Dio, pastore di libertà e di futuro
IV DOMENICA DI PASQUA
13 Aprile 2008

Giovanni 10, 1-10
Riferimenti : Atti 2, 14a.36-41 - Salmo 22 -1 Pietro 2,20b-25

Atti 2, 14a.36-41
Negli Atti degli Apostoli vengono riportati solo alcuni brani del discorso di Pietro pronunciato il giorno della Pentecoste (un versetto dell’inizio e la conclusione). Accanto a lui ci sono gli undici che testimoniano sia Gesù risorto, asceso nella pienezza di Dio, sia il dono dello Spirito disceso su di loro, come garanzia della presenza e della protezione di Gesù sulla sua Chiesa. Lo Spirito non è tanto la causa di una esaltazione collettiva, ma la testimonianza definitiva di quanto Dio ha fatto nei riguardi di Gesù. Egli è stato costituito “Signore e Messia”. Vengono ricordati perciò la salvezza e il suo compimento che si attua. “Messia” (o “Cristo” in greco) indica la pienezza della promessa per il popolo d’Israele che attendeva un successore di Davide perché radunasse e portasse alla vittoria tutti i credenti sulle  nazioni. “Signore” indica l’imperatore o personaggi con caratteri divini. Nel linguaggio religioso Signore era il nome di Javhé (in greco: Signore dei Signori). Qui viene attribuito a Gesù risuscitato ed esaltato alla destra di Dio Padre, costituito Signore con potenza. Il linguaggio e i temi usati non lasciano indifferenti i presenti che sentono vivo e stimolante il messaggio coraggioso degli Apostoli e chiedono la concretezza di questa adesione. Si sentono dire: “Pentitevi e fatevi battezzare nel nome di Gesù. Ravvedetevi, cambiate vita e accettate di entrare nella nuova dimensione della pienezza”. L’acqua del battesimo ricorda la vita, la liberazione dal male nel diluvio, la salvezza dalla schiavitù, il popolo nuovo, la fecondità, il giardino del Paradiso terrestre Eden). Così si attuano la liberazione dal peccato e la gioia nuova di essere santificati. E lo Spirito Santo è un dono per tutti, non solo per un gruppo di privilegiati.
1Pietro 2,20b-25
Nella lettera di Pietro viene proposta una specie di catechesi centrata sull’imitazione di Gesù mentre l’apostolo sta parlando a degli “schiavi”. La non-violenza è suggerita come modello di vita cristiana all’interno di una realtà di reale sfruttamento e di ingiustizia. Infatti, se la condizione degli schiavi, sotto il profilo umano, è sfavorevole, non lo è dal punto di vista cristiano poiché lo schiavo maltrattato, che “sopporta con pazienza la sofferenza”, assomiglia a Gesù che ha ricevuto un trattamento da schiavo ed è stato condannato come criminale pur essendo innocente. E la sofferenza di Gesù fu a vantaggio degli uomini poiché “dalle sue piaghe siete stati guariti”. Il cristiano, comportandosi così, realizza uno stile di vita conforme al volere di Dio e aiuta il mondo a salvarsi. Con il suo comportamento Gesù abbatte i peccati e la sua morte procura la vita e la coscienza di unità e di popolo: “siete tornati al pastore e guardiano”. Allo schiavo si riconsegna la dignità di essere somigliante al Signore e, nella non violenza, suscitare quella sorpresa che porta al chiedere “ragione della speranza che è in voi”. La prospettiva posta agli schiavi non è “sopportate, così potrete andare in paradiso”, ma opera con quella dignità divina che vuole cambiare i criteri del mondo e tradurre la sua presenza come amore, anche se tutto questo sembra impossibile.
 

«In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori.  E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce.  Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».  Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore.  Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati.  Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo.  Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.

