IX DOMENICA TEMPO ORDINARIO A
1 giugno 2008

Matteo 7,21-27
Riferimenti : Deuteronomio 11,18.26-28 - Romani 3,21-25a.28

Deuteronomio 11,18.26-28
Il Deuteronomio (significa “Seconda Legge” in confronto alla “Prima Legge” che è fondamentalmente racchiusa nel libro dell’Esodo) in realtà si titola, in ebraico: “Parole” e corrisponde ad un insieme di omelie che costituiscono una predicazione della Legge e sulla Legge attribuite a Mosè. Tutto il testo, su invito di Mosè, è il richiamo forte al popolo d’Israele, a cui è stata destinata la terra promessa, di essere fedele al Signore altrimenti tutto sarebbe stato inutile e da benedizione tutto si sarebbe trasformato in maledizione. Il primo versetto del testo, qui, si rifà al significato più profondo dell’invito di Dio che vuole che le sue Parole siano poste nel cuore e al centro dei propri pensieri. Il comando si è trasformato nell’usanza di legare attorno al braccio sinistro (dalla parte del cuore) ed alla fronte due astucci contenenti alcune frasi fondamentali della legge di Dio. Così “i filatteri”, in uso al tempo di Gesù e tuttora normali in una sinagoga, richiamano al momento della preghiera che la Legge deve abitare nel cuore e al centro dei propri pensieri. Benedizione o maledizione non sono il dono o il castigo di Dio ma la conclusione di scelte libere che ciascuno compie. Chi scrive ha nella memoria la distruzione di Gerusalemme e la dispersione del popolo: le tragedie avvengono perché si è allentata la responsabilità, la coesione e il rispetto delle scelte
morali. Da questo viene la desolazione.
 

Romani 3,21-25a.28
San Paolo scrive ai cristiani di Roma con grande fiducia e anche molto rispetto. Egli costruisce questa lunga lettera come un trattato di teologia sulla giustizia e sulla giustificazione di Dio verso di noi. Sono parole difficili poiché, nel linguaggio di San Paolo, acquistano un significato diverso da quello che diamo noi. Nei capitoli precedenti una profonda e intricata riflessione mostra che tanto i pagani, che pure potevano intravedere la grandezza di Dio, che gli ebrei, che conoscevano la legge del Signore e quindi la sapienza di Dio, hanno peccato disobbedendo alla legge morale
e quindi si sono comportati male meritando il castigo. Se la giustizia di Dio fosse come la immaginiamo noi, tutti saremmo condannati al rifiuto. Ma proprio quella giustizia di Dio, che temiamo con angoscia, si apre ad una “giustificazione” totalmente gratuita che coinvolge tutti. Dio è giusto poiché la sua bontà e paternità lo porta continuamente ad accogliere e a sorreggere ogni persona affinché si riscatti e si salvi con la sua forza. Il segno di questa beatitudine inaspettata è la presenza tra noi di Gesù, il Figlio. Perciò questa pienezza di grazia viene dal dono di Dio che si svela in Gesù e non dai nostri meriti. Questi, infatti, ci allontanerebbero da Dio poiché ci darebbero l’illusione
che ci si possa salvare da soli, e che tutto il rapporto con Dio sia come un mercato del dare e dell’avere.
Dio ha un rapporto di amore come in una famiglia, dove il dono della vita viene prima di tutti gli altri doni; nessuno lo può pretendere poiché l’interessato non esiste ancora, ma nasce perché voluto ed amato.

Matteo 7,21-27
21 Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. 22 Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? 23 Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità. 24 Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. 25 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia. 26 Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia. 27 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande».

 

 

Matteo 7,21-27
Gesù, secondo il racconto che ne fa Matteo riportandone il primo discorso, ha proposto la nuova etica di comportamento rivolta ai discepoli. Essi si sono seduti insieme a Lui sulla montagna e hanno ascoltato quanto Gesù proponeva come una rilettura nuova della Legge e criterio impensabile dei nuovi credenti. Stupiti, corrono il rischio di apprezzare, mostrandosi, nel contempo inadeguati. Gesù rilegge il nostro futuro e vede che facilmente accettiamo di sviluppare le norme liturgiche, le feste, i precetti, ma poi parliamo di Lui solo come maestro, guaritore, speranza umana. Gesù intravede la superficialità di un prossimo impegno di evangelizzazione e non riesce a frenare alcune parole durissime in questo scollamento tra i gesti sacri, miracolistici, di grande spessore che suscitano meraviglia ed il comportamento che è di interesse esclusivo e di chiusura. “Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità” (vv 7,22-23). Gesù vuole offrire due piccole parabole che illustrano il comportamento davanti a Dio, prendendo occasione da una esperienza edilizia di cui tutti avevano una conoscenza diretta o indiretta. Costruire le case era molto faticoso poiché Gerusalemme poggia sulla roccia. Per farsi una casetta, bisognava scalpellare il terreno e porre, quindi, le fondamenta. A questo punto la casa era solida e non temeva poiché nessuna forza poteva sradicarla. La fatica era stata grande, ma ben appoggiata sulla roccia viva, la casa poteva sfidare i drammi e le  tempeste della storia. Chi ha preteso di non dare consistenza alla casa e si è limitato a scavare per porre le fondamenta sulla sabbia (e la tentazione era grande: una buca riempita di terra con un muretto a secco attorno), nei momenti drammatici vede la casa travolta. Essa è senza solidità, solo disponibile per mostrare leggerezza, freschezza, rapidità, capacità di dominare gli eventi e di correggerli indirizzandoli ai propri interessi. “La sua rovina sarà grande”.