
IX Domenica dopo Pentecoste
14 agosto 2011
Marco. 2, 1-12
Riferimenti : secondo Samuele. 12,
1-13 - Salmo 31 - Seconda lettera di san Paolo Corinzi. 4, 5b-14
| In te, Signore, mi sono rifugiato, mai
sarò deluso; per la tua giustizia salvami. Porgi a me
l'orecchio, vieni presto a liberarmi. Sii per me la rupe che mi
accoglie, la cinta di riparo che mi salva. Tu sei la mia roccia
e il mio baluardo, per il tuo nome dirigi i miei passi.
Scioglimi dal laccio che mi hanno teso, perché sei tu la mia
difesa. Mi affido alle tue mani; tu mi riscatti, Signore, Dio
fedele. Tu detesti chi serve idoli falsi, ma io ho fede nel
Signore. Esulterò di gioia per la tua grazia, perché hai
guardato alla mia miseria, hai conosciuto le mie angosce; non mi
hai consegnato nelle mani del nemico, hai guidato al largo i
miei passi. |
| secondo Samuele. 12,
1-13 In quei giorni. Il Signore mandò il profeta Natan
a Davide, e Natan andò da lui e gli disse: «Due uomini erano
nella stessa città, uno ricco e l’altro povero. Il ricco aveva bestiame minuto e
grosso in gran numero, mentre il povero non aveva nulla, se non
una sola pecorella piccina, che egli aveva comprato. Essa era
vissuta e cresciuta insieme con lui e con i figli, mangiando del
suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno. Era
per lui come una figlia. Un viandante arrivò dall’uomo ricco e
questi, evitando di prendere dal suo bestiame minuto e grosso
quanto era da servire al viaggiatore che era venuto da lui,
prese la pecorella di quell’uomo povero e la servì all’uomo che
era venuto da lui». Davide si adirò contro quell’uomo e disse a
Natan: «Per la vita del Signore, chi ha fatto questo è degno di
morte. Pagherà quattro volte il valore della pecora, per aver
fatto una tal cosa e non averla evitata». Allora Natan disse a
Davide: «Tu sei quell’uomo! Così dice il Signore, Dio d’Israele:
“Io ti ho unto re d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul,
ti ho dato la casa del tuo padrone e ho messo nelle tue braccia
le donne del tuo padrone, ti ho dato la casa d’Israele e di
Giuda e, se questo fosse troppo poco, io vi aggiungerei anche
altro. Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore,
facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada
Uria l’Ittita, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai ucciso
con la spada degli Ammoniti. Ebbene, la spada non si allontanerà
mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato e hai preso in
moglie la moglie di Uria l’Ittita”. Così dice il Signore: “Ecco,
io sto per suscitare contro di te il male dalla tua stessa casa;
prenderò le tue mogli sotto i tuoi occhi per darle a un altro,
che giacerà con loro alla luce di questo sole. Poiché tu l’hai
fatto in segreto, ma io farò questo davanti a tutto Israele e
alla luce del sole”». Allora Davide disse a Natan: «Ho peccato
contro il Signore!». Natan rispose a Davide: «Il Signore ha
rimosso il tuo peccato: tu non morirai.
Davide è un uomo intelligente, passionale e, insieme,
violento, vendicativo e fedele a Dio. La sua vita è raccontata
dall'autore biblico come un insieme di infiniti episodi di
protezione, di misericordia da parte di Dio, ma anche di guerre,
di conquiste e di tragedie familiari. Natan è un amico di
famiglia che si è assunto il compito di essere la coscienza
critica del re, poiché ogni re doveva rappresentare la giustizia
di Dio con tutte le caratteristiche di intelligenza, di
rettitudine e di misericordia. Chi deve fare giustizia deve
essere, lui prima di tutto, giusto. Natan non fa una predica a
Davide ma racconta una parabola di vita quotidiana in cui si
riflettono i vizi e le virtù, le giustizie e le ingiustizie.
