XVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO A
20 luglio 2008

Matteo 13, 24-43
Riferimenti : Sapienza 12,13.16-19 - Salmo 85 - Romani 8, 26-27

Sapienza 12,13.16-19
Il libro della Sapienza, molto recente, è scritto ad Alessandria d’Egitto nel I° secolo a. C., per un popolo sparso su tutto il territorio dell’impero, a contatto con tante “genti” con culture e religioni diverse.
Gli Israeliti hanno imparato a reggere con molto rigore la loro fede, riuniti nelle loro sinagoghe e attenti al rispetto della legge. I fedeli, che non sempre sono benestanti e rispettati, anzi spesso poveri e maltrattati, si pongono molte volte le grandi domande
sul male, sulla giustizia di Dio, sull’Alleanza, sulla protezione del suo popolo. Così le loro richieste si addentrano nei grandi e misteriosi disegni di Dio, alla ricerca di una risposta. Sono convinti di uno sguardo particolare del Signore per ogni cosa, sono altrettanto convinti della giustizia e della forza di Dio, ma l’autore biblico li vuole avviare a scoprire che il potere di Dio
conduce alla indulgenza verso tutti e non verso il castigo. Egli, che è potente, non usa la potenza poiché è mite e paziente. Solo colui che pretende di non voler accettare la sua onnipotenza sperimenta la forza di Dio come l’ha sperimentata faraone. E tuttavia il suo dominio universale si estende sui giusti e sugli empi poiché egli si apre verso tutti (16). La lunga storia di sofferenza di Israele, dice l’autore di questo testo, svela un volto impensabile di Dio. Egli è paziente e vuole insegnare al suo popolo che “il giusto deve amare gli uomini” e se Dio non interviene di fronte al male, è perché non vuole la morte del malvagio, ma che si converta e viva (Ez 18,23). Così i
figli hanno scoperto la ricchezza della speranza, avendo sperimentato la possibilità del pentimento (19)
Romani 8, 26-27
Continuando la lettera ai Romani, Paolo ci conduce passo passo  verso il senso della preghiera. L’esperienza della fragilità e della insicurezza apre il cuore allo Spirito. La preghiera, infatti , è difficile. Non sappiamo né come, né che cosa chiedere poiché corriamo il rischio di pretendere e quindi di voler costringere Dio ai nostri desideri, oppure di allinearci alla mentalità corrente del tempo. Solo lo Spirito conosce la ricchezza di Dio e, nello stesso tempo, scruta i nostri cuori: Egli è capace di tradurre le vere domande che a noi riescono incomprensibili perché sono in linea con il pensiero di Dio. Ma lo Spirito non ci abbandona mai e chiede ciò che vale per noi, ciò che è giusto, ciò che l’amore di Dio, sostenendoci, è pronto ad offrire per la nostra vita piena.

 

Salmo 85
Dio di pietà, compassionevole.

Signore, tendi l'orecchio, rispondimi,
perché io sono povero e infelice.
Custodiscimi perché sono fedele;
tu, Dio mio salva il tuo servo, che in te spera.
Pietà di me, Signore,
a te grido tutto il giorno.
Rallegra la vita del tuo servo,
perché a te, Signore, innalzo l'anima mia.
Tu sei buono, Signore, e perdoni,
sei pieno di misericordia con chi ti invoca.
Porgi l'orecchio, Signore, alla mia preghiera
e sii attento alla voce della mia supplica.
Nel giorno dell'angoscia alzo a te il mio grido
E tu mi esaudirai.
Fra gli dèi nessuno è come te, Signore,
e non c'è nulla che uguagli le tue opere.
Tutti i popoli che hai creato verranno
E si prostreranno davanti a te, o Signore,
per dare gloria al tuo nome;
grande tu sei e compi meraviglie:
tu solo sei Dio.
Mostrami, Signore, la tua via,
perché nella tua verità io cammini;
donami un cuore semplice
che tema il tuo nome.
Ti loderò, Signore, Dio mio, con tutto il cuore
E darò gloria al tuo nome sempre,
perché grande con me è la tua misericordia:
dal profondo degli inferi mi hai strappato.
Mio Dio, mi assalgono gli arroganti,
una schiera di violenti attenta alla mia vita,
non pongono te davanti ai loro occhi.
Ma tu, Signore, Dio di pietà, compassionevole,
lento all'ira e pieno di amore, Dio fedele,
volgiti a me e abbi misericordia:
dona al tuo servo la tua forza
salva il figlio della tua ancella.
Dammi un segno di benevolenza;
vedano e siano confusi i miei nemici,
perché tu, Signore, mi hai soccorso e consolato.

Matteo 13, 24-43
In quel tempo Gesù 24 espose loro un'altra parabola «Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. 25 Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. 26 Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. 27 Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? 28 Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? 29 No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. 30 Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete
prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio». 31 Un'altra parabola espose loro: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. 32 Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami». 33 Un'altra parabola disse loro: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti». 34 Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, 35 perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo. 36 Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». 37 Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. 38 Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno, 39 e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. 40 Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41 Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità 42 e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. 43 Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!

