci condotti in catene,
le canzoni di gioia chiedevan:
"Intonateci i canti di Sion".
3. Potevamo noi forse cantare
salmi e canti del nostro Iddio
in quel triste paese straniero?
La mia destra sia paralizzata
se ti scordo, o Gerusalemme.
4. Mi si attacchi la lingua al palato
se un istante appena io lascio
di pensarti, mia Gerusalemme,
se non pongo te, Gerusalemme,
al di sopra di ogni mia gioia.
5. Tu ricorda i figli di Edom:
Dio, quanto nel giorno supremo
contro Gerusalemme urlavan:
"Distruggete le mura, abbattete,
annientate le sue fondamenta".
6. Babilonia, o madre di morte,
sciagurata città, sia beato
chi ti rende la stessa infamia,
sia beato chi afferra i tuoi figli
e li stritola contro la roccia
Isaia 22,19-23
Il re Ezechia (secolo VIII a.C.) è un re buono, ma probabilmente ingenuo per cui ha lasciato, per troppo tempo, che il maggiordomo Sebna sfruttasse la sua posizione per accumulare ricchezze, costituirsi un grande mausoleo, stringere alleanze con l'Egitto (Is 22,15-18). Alla fine Sebna è destituito e, al suo posto, viene chiamato Eliakim, uomo onesto e affidabile. Nella cerimonia di investitura si parla "di tunica e di sciarpa": sono due vestiari particolari di cui è spogliato Sebna e rivestito Eliakim come maggiordomo in carica; con le insegne a lui dovute, viene, in tal modo, riconosciuta la responsabilità di tenere le chiavi del palazzo. Ricevere le chiavi significa ottenere tutti i poteri sulla reggia, sulla amministrazione dei beni della corona e sulla discrezionalità di ammettere o non ammettere chi si vuole all'udienza dal re. La responsabilità, di cui è investito il nuovo maggiordomo, è come quella di un "padre" per gli abitanti di Gerusalemme: comporta, infatti, una correttezza scrupolosa e quindi, cura e attenzione ai bisogni dei sudditi. Solo così un popolo, verificando tali valori nei capi, scopre di doversi educare alla saggezza e sente che Dio aiuta. Eliakim sarà anche un "piolo" e ognuno sa il valore di un piolo solido per una tenda in una tempesta, di un gancio fisso, di un chiodo sulla parete di una montagna. Nel brano successivo (22,24-25), sempre Isaia ricorda che, però, a questo piolo, si attaccheranno in troppi: discendenti e nipoti, vasi, tazze e anfore, e così anche questo piolo si spezzerà. Così, con molta ironia, il profeta rammenta che, per essere giusti, bisogna anche avere il coraggio di superare il nepotismo, pena la rovina anche per l’uomo buono.

Romani 11, 33-36
Nella Lettera ai Romani le riflessioni precedenti (capitoli 9-11) hanno posto alcuni sofferti interrogativi di Paolo che si possono riassumere così: "Perché è il popolo d'Israele non ha accettato Gesù Messia che il Padre ha inviato nel tempo?” Paolo ha tentato di rileggervi un disegno. Accettando la libertà di ogni persona, il Signore ha voluto svolgere la sua misericordia su tutta la creazione e su tutta l'umanità. Il compito della prima Alleanza, vissuta da Israele, si è sviluppato nella storia mantenendo attesa e speranza. Con Gesù questo compito si allarga su tutto il mondo poiché il Padre vuole salvare tutti gli uomini, travolti dal male. Alla fine, nella misericordia, con la sua ricchezza di doni e di predilezione, anche Israele entrerà insieme a tutti i popoli della terra nell'incontro totale con Dio. Il testo si sviluppa con ritmi che richiamano il 3, il numero di Dio: "La profondità di Dio nella ricchezza, sapienza e conoscenza è interpellata da tre domande e tutto si riconduce al significato dell'esistente "da Lui, per mezzo di Lui e per Lui". Il mistero sulla storia resta, ma una misericordia premurosa e fedele di Dio sa condurre verso la pienezza di vita, nonostante la fatica, la sofferenza e il male del mondo.

 

