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XX DOMENICA TEMPO ORDINARIO A Matteo 15, 21-28
Matteo 15, 21-28
Matteo 15, 21-28 Gesù affronta il senso della elezione di Israele e il significato della sua presenza nella sua terra. Egli è mandato per mantenere ed assolvere le promesse di Dio al suo popolo. In Israele c’era una corrente maggioritaria
tradizionalista che aveva esasperato l’esclusività di Israele di fronte a Dio, tanto da aver creato, anche nel linguaggio, un riferimento dispregiativo per i pagani chiamandoli “cani”. Un altro gruppo, ma sembra molto piccolo, era più aperto e si rifaceva ai testi di Isaia, Geremia e Giona, disponibili perciò ad immaginare un futuro di popoli uniti. Quando Gesù si sta avviando verso Nord, oltre la Galilea, incrocia una donna che viene proprio da città pagane e lei stessa vi si identifica come tale. Riconosce Gesù dai racconti, che circolano tra la gente, e lo chiama in vari modi, con grande rispetto: “Signore” e “Figlio di Davide”, cioè Messia. Gesù si comporta con durezza, come un buon Israelita credente. Non le rivolge la parola, non si degna di uno sguardo e quando i discepoli dicono: “Mandala via” ( e non “esaudiscila” come nella traduzione), Gesù motiva il suo silenzio dicendo di essere stato inviato alle pecore perdute della casa d’Israele. Alle insistenze della donna, Gesù si fa ancora più duro. La chiama “cane”, addolcito con “cagnolino” (nel testo) in confronto agli Israeliti che sono le “pecore perdute”. Ma la donna ribatte: “Non voglio il pane, ma le briciole che cadono. (Non voglio entrare nella sala del banchetto come ospite di onore ma almeno aspetto quello che avanza)”. E’ umile e tenace. Riconosce che ci sono persone scelte ed altre non scelte. Riconosce la libertà di Dio e di Gesù ma, in sé, intuisce che il Signore sa essere misericordioso. Al di là delle apparenze essa è entrata nella logica del Signore più di tutti gli altri. Gesù, finalmente, smette di recitare la parte dell’Israelita “integro” per ricordare che il rapporto con Dio si gioca sulla fede, sulla libertà che si apre. E questa donna ha una tale fede che meraviglia anche Gesù. Con la fede viene esaudito il desiderio, la richiesta di guarigione e quindi l’incontro con il Signore-Messia. Gli avanzi, le briciole, sono già pronti nelle 12 ceste, quando, alla fine dell’incontro con i 5000 uomini, dopo aver sfamato la folla, Gesù ha comandato di raccoglierli. Ce n’è per tutti, per il nuovo popolo di Dio, Israele e gli altri. (Mt 14,20). E da quell'istante sua figlia fu guarita. Pochi personaggi del Vangelo sono simpatici come questa donna, una madre straniera che non si arrende ai silenzi di Gesù, ma intuisce sotto il suo rifiuto l'impazienza di dire sì. Una madre pagana, che non conosce Jahvé, che adora Baal e Astarte, è dichiarata «donna di grande fede». E non per la perseveranza nel gridare il suo dolore, quanto perché, con il suo cuore di madre, sente Dio più attento alla felicità che alla fedeltà dei suoi figli. Crede in un Dio che considera la salute di una ragazza pagana più importante che non il culto dei leviti e le formule della fede. Crede che la gloria di Dio è l'uomo vivente, la creatura guarita, una ragazza felice, una madre abbracciata alla carne della sua carne, finalmente risanata. Questa donna non ha la fede dei teologi, ma quella delle madri che soffrono. Conosce Dio dal di dentro e sa che la sua legge suprema è che l'uomo viva, sa che Dio dimentica i propri diritti per i diritti dell'uomo che soffre. «Grande è la tua fede!». Allora grande è ancora la fede sulla terra, dentro e fuori la Chiesa, perché grande è il numero delle madri di Tiro e Sidone, che non sanno il Credo ma sanno il cuore di Dio. E lo sanno dal di dentro. Non conoscono il nome di Jahvé, ma ne conoscono il cuore. Sanno che se un figlio soffre, per questa semplice, nuda ragione Dio si fa vicino e appartiene al loro dolore. Una frase dà la svolta al dialogo: i cuccioli sotto la tavola mangiano le briciole dei bambini. Dice quella donna: non puoi fare delle briciole di miracolo, briciole di segni, per questi cani di pagani? In questo presente di fame e di festa, di vacanze e di miseria, una fiumana di madri cananee implorano ancora briciole per i loro cuccioli, le implorano da noi, discepoli del nazareno: fate dei segni, dei piccolissimi segni, almeno delle briciole di miracolo, per noi, i cagnolini della terra. Allora si delinea il Regno, la terra come Dio la sogna: una tavola ricca di pane, una corona di figli, briciole, e dei cuccioli in attesa. Questa immagine si è fatta strada verso il cuore di Gesù e può farsi strada verso il nostro. Affinché nessuno sia senza pane, e i cuccioli siano trasformati in figli. La pietà di Dio ci chiama a chinarci sugli ultimi, a prendere tutti gli esclusi da sotto la tavola, a metterli tra i figli, anzi sopra il candeliere, perché anch'essi hanno occhi di luce, perché ci sia più luce sulla mensa e sul futuro del mondo. |