XX DOMENICA TEMPO ORDINARIO A
17 agosto 2008

Matteo 15, 21-28
Riferimenti : Isaia 56,1.6-7 - Salmo 66 - Romani 11, 13-15.29-32

Dio abbia pietà di noi e ci benedica, *
su di noi faccia splendere il suo volto;
perché si conosca sulla terra la tua via,  fra tutte le genti la tua salvezza.
Ti lodino i popoli, Dio, *
ti lodino i popoli tutti
Esultino le genti e si rallegrino, †
perché giudichi i popoli con giustizia, *
governi le nazioni sulla terra.
Ti lodino i popoli, Dio,
ti lodino i popoli tutti
La terra ha dato il suo frutto.
Ci benedica Dio, il nostro Dio, ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra
Gloria al Padre e al Figlio *
e allo Spirito Santo.
Come era nel principio, e ora e sempre, *
nei secoli dei secoli. Amen.
Isaia 56,1.6-7
La prospettiva di una liberazione da Babilonia è ormai certa e la notizia giunge come una bellissima apertura verso il futuro. Così un gruppo di fedeli incomincia a prepararsi, fidandosi delle promesse legate alla Parola del Signore (ma saranno pochi, in proporzione), portandosi tuttavia nel lungo viaggio, come bagaglio nuovo, l’esperienza di una convivenza con un popolo straniero, tra l’altro, di alta cultura. Israele si è sempre mantenuto lontano dagli altri popoli, alimentando diffidenze e sospetti poiché, per pregiudizi pericolosi, immaginava che tutti i pagani fossero corrotti ed immorali. Il testo del Deuteronomio (7,2-4) impegna a non fare alleanze con gli stranieri né ad imparentarsi con loro. L’esperienza dell’esilio ha fatto loro ripensare ad atteggiamenti diversi. Ha fatto superare paure e pregiudizi. Anche a Babilonia, hanno incontrato uomini e donne di fiducia, giusti, portatori e portatrici di valori condivisi. Il profeta, mentre offre suggerimenti di fedeltà, incoraggia a prepararsi al tempo nuovo: “Osservate il diritto e praticate la giustizia”. Insieme, con molta saggezza, ricorda che anche gli stranieri giusti sono condotti al monte santo (Gerusalemme-Sion) di Dio come gli israeliti e con gioia pregheranno insieme nella casa di preghiera che è “Casa di preghiera per tutti i popoli”. Il progetto di speranza e di liberazione, delimitato ad Israele come custode dell’Alleanza e dell’amore di Dio, in realtà è liberazione per tutti gli uomini. Questo incomincia a realizzarsi nel tempio; per noi deve incominciare nella Chiesa e quindi nella parrocchia.
Romani 11, 13-15.29-32
Già domenica scorsa il brano di San Paolo riportava lo sconcerto di vedere lontano da Gesù il proprio popolo (globalmente inteso) e incapace di riconoscerlo e di seguirlo. Se ne fa un cruccio, poiché soffre per i fratelli e le sorelle, che “sono stati visitati dal Signore”, ma non l’hanno accolto. San Paolo, allora, si sforza di approfondire, di capire e di motivare questo distacco: chiudendosi a Gesù, hanno disertato le nuove comunità. Ma, riflette san Paolo, questa lontananza ha permesso di aprirsi senza difficoltà ai pagani. Se Israele si fosse convertita tutta e subito, probabilmente i nuovi credenti, provenienti dal paganesimo, non avrebbero ricevuto pari riconoscimento e cittadinanza nel popolo di Dio. La conversione, relativamente facile dei pagani (o “i gentili” da “genti”) non avviene con tensioni ed esclusioni (un esempio può essere la problematica che è iniziata ad Antiochia ed è stata risolta con saggezza pastorale da Barnaba: Atti 11,19 ss). In tal modo, però, alla fine il Signore riproporrà anche al popolo d’Israele la pienezza dell’incontro (Israele è comunque fondamentale per parlare di salvezza) e sarà completo il ricongiungimento nella misericordia per tutti i popoli 

Matteo 15, 21-28

In quel tempo 21 Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone. 22 Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio». 23 Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i discepoli gli si accostarono implorando: «Esaudiscila, vedi come ci grida dietro». 24 Ma egli rispose: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele». 25 Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: «Signore, aiutami!». 26 Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini». 27 «È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». 28 Allora Gesù le replicò: «Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri». E da quell'istante sua figlia fu guarita.