Davide ha peccato, inizialmente, sotto l’impeto della passione
ma anche di stordimento e di pigrizia. C’è una guerra in corso,
ma egli ha preferito restare a Gerusalemme e mandare il suo
esercito, sicuro di vincere e sazio di beni. L’adulterio con
Bersabea è considerato un fatto occasionale, disposto a dimenticarlo se
non ci fosse stato, in seguito, l’annuncio del concepimento di
un figlio. A questo punto il re deve preoccuparsi della sua
reputazione, e sente che quel figlio concepito da una donna
sposata non può essere suo agli occhi del suo popolo. Così
organizza, con astuzia e perfidia, una scappatoia che produce
disastri, lacerazioni e morte. Ma raggiunge lo scopo di sentire della morte di Uria per mano dei suoi
nemici. Così si sente tranquillo ed in pace con sé stesso. Anzi
dimostra magnanimità poiché agli occhi di tutti Davide si fa
protettore delle vedove e accoglie nel suo harem e nella sua
reggia chi è rimasta sola. Dio smaschera l’ipocrisia attraverso
il suo profeta che deve diventare un coraggioso difensore della
legge di Dio. Davide seriamente viene ricondotto alla
consapevolezza e seriamente chiede perdono. E Davide si sente
perdonato attraverso le parole del profeta. Ma ascolta anche un
futuro di tragedia sulla propria casa. Questo testo è
probabilmente frutto della riflessione teologica successiva che
rilegge le vicende di Davide e cerca di cogliere il senso di ciò
che spesso viene chiamato il castigo di Dio. E’ il male che
produce da sé le tossine ed il veleno. Già nel Primo Testamento
si dice:”Il male si riverserà su chi lo fa” (Sir 27,27) e il
profeta Geremia ricorda che “La tua stessa malvagità ti castiga
e le tue ribellioni ti puniscono” (2,19). Infatti almeno tre dei
figli di Davide moriranno in modo violento, e al di là del
pensiero corrente del castigo di Dio, Davide è stato incapace ad
educare i propri figli i quali si sono alimentati, in particolare, dell’orgoglio e dello
spirito violento di Davide stesso. Il male produce male nella
società, nella famiglia, nel quartiere e diventa difficile
contrastarlo. Eppure la lotta contro il male è il compito di
ciascuno, superando diffidenze e contrasti. Dio stesso perdona.
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Seconda lettera di san Paolo
apostolo ai Fratelli, quanto a noi,
siamo i vostri servitori a causa di Gesù. E Dio, che disse: «Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria
di Dio sul volto di Cristo. Noi però abbiamo questo tesoro in
vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza
appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non
schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma
non abbandonati; colpiti, ma non uccisi, portando sempre e
dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita
di Gesù si manifesti nel nostro corpo. Sempre infatti, noi che
siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù,
perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne
mortale.Cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita. Animati
tuttavia da quello stesso spirito di fede di cui sta scritto: Ho
creduto, perciò ho parlato, anche noi crediamo e perciò
parliamo, convinti che colui che ha risuscitato il Signore Gesù,
risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme
con voi.
Paolo viene contestato nella sua comunità di Corinto da
persone che vengono dall'esterno e quindi da credenti che hanno
accettato critiche e diffamazioni. Paolo sa di dover vivere una
testimonianza faticosa e tuttavia non vuole scoraggiarsi perché
questo suo ministero è frutto della misericordia del Signore
verso di lui. Egli sta rivendicando la sua franchezza
nell'annunciare il Vangelo e riprende perciò una riflessione che
aveva troncato alcuni versetti prima: "Forti di tale speranza,
ci comportiamo con molta franchezza" (3,12). E non fa come Mosé
(3,7-17) il quale, dopo aver parlato con Dio, mostrava sì un
volto luminoso che inizialmente abbagliava i suoi ascoltatori.
Ma poi, dice Paolo, quella luminosità veniva meno e Mosé
continuava a tenere il velo perché non ci si accorgesse che
quella luce era "effimera". Paolo rivendica di essere stato
sincero, senza astuzia e senza falsificazioni. La sua luce non è
effimera. E’ quella che Gesù sa offrire ad ogni credente in Lui. Accettando di rispondere ad ogni coscienza e a Dio stesso che
lo aveva inviato, rivendica il suo apostolato. Si rende conto
che alcuni avversari hanno reagito con diffidenza, negandogli
fiducia. Di loro è preoccupato, soprattutto perché la loro
incredulità può essere pensata come conseguenza di un cattivo
comportamento di Paolo stesso. Paolo invece insiste che è il dio
di questo mondo che li ha accecati e non sanno vedere "lo splendore del Vangelo glorioso di Cristo che
è immagine di Dio". La luce di Gesù ha iniziato a splendere nel
cuore degli apostoli e di Paolo. Il loro compito è quello di far
splendere, a loro volta, la luce di Gesù nel mondo, portata
dalla testimonianza della fede di chi ha vissuto con Gesù e ha
condiviso con lui il cammino. E tuttavia, mentre si difende,
riconosce che il Vangelo è custodito in vasi di creta, nella sua
debolezza e infermità. Ma più che riferimento al corpo (lettura
greca) c’è la consapevolezza della fragilità di tutta la persona
(lettura ebraica). Eppure proprio questa fragilità manifesta "la
potenza straordinaria di Dio". Paolo sa che la sua vita non è un
grande esempio di successo o di popolarità, perché "tribolati da
ogni parte" ma non disperati, perseguitati eppure soprattutto
coscienti di non essere abbandonati. Paolo è consapevole che
l'operosità e la missione che lo stimolano lo fanno diventare
fiducioso agli occhi di coloro che incontra. Egli ha creduto e
quindi parla. E così, nonostante la propria fatica, i cristiani
di Corinto sono santificati dallo Spirito che vivifica ciascuno,
e sono consci che la fede alimenterà ogni giorno la convinzione
della risurrezione, “ponendoci accanto a lui” nella gloria
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Marco. 2, 1-12
In quel tempo. Il Signore Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era
più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola. Si
recarono da lui portando un paralitico, sorretto da quattro persone. Non potendo
però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel
punto dove egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono la barella su cui era
adagiato il paralitico. Gesù, vedendo la loro fede, disse al paralitico:
«Figlio, ti sono perdonati i peccati». Erano seduti là alcuni scribi e pensavano
in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può perdonare i peccati,
se non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano
tra sé, disse loro: «Perché pensate queste cose nel vostro cuore? Che cosa è più
facile: dire al paralitico “Ti sono perdonati i peccati”, oppure dire “Àlzati,
prendi la tua barella e cammina”? Ora, perché sappiate che il Figlio dell’uomo
ha il potere di perdonare i peccati sulla terra, dico a te – disse al paralitico –: àlzati, prendi la tua
barella e va’ a casa tua». Quello si alzò e subito presa la sua barella, sotto
gli occhi di tutti se ne andò, e tutti si meravigliarono e lodavano Dio,
dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».
