XXV DOMENICA TEMPO ORDINARIO A
21 settembre 2008

Matteo 20,1-16
Riferimenti : Isaia 55, 6-9 - Salmo 144 - Filippesi 1,20c-27

Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre. Grande è il Signore e degno di ogni lode; senza fine è la sua grandezza Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature. Giusto è ilSignore in tutte le sue vie e buono in tutte le sue opere. Il Signore è vicino a chiunque lo invoca, a quanti lo invocano con sincerità.
Isaia 55, 6-9
Isaia preannuncia che il popolo è alla fine del tempo dell’esilio. Il re persiano Ciro ha già decretato il ritorno in Israele da Babilonia e i più nostalgici vivono ormai ansiosi il gusto del ritorno imminente. - E’ finalmente il tempo in cui Dio si fa trovare. Si avverano le parole di Geremia scritte alcuni decenni prima: “Quando si compiranno 70 anni in Babilonia io mi occuperò di voi... mi invocherete, mi cercherete e mi incontrerete” (Ger. 29,10-14). - Ritorna anche l’impegno di conversione. Deve essere, infatti, un cammino all’interno di una interiorità che riveda, tuttavia, l’immagine di Dio. Nei nostri schemi mentali Dio è il giustiziere che premia e castiga. E invece è il Dio della misericordia. Se libera, non è per un riconoscimento di una nostra giustizia ma regalo che permette di incontrarlo davvero come misericordioso. “Convertiti”, significa, prima di tutto: “Cercami e guardami in un modo nuovo”. Così puoi ritrovarti davanti al vero volto del Signore. - La grandezza di Dio squarcia gli orizzonti. I nostri pensieri sono piccoli e scontati. Quelli di Dio sono grandi, impensabili, carichi di stupore e di speranza. Nel Vangelo dopo i miracoli di Gesù la gente si stupisce, loda il Signore e dice: “Mai nessuno è come Lui”. Questa meraviglia esprime la novità dei pensieri di Dio.
Filippesi 1,20c-27
S. Paolo scrive ai Filippesi a metà degli anni 50 dal carcere di Efeso: egli si trova in attesa di una soluzione che può anche avere un esito letale per una possibile condanna a morte. Egli tuttavia si sente libero per il suo rapporto vivo e profondo con Gesù: egli si sente pronto, sia che venga eliminato sia che venga liberato, come spera. Nel primo caso egli renderà testimonianza a Cristo in pienezza ed esprimerà totalmente amore e disponibilità, nel secondo caso continuerà a proclamare il Vangelo. Se dovesse seguire l’impulso del desiderio, volentieri scioglierebbe gli ormeggi per entrare, oltre la morte, in piena comunione con Cristo. Ma guardando alle esigenze della missione e a quanto ancora c’è da fare, sceglie di continuare ad operare per il progresso e la gioia dei credenti. Infatti il messaggio che porta non è moralismo che induce alla tristezza ma “lieto annuncio” per la letizia della comunità dei credenti. L’invito è quello della generosità e della pienezza, con amicizia e unità per superare l’oppressione. 

Matteo 20,1-16
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: 1 «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2 Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. 3 Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati 4 e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. 5 Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. 6 Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? 7 Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. 8 Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. 9 Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10 Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. 11 Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: 12 Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattaticome noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. 13 Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. 15 Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? 16 Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi».