Matteo 15, 21-28 Gesù affronta il senso della elezione di Israele e il significato della sua presenza nella sua terra. Egli è mandato per mantenere ed assolvere le promesse di Dio al suo popolo. In Israele c’era una corrente maggioritaria


Rovine di Tiro,città della Fenicia nei cui pressi avvenne il commovente episodio della donna cananea.

tradizionalista che aveva esasperato l’esclusività di Israele di fronte a Dio, tanto da aver creato, anche nel linguaggio, un riferimento dispregiativo per i pagani chiamandoli “cani”. Un altro gruppo, ma sembra molto piccolo, era più aperto e si rifaceva ai testi di Isaia, Geremia e Giona, disponibili perciò ad immaginare un futuro di popoli uniti. Quando Gesù si sta avviando verso Nord, oltre la Galilea, incrocia una donna che viene proprio da città pagane e lei stessa vi si identifica come tale. Riconosce Gesù dai racconti, che circolano tra la gente, e lo chiama in vari modi, con grande rispetto: “Signore” e “Figlio di Davide”, cioè Messia. Gesù si comporta con durezza, come un buon Israelita credente. Non le rivolge la parola, non si degna di uno sguardo e quando i discepoli dicono: “Mandala via” ( e non “esaudiscila” come nella traduzione), Gesù motiva il suo silenzio dicendo di essere stato inviato alle pecore perdute della casa d’Israele. Alle insistenze della donna, Gesù si fa ancora più duro. La chiama “cane”, addolcito con “cagnolino” (nel testo) in confronto agli Israeliti che sono le “pecore perdute”. Ma la donna ribatte: “Non voglio il pane, ma le briciole che cadono. (Non voglio entrare nella sala del banchetto come ospite di onore ma almeno aspetto quello che avanza)”. E’ umile e tenace. Riconosce che ci sono persone scelte ed altre non scelte. Riconosce la libertà di Dio e di Gesù ma, in sé, intuisce che il Signore sa essere misericordioso. Al di là delle apparenze essa è entrata nella logica del Signore più di tutti gli altri. Gesù, finalmente, smette di recitare la parte dell’Israelita “integro” per ricordare che il rapporto con Dio si gioca sulla fede, sulla libertà che si apre. E questa donna ha una tale fede che meraviglia anche Gesù. Con la fede viene esaudito il desiderio, la richiesta di guarigione e quindi l’incontro con il Signore-Messia. Gli avanzi, le briciole, sono già pronti nelle 12 ceste, quando, alla fine dell’incontro con i 5000 uomini, dopo aver sfamato la folla, Gesù ha comandato di raccoglierli. Ce n’è per tutti, per il nuovo popolo di Dio, Israele e gli altri. (Mt 14,20).

E da quell'istante sua figlia fu guarita. Pochi personaggi del Vangelo sono simpatici come questa donna, una madre straniera che non si arrende ai silenzi di Gesù, ma intuisce sotto il suo rifiuto l'impazienza di dire sì. Una madre pagana, che non conosce Jahvé, che adora Baal e Astarte, è dichiarata «donna di grande fede». E non per la perseveranza nel gridare il suo dolore, quanto perché, con il suo cuore di madre, sente Dio più attento alla felicità che alla fedeltà dei suoi figli. Crede in un Dio che considera la salute di una ragazza pagana più importante che non il culto dei leviti e le formule della fede. Crede che la gloria di Dio è l'uomo vivente, la creatura guarita, una ragazza felice, una madre abbracciata alla carne della sua carne, finalmente risanata. Questa donna non ha la fede dei teologi, ma quella delle madri che soffrono. Conosce Dio dal di dentro e sa che la sua legge suprema è che l'uomo viva, sa che Dio dimentica i propri diritti per i diritti dell'uomo che soffre. «Grande è la tua fede!». Allora grande è ancora la fede sulla terra, dentro e fuori la Chiesa, perché grande è il numero delle madri di Tiro e Sidone, che non sanno il Credo ma sanno il cuore di Dio. E lo sanno dal di dentro. Non conoscono il nome di Jahvé, ma ne conoscono il cuore. Sanno che se un figlio soffre, per questa semplice, nuda ragione Dio si fa vicino e appartiene al loro dolore. Una frase dà la svolta al dialogo: i cuccioli sotto la tavola mangiano le briciole dei bambini. Dice quella donna: non puoi fare delle briciole di miracolo, briciole di segni, per questi cani di pagani? In questo presente di fame e di festa, di vacanze e di miseria, una fiumana di madri cananee implorano ancora briciole per i loro cuccioli, le implorano da noi, discepoli del nazareno: fate dei segni, dei piccolissimi segni, almeno delle briciole di miracolo, per noi, i cagnolini della terra. Allora si delinea il Regno, la terra come Dio la sogna: una tavola ricca di pane, una corona di figli, briciole, e dei cuccioli in attesa. Questa immagine si è fatta strada verso il cuore di Gesù e può farsi strada verso il nostro. Affinché nessuno sia senza pane, e i cuccioli siano trasformati in figli. La pietà di Dio ci chiama a chinarci sugli ultimi, a prendere tutti gli esclusi da sotto la tavola, a metterli tra i figli, anzi sopra il candeliere, perché anch'essi hanno occhi di luce, perché ci sia più luce sulla mensa e sul futuro del mondo.