Matteo 16,13-20

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo

.La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo? La risposta è bella e al tempo stesso sbagliata: dicono che sei un profeta, voce di Dio e suo respiro. Gesù pone la seconda domanda, preceduta da un «ma»: Ma voi " come se i Dodici fossero di un altro mondo, mai omologati al pensiero dominante " voi chi dite che io sia? La terza domanda è implicita, diretta a me: tu chi dici che io sia? Gesù non chiede: Cosa avete imparato? Che parola vi ha colpito? Qual è il centro del mio insegnamento? Ma: chi sono io per te? Tu con il tuo cuore, con la tua fatica, la tua gioia e il tuo peccato, tu cosa dici di Gesù Cristo? Le parole più vere sono sempre al singolare, e mai parole d'altri. Non servono libri o catechismi, non studi, letture, o risposte imparate, ma ciascuno dissetato alle fonti di Dio, inciso un giorno dalla spada a due tagli della sua Parola, ciascuno, caduto e risorto, può dare la sua risposta. Tu sei per me un «crocifisso amore». L'amore ha scritto il suo racconto sul tuo corpo con l'alfabeto delle ferite, indelebili come l'amore. Tu sei per me un «disarmato amore», che mai sei entrato nei palazzi dei re, mai hai radunato eserciti, e in questo mondo di arroganti hai detto: «Beati i miti, gli inermi, i tessitori di pace». Tu sei per me un «inseparato amore», perché nulla mai, né angeli né demoni, né cielo né abisso, nulla mai ci separerà dal tuo amore di Dio (cf. Rm 8, 39). Nulla, mai. Due parole assolute, perfette, totali: inseparabile sono dall'amore. I due simboli di oggi sono la chiave e la roccia. Pietro è roccia nella misura in cui ancora trasmette Cristo, tesoro per l'intera umanità. È roccia nella misura in cui mostra che Dio è vivo fra noi, crocifisso amore, disarmato amore, inseparato amore. Ma ogni discepolo è roccia e chiave. Chiave che apre le porte belle di Dio, roccia su cui far conto per costruire la casa comune. Chiamato a legare e sciogliere, a creare nel mondo strutture di riconciliazione. Voi chi dite che io sia? Non mi basta dire Dio; Cristo non è ciò che dico di lui, ma ciò che vivo di lui, come la vita non sta nelle mie parole sulla vita, ma nel mio patirla: Mi guardano negli occhi / e rimangono estatici / perché capiscono che io ti ho visto / ti ho sentito / e che qualche volta almeno / ti ho anche tradito (Alda Merini). Non una dottrina, non una morale, il cristianesimo è una Persona, un dolcissimo sogno sempre tradito, ma di cui non ci è concesso stancarci.

 Gesù è arrivato con i suoi all'estremo nord di Israele, nella regione di Cesarea di Filippo, e, improvvisamente, decide di sollevare alcuni interrogativi di verifica sulla propria identità, quasi a simbolo della conclusione di un itinerario ed una esperienza tra la gente che lo ha portato lontanissimo da Gerusalemme. "Chi sono Io per la gente?”. La risposta è semplice, ma ricca. La gente ha colto in Lui una presenza unica, aperta alla Parola di Dio ed ai valori che la profezia vera sa offrire. Egli è il continuatore della grandezza di famosi profeti, persone legate a Dio e perseguitate (Giovanni Battista, Geremia). Ancora oggi la gente percepisce grandi valori in Gesù e identifica le proprie speranze umane in lui. "Ma voi (in greco c'è il "ma") chi dite che Io sia? " I “ma” suppone dai discepoli anche una risposta diversa. Pietro risponde a nome di tutti e Gesù riconosce vero ciò che ha detto. La risposta è stata "offerta dal Padre e accettata come dono”. Ma poi Gesù impone il silenzio poiché alla risposta corretta non corrisponde un contenuto coerente (lo si scopre dopo alcuni versetti dello stesso testo). I discepoli, infatti, credono che il Regno si debba esprimere nella potenza, nella forza, nei prodigi e Gesù teme che le loro affermazioni possano alimentare questa mentalità. Bisogna però convenire che, fino alla morte di Gesù, tutti i suoi seguaci continuano ad attendere il trionfo e la gloria. Il Gesù dei valori e dell'umanità riscattata, senza questa fondamentale adesione e dignità divina, segnata da Dio, non esiste. Gesù parla di pietra: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa". La roccia, la vera “pietra angolare” (Efesini 2,19-20), "il fondamento" (1 Cor 3,11) è Gesù. Pietro è colui che professa la fede in Gesù e la Chiesa si poggia sulla fede in Gesù che il Padre rivela a Pietro. Ma Pietro ha continuamente bisogno di maturazione, di approfondimento, di impegno poiché si dovrà scontrare con il male nella storia (è la scoperta di qualche versetto più avanti). Ricevere le chiavi significa aprire e non bloccare, così come facevano i rabbini rimproverati da Gesù "Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il Regno dei cieli davanti agli uomini, perché così voi non vi entrate e non lasciate entrare quelli che vogliono entrarci" (Matteo 23,13). Significa anche verificarsi coraggiosamente sulla parola di Gesù e quindi misurare e misurarsi sulla fede in Gesù, diventando quindi modello del gregge (1Pt 5,3). Pietro, che compare sempre primo nell'elenco dei discepoli, è chiamato a pascere agnelli e pecore ed a sostenere la fede dei fratelli e delle sorelle. Ireneo di Lione (secolo II d.C.) dice che il vescovo di Roma " è colui che presiede alla carità".