Matteo 20, 1-16
La parabola di Gesù é rivolta ai suoi discepoli poiché solo chi segue Gesù la può capire e accettare. Il simbolo comune anche ad altre parabole è la vigna. E nella Bibbia la vigna fa ricordare l’amore, la premura, la tenerezza di Dio verso il popolo che invece ricambia con infedeltà e rifiuto (Is 5). - Le ore di lavoro sono 12, dalle 6 di mattina alle 18 di sera circa, a secondo del corso del sole. - Il padrone é preoccupato dei lavori e va ad ingaggiare tutti i lavoratori che si trovano liberi, sulla piazza alle varie ore del giorno. - Qui tutti rispondono e lavorano per quel tempo che loro resta. - La sorpresa è per la paga: Il padrone ha contrattato un danaro per i primi, ha garantito il “giusto” per i secondi e non ha detto nulla agli altri. Ora tutti ricevono la paga dei primi: anche gli ultimi. - Quello che lascia perplessi i primi non è il danaro (problema economico) ma l’uguaglianza di trattamento. L’uomo continua, infatti, a misurarsi sugli altri uomini ricavando motivo di invidia. - Dio invece è libero. Egli dà un dono gratuito molto alto a cui nessun diritto, neppure quello dell’aver lavorato a lungo, può stare alla pari. Alla sua chiamata, che può essere in ogni ora del giorno, bisogna rispondere, anche se poi il Signore mostra i suoi criteri diversi, che comunque nascono da “un cuore buono”. - Se la nostra giustizia si volesse ispirare alla giustizia di Dio, dovremmo cercare di tener conto non solo delle prestazioni fatte per pagare quanto è giusto ma dovremmo tener conto anche dei bisogni per aiutare con solidarietà. Non si può intravedere, in questo caso, il salario familiare? Se uno non è colpevole d’aver rifiutato il lavoro ma, nel precariato, lavora per quello che trova, la sua famiglia deve poter campare ugualmente. - Il modo di comportarsi del Signore è misterioso, comunque. E il Signore, semplicemente, lo dice “buono”. - Dio non va contro la giustizia ma la supera con amore; egli non misura sull’efficienza. - Il Signore ci tratta come collaboratori con cui condividere una preoccupazione, non come servi che bisogna soprattutto pagare: sviluppa, infatti, uno stile di condivisione. - Il Signore supera il merito e la disuguaglianza perché innalza il povero al primo posto: “E’ il significato dell’avere un occhio buono”. Infatti non ci sono primi o ultimi ma ci sono figli. - I primi si comportano come il fratello maggiore della parabola del “figliol prodigo”(Lc.15,11-31). Si sentono padroni, poi si sentono sfruttati. Non riescono a capire le scelte del Padre.

Finalmente un Dio che non è un "padrone", nemmeno il migliore dei padroni. È altra cosa: è il Dio della bontà senza perché, che crea una vertigine nei normali pensieri, che trasgredisce le regole del mercato, che sa ancora saziarci di sorprese. Intanto è il signore di una vigna: fra tutti i campi la vigna è quello dove il contadino investe più passione e più attese, con sudore e poesia, con pazienza e intelligenza. È il lavoro che più gli sta a cuore: per cinque volte infatti, da uno scuro all'altro, esce a cercare lavoratori. È questa terra la passione di Dio, e coinvolge me nella sua custodia; è questa mia vita che gli sta a cuore, vigna da cui attende il frutto più gioioso. Eppure mi sento solidale con gli operai della prima ora che contestano: non è giusto dare la medesima paga a chi fatica molto e a chi lavora soltanto un'ora. È vero: non è giusto. Ma la bontà va oltre la giustizia. La giustizia non basta per essere uomini. Tanto meno basta per essere Dio. Neanche l'amore è giusto, è un'altra cosa, è di più. Se, come Lui, metto al centro non il denaro, ma l'uomo; non la produttività, ma la persona; se metto al centro quell'uomo concreto, quello delle cinque del pomeriggio, un bracciante senza terra e senza lavoro, con i figli che hanno fame e la mensa vuota, allora non posso contestare chi intende assicurare la vita d'altri oltre alla mia. Dio è diverso, ma è diversa pienezza. Non è un Dio che conta o che sottrae, ma un Dio che aggiunge continuamente un di più. Che intensifica la tua giornata e moltiplica il frutto del tuo lavoro. Non fermarti a cercare il perché dell'uguaglianza della paga, è un dettaglio, osserva piuttosto l'accrescimento, l'incremento di vita inatteso che si espande sui lavoratori. Nel cuore di Dio cerco un perché. E capisco che le sue bilance non sono quantitative, davanti a Lui non è il mio diritto o la mia giustizia che pesano, ma il mio bisogno. Allora non calcolo più i miei meriti, ma conto sulla sua bontà. Dio non si merita, si accoglie. Ti dispiace che io sia buono? " No, Signore, non mi dispiace, perché sono l'ultimo bracciante e tutto è dono. No, non mi dispiace perché so che verrai a cercarmi anche se si sarà fatto tardi. Non mi dispiace che tu sia buono. Anzi. Sono felice che tu sia così, un Dio buono che sovrasta le pareti meschine del mio cuore fariseo, affinché il mio sguardo opaco diventi capace di gustare il bene.