II domenica del tempo ordinario anno A
20-01-2008

Giovanni 1,29-34
Isaia 49,3.5-6 -
Corinzi 1,1-3

Isaia 49,3.5-6
Nel libro di Isaia ritorniamo al secondo dei quattro canti del Servo dl Jhwh. L’anonimo servo parla in prima persona e vuole giustificare la propria missione. La prima vocazione che Dio gli ha dato consiste nell’unificare la comunità di Israele. Il compito non sarà frutto di una potenza propria ma verrà da una azione divina che plasma, che crea, che trasforma: “Il Signore mi ha plasmato” (v.5). Così il servo di Jhwh, come tanti profeti, ha lottato con fedeltà, “onorato dal Signore” (v.5). Se non c’è stata una conclusione pienamente positiva, non solo viene rinnovato l’incarico, poiché il Signore stima il suo servo, ma gli si offre una nuova e più grande missione e, questa volta, universale. Con il suo servo Dio comincia una nuova era perché in tutto il mondo ci siano la sua luce e la sua salvezza.
Corinzi 1,1-3
La Prima Lettera di S. Paolo ai Corinzi fu scritta da S. Paolo ad Efeso, probabilmente, attorno alla Pasqua del 57 d.C. L’apostolo era molto affezionato a questa comunità che lo aveva accolto e vi aveva maturato, ripensandola e arricchendola, la sua caparbia fedeltà alla Parola del Signore dopo la delusione dello sterile discorso sapiente fatto ad Atene su cui aveva contato molto. A Corinto, una grande città di mare, S. Paolo vi restò parecchi mesi attorno agli anni 49-50 d.C. La comunità, a cui Paolo scrive, era piuttosto numerosa e vivace. In questi pochi anni, dal tempo della evangelizzazione al tempo di questa prima lettera, erano sorti molti conflitti nelle discussioni che si sviluppavano serie e che, per lo più, pretendevano di ritrovarvi delle soluzioni dei vari fatti concreti applicando l’insegnamento evangelico. Ma, in questa ricerca, lodevole, per altro, sorgevano più antagonismi e invidie che una soluzione appassionata. Il brano di questa liturgia é l’inizio della lettera e i mittenti sono due: Paolo e Sòstene perché, nella Chiesa primitiva, i missionari-apostoli venivano mandati a due a due come testimoni dei fatti di Dio e come garanzia di ortodossia della fede. “Alla Chiesa di Dio che i in Corinto”: la comunità cristiana riproduce l’espressione dell’A.T. che indicava la comunità, Israele, come una comunità libera, radunata attorno al santuario di Dio. “A coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere Santi…”. Nell’A.T. Santo era colui che entrava in contatto con il tempio, ora é santo chi entra in contatto con Gesù. Ed ogni cristiano, nel suo battesimo é fatto santo ed é chiamato a far parte della famiglia di Cristo.

Giovanni 1,29-34

Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: «Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele». Giovanni rese testimonianza dicendo: «Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo.  E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio».

 

Giovanni evangelista, il teologo, era là al Giordano, discepolo del Battista. Vide il battesimo di Gesù e ne trasse una profonda meditazione, caricando le parole del Precursore delle sue intuizioni sulla Persona del Messia: "E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio".
"Figlio di Dio" ne definisce l'intimo essere; quel Messia (colui sul quale scende lo Spirito e lo dona nel battesimo) è in realtà il Verbo fatto carne venuto tra noi come salvatore. L'immagine che definisce contenuti e stile di questa salvezza è quella dell' "Agnello di Dio".
Il Vangelo di Giovanni propone la testimonianza del Battista. All’inizio Gesù é l’Agnello di Dio, alla fine é Figlio di Dio. Dire che Gesù é l’Agnello di Dio significa rimandarci alla descrizione del profeta Isaia sul servo sofferente: “era come pecora condotta al macello e come un agnello di fronte ai suoi tosatori”(Is. 53,7). Come servo egli si fa carico del male che gli uomini fanno e che egli lo porta su di sé (Is. 53,4.12). Ma, usando il verbo “togliere: toglie il peccato”, il Battista orienta i suoi seguaci verso l’agnello pasquale. E l’immagine suscita molti richiami. -Nella notte in cui il popolo d’Israele fuggì dall’Egitto (Esodo), il sangue dell’agnello preservò dallo sterminio i figli degli oppressi (ebrei) poiché con il suo sangue si intinsero gli stipiti delle porte. “Il sangue sulle vostre case sarà il segno che voi siete dentro: io vedrò il sangue e passerò oltre, non vi sarà per voi flagello di sterminio, quando io colpirò il paese d'Egitto” dice il Signore (Es 12,13). -L’agnello è richiamo alla Pasqua “a cui non sarà spezzato alcun osso” (Gv. 19,36). -In aramaico “talyà” indica l’agnello e indica il servo. “Togliere il peccato” ha un significato più ampio del “togliere i peccati"

Vedo, con gli occhi di Giovanni, il venire infaticato di Dio. Viene verso di me, eternamente incamminato lungo il fiume dei giorni, caricandosi di tutta la lontananza; viene negli occhi dei fratelli, negli uccisi come agnelli, viene lungo quella linea di confine tra bene e male, tra morte e vita, dove ancora si gioca il tuo destino e, in te, il destino del mondo. «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo». Non i peccati, ma il peccato; non toglie i singoli comportamenti malati, ma guarisce " se lo accogli " la radice del cuore dove tutto ha origine. Il peccato del mondo è una parola enorme, in cui risuonano i passi della morte. Il peccato è scegliere la morte: «io ti ho posto davanti la vita e la morte: scegli. Ma scegli la vita!» (Deut 30,19). È questo il comando originario, fontale, sorgente di tutti i comandi. Legge di Dio è che l'uomo scelga. Dio è un imperativo di libertà. Legge di Dio è che l'uomo viva. Dio è un imperativo di vita. Scegliere la vita è il comandamento che riassume in sé tutti gli altri, l'asse primordiale attorno a cui ruotano gli imperativi divini. Gesù è venuto come datore di vita, come incremento d'umano: buono è ciò che costituisce l'uomo in umanità, male ciò che lo distrugge in umanità. «Ecco l'agnello di Dio» equivale a dire: «Ecco colui che prende su di sé la morte di tutti con la propria morte. Ecco la morte di Dio perché non ci sia più morte». Un abisso dal quale emerge la differenza cristiana: in tutte le religioni gli dèi chiedono sacrifici, Gesù sacrifica se stesso; in tutte le fedi gli dèi pretendono offerte, nel Vangelo Gesù porta in offerta la propria vita. Nel Vangelo il peccato è presente, e tuttavia è assente; Gesù ne parla solo per dirci: è perdonato, è tolto, o almeno è perdonabile, sempre. Come Lui, il cristiano non annuncia condanne, ma testimonia il volto di Dio capace di dimenticarsi dietro una pecora smarrita, un bambino, un'adultera, capace d'amare fino a morire, fino a risorgere. Il peccato è non conoscere questo Dio, è l'ombra sul suo volto. Gesù è venuto a togliere il velo che celava e oscurava il volto di Dio. Un Dio agnello! Non l'onnipotente, ma l'ultimo nato del gregge; non il giudice supremo, ma il piccolo animale dei sacrifici. Peccare significa non accettare questa tenerezza e umiltà di Dio.