Matteo 13, 24-43
Gesù continua, attraverso le parabole, a prospettare l’avventura del Regno ai suoi interlocutori. E Gesù prima parla alle folle lanciando loro un messaggio di riflessione, poi, nella casa, ai discepoli, esplicita la conclusione drammatica di chi non si mette nell’orizzonte della fedeltà e della crescita. La prima parabola viene dall’interrogativo: “Perché il male del mondo non è sradicato da Dio?” Nella parabola il lavoro di semina è stato coscienzioso: grano buono su un terreno fertile. Di notte il nemico semina la zizzania: è abbastanza simile al grano, con grani nerastri, cresce fino a 60 cm e le sue radici si intrecciano a quelle del grano. Il nemico viene di notte, quando si allenta l’attenzione. In tal caso si abbandona la vigilanza e si rischia di lasciarci arrendere alla mentalità del mondo, contrario a Dio. Perciò S. Paolo richiama spesso: “Risvegliatevi dal sonno” (Rm 13,11-12), oppure Gesù stesso nelle parole di Marco: “Vigilate” (Mc 13,35). I servi scoprono dopo mesi, quando ormai tutto è cresciuto e visibile, che insieme sono cresciuti grano e zizzania. Immediata la volontà di strappare la zizzania come prima reazione. Essa sorge dalla paura di non reggere, dal male che si può ricevere, dalla sfiducia sul domani. In fondo, immediatamente si vuol fare piazza pulita senza alcuna remora. Si dice: “Incominciamo ad eliminare il male. Poi si vedrà”. Gesù richiama all’equilibrio ed alla pazienza: maturare può far prendere coscienza, e cambiare. I giudizi affrettati possono travolgere il bene che c’è. Ciò che vale deve irrobustirsi per mostrare il proprio valore e riscattarsi. Nella Chiesa stessa c’è la consapevolezza della prima Comunità cristiana che sa di non essere fatta di santi, ma di uomini e di donne che possono sbagliare. Tutto il mondo è nelle mani di Dio ma tutti si giocano sul Patto dell’alleanza di due libertà che si incontrano nel tempo, nonostante la fatica dell’attesa e della pazienza. Altre due brevi parabole (vv. 31-35) contengono lo stesso messaggio. Tanto all’inizio i semi sono piccoli e insignificanti, e tanto producono a dismisura, quando accettano il progetto di Dio: “Il chicco di grano muore e fa frutto” (Gv12,24); il lievito viene sepolto in 50 Kg di farina, non si confonde, ma fa lievitare tutto. La spiegazione della parabola, tuttavia, acquista un particolare sapore che probabilmente tocca la Comunità cristiana di Matteo. Ormai, questa comunità è a distanza di circa 50 anni dalla morte e dalla risurrezione di Gesù. E mentre all’inizio si è sviluppato un grande entusiasmo, ora la fede si sta raffreddando in una religiosità più rilassata e banale. La spiegazione di Matteo usa toni molti forti, carichi di immagini terrificanti che non pretendono, però, di raccontare la fine del mondo, ma vogliono mettere in guardia da superficialità e lassismo. Il tempo del rendiconto viene, ma, nella fedeltà,ci renderemo conto di vedere e di sentire un fuoco che brucia il male e purifica
il nostro cuore.

 C'è un campo nel cuore in cui intrecciano le loro radici, spesso inestricabili, il bene e il male: nessuno è solo zizzania, nessuno puro grano. La parabola racconta due modi di leggere e lavorare il cuore. Il primo è quello dei servi che fissano l'attenzione sulla zizzania: «Da dove viene? Vuoi che andiamo a raccoglierla?» Il secondo è quello del padrone del campo che ha invece gli occhi fissi al buon grano: «Non raccogliete la zizzania, per non sradicare anche il grano: una sola spiga conta più di tutta la zizzania». Quale dei due sguardi è il nostro? Quello opaco e triste dei servi che vede il mondo e le persone invasi dal male, che giudica con durezza manichea? Quello positivo e solare del signore che intuisce, dovunque, spighe, pane e mietiture fiduciose, e che ha messo la sua forza nella mitezza? «Non strappate la zizzania». Noi abbiamo sempre una violenta fretta di moralizzare e mettere a posto. L'uomo infantile che è in noi grida: strappa via da te, e soprattutto intorno a te, ciò che è puerile, fragile, difettoso. Il signore del campo suggerisce: preoccupati del buon seme, ama i tuoi germi di vita, custodisci ogni germoglio. Tu non sei le tue debolezze, ma le tue maturazioni; l'uomo non coincide con i suoi peccati, ma con le potenzialità di bene. Vero esame di coscienza è leggere la vita con quello sguardo divino che cerca non l'assenza di difetti, illusione inutile e spesso mortifera, ma la fecondità come etica della vita. Impariamo a vedere ciò che di vitale, di bello, di promettente Dio ha seminato in noi (non è orgoglio, ma responsabilità), facciamo sì che porti frutto, che ogni granellino di senapa cresca con il dono di attrarre e accogliere vite, che ogni pizzico di lievito abbia il tempo per sollevare e rialzare i giorni inerti. Facciamo nostra l'attività positiva, solare, vitale del Creatore che per vincere le tenebre accende ogni giorno il suo mattino, per muovere la massa immobile vi nasconde il lievito. Preoccupiamoci non della zizzania, dei difetti, delle debolezze, ma di avere un amore grande, ideali forti, desideri positivi, una venerazione profonda per le forze di bontà, generosità e coraggio che la mano viva di Dio semina in noi. Facciamo che esse erompano in tutta la loro bellezza, in tutta la loro potenza, e vedremo le tenebre ritirarsi e la zizzania senza più terreno. E tutto il nostro essere maturare nel sole.