Giovanni 10, 1-10
Giovanni presenta al cap. 10 l’immagine del Pastore in un clima di polemica serrata poiché, contestando il miracolo del cieco (cap. 9), i farisei hanno scacciato costui dalla sinagoga e quindi dal popolo di Dio. Gesù rifiuta ai farisei il ruolo di giudici e di arbitri della fede e si presenta come pastore che raccoglie e come “unica porta” attraverso cui si ottiene la salvezza. Dio è pastore. Nell’Antico Testamento non lo si dice tante volte e neppure volentieri (non era una categoria molto apprezzata), ma lo si suppone sempre quando si parla di Dio che salva il suo popolo. Però nel Salmo 22 “Dio è guida, protezione e aiuto” e nel cap. 34 di Ezechiele “Dio è il vero custode che salva le pecore dai governanti crudeli e violenti”. Gesù si pone come Colui che conosce profondamente le sue pecore e ne è conosciuto. Questa consapevolezza reciproca diventa comunione, condivisione, intimità “come fra il Padre e me” dice Gesù. Egli è anche Colui che offre la salvezza e la vita, doni che escono dal suo cuore. Gesù è la porta per arrivare alle pecore (invito ai nuovi pastori che debbono passare per Cristo per poter reggere la Chiesa) ed è porta per le pecore (affinché queste raggiungano la vita, il Regno). E qui ci si richiama, polemicamente, alle esperienze precedenti di personaggi che si sono proclamati Messia, vissuti alcuni decenni prima. Essi, con progetti politici e militari, hanno illuso e tragicamente sfasciato il popolo. Gesù propone nell’immagine della porta la mediazione: “Attraverso me si raggiunge la salvezza”. Ma la porta sta anche per il tutto: la casa, la città, il tempio. “Io sono il luogo dove si compie e si realizza la salvezza, il nuovo tempio.” Ciascuno di noi è pastore nel luogo dove vive se fa valere gli interessi di tutti, il valore e il diritto di ciascuno. Ciascuno è “ladro e brigante” se sviluppa solo i propri interessi privati, la propria carriera e il proprio benessere.

Cristo, venuto dal Padre come intenzione di bene, pastore di vita abbondante, venuto perché ciascuno sia nella vita datore di vita, è indicato da Giovanni con le seguenti caratteristiche: conosce le sue pecore e chiama ciascuna per nome. Il Signore pronuncia il mio nome, pronuncia la mia verità, il mio tutto; egli «entra e conosce», è capace cioè di capire e accogliere le emozioni e i sentimenti. Sulla sua bocca il mio nome dice intimità, e mi avvolge come un abbraccio. Mi chiama con il nudo nome, senza evocare nessun ruolo, o autorità, o funzione, o attributo, nel riconoscimento della mia umanità profonda, della mia più pura umanità. Tanto più sarai vicino a Dio quanto più sprofonderai nel tuo essere uomo. Senza aggettivi. E le conduce fuori: non è il Dio dei recinti, ma degli spazi aperti. È pastore di libertà, che non rinchiude per paura, ma ha fiducia in ciò che è fuori, fiducia negli uomini, nei suoi, nel mondo. Fiducia è la prima condizione perché vita ci sia. Cammina davanti a esse. Non è un pastore di retroguardie, apre cammini e inventa strade, è davanti e non alle spalle. Non un pastore che pungola, incalza, rimprovera per farsi seguire, ma uno che precede: cammina attratto dal futuro e non dai rimpianti, seduce con il suo andare, affascina con il suo esempio. E le pecore ascoltano la sua voce. Lo riconoscono perché sono da lui riconosciute. Chi non ascolta, chi è sordo, rischia invece di restare nei vecchi recinti, nelle vecchie paure, in greggi anonimi, in strade che sono non-strade. La parola «assurdo» ha la stessa radice di «sordo». Entra nell'assurdo chi è sordo, chi non sa ascoltare. Esce dalla sordità e dall'assurdo chi ascolta la voce, che è prima ancora di ogni parola, che dice con la sua sola vibrazione una relazione amorosa tra lui e me, un combaciare più ampio della comprensione. Io sono la porta. Non un muro chiuso, non uno steccato che divide, Cristo è passaggio, apertura, pasqua, breccia di luce, luogo attraverso cui vita entra e vita esce. Cosa significa varcare quella soglia, varcare Cristo? È cambiare rotta, indirizzare la prora del cuore verso le cose che lui amava: futuro, libertà, coraggio; dimenticarsi, dare tutto, con tutto il cuore; essere pastore di vita del mio piccolo gregge; essere soglia aperta, attraversata da molte vite.