Il racconto che Marco sviluppa ha un forte messaggio teologico e segue le
grandi scelte che Gesù ha operato. Nel primo capitolo l’inizio della predicazione
di Gesù corrisponde al “lieto annuncio” che affronta, insieme, le emarginazioni
del suo tempo: guarisce l’indemoniato (lotta contro l’alienazione), guarisce una
donna, la suocera di Pietro (lotta contro la discriminazione femminile) e
guarisce il lebbroso (lotta contro l’esclusione sociale). Tutti e tre sono rimessi al centro dell’attenzione ed
accolti nella convivenza umana. Nel II capitolo l’accoglienza si allarga al
mondo intero, paralizzato dal male, incapace di cammino e condannato. L’incontro
con Gesù è curioso. La casa, dove Egli insegna, è piena di gente, con i grandi
ed esigenti cultori della legge ed è impraticabile da chiunque altro voglia
incontrare. Questa casa rappresenta la “Casa d’Israele” entro cui ci si trova e
si discute. Quattro portatori ed un paralitico non sanno come incontrare Gesù e
quindi inventano un approccio completamente nuovo, imprevedibile, che obbliga a
far posto. E’ come sventrare la casa per aprire un varco anche agli estranei,
agli altri impensabili ospiti non graditi. Il numero 4 dei portatori ci offre
l’indizio che qui siamo di fronte all’umanità intera, impoverita, paralitica,
incapace di soluzione. Solo Gesù è una speranza. E senza che nessuno chieda niente, neppure il paralitico, basta che
ci si trovi, faccia a faccia, con Gesù perché Egli accetti di entrare nel merito
di questa povertà e va alle radici. Siamo in un mondo desertificato dal male e
dal peccato. Finché nessuno sa dire una parola autentica di perdono e finché non c’è qualcuno che garantisce
che Dio, comunque, ti è amico, il mondo continua nella sua paralisi e nella sua
disperazione. Di fronte al male si sono trovate tante ipotesi. Si è pensato che
fosse una macchia da lavare o un peso da appoggiare sulle spalle di qualcuno. Da
qui i richiami ai bagni rituali o alle tante cerimonie in cui venivano impiegati
il sangue, il fuoco o gli animali in sacrificio e i capri espiatori che poi
venivano inviati a morire nel deserto, avendoli caricati dei peccati del popolo.
Si è anche pensato al peccato come una ingiustizia nei confronti di un altro
uomo e quindi non si è pensata altra soluzione se non il riparare il danno
arrecato. Si è anche pensato che non ci fosse possibilità di redenzione di fronte al
male che corrode e si espande. Così si pensava e si pensa che finalmente verrà
Dio giudice e distruggerà i malvagi. Gesù si rivolge al paralitico chiamandolo
“Figliolo” con tenerezza. L’umanità è sempre stata amata da Dio e i sentimenti sono espressi “dall’amore viscerale” della
donna verso il suo bambino (significato del termine “amore di Dio” in ebraico)..
Ogni persona, anche se non pentita, resta figlio amato di Dio. Il giorno in cui
prendiamo atto del perdono di Dio poiché accettiamo di essere amati, nonostante
ciò che facciamo, e provvediamo a cambiare stile di vita sulla linea che Gesù ha
suggerito, quel giorno il perdono di Dio, già presente e già offerto, diventa operativo e ci offre la possibilità di collaborare con il Signore a cambiare
il mondo. Il compito di Dio non è quello di punire ma quello di sradicare dal
male. Lo stupore degli scribi si sviluppa non solo per il perdono accordato, ma
perché è un perdono dato da un uomo. La parola nuova di una comunità, in
particolare dei discepoli di Gesù, è capace di abilitare le persone a riprendere
la propria strada, a tornare a casa propria. In sintesi: - Davide riconosce il
male fatto ed è perdonato pur dovendo, poi affrontare, i problemi della violenza
che il male ha suscitato. - San Paolo si rende contro della fragilità propria e
degli altri, ma sa di poter confidare nel Signore. - Gesù avvisa la sua comunità
che, con la sua croce, ha perdonato i peccati di tutti e invita noi a
testimonianza di pace e di non violenza, |