
Domenica che precede il Martirio del Precursore
28 agosto 2011
Marco. 12, 13-17
Riferimenti : primo dei Maccabei. 1, 10. 41-42; 2, 29-38 - Salmo
118 - Efesini. 6, 10-18
Celebrate il Signore, perché è buono;
perché eterna è la sua misericordia. Dica Israele che egli è
buono: eterna è la sua misericordia. Lo dica la casa di Aronne:
eterna è la sua misericordia. Lo dica chi teme Dio: eterna è la
sua misericordia. Nell'angoscia ho gridato al Signore, mi ha
risposto, il Signore, e mi ha tratto in salvo. Il Signore è con
me, non ho timore; che cosa può farmi l'uomo? Il Signore è con
me, è mio aiuto, sfiderò i miei nemici. È meglio rifugiarsi nel
Signore che confidare nell'uomo. È meglio rifugiarsi nel Signore
che confidare nei potenti. |
primo dei Maccabei. 1, 10.
41-42; 2, 29-38 In quei giorni.Uscì da loro una
radice perversa, Antioco Epìfane, figlio del re Antioco, che era
stato ostaggio a Roma, e cominciò a regnare nell’anno
centotrentasette del regno dei Greci.e i suoi figli
l’abbandonarono. Poi il re prescrisse in tutto il suo regno che
tutti formassero un solo popolo e ciascuno abbandonasse le
proprie usanze. Tutti i popoli si adeguarono agli ordini del re.
Allora molti che ricercavano la giustizia e il diritto scesero
nel deserto, per stabilirvisi con i loro figli, le loro mogli e
il bestiame, perché si erano inaspriti i mali sopra di loro. Fu
riferito agli uomini del re e alle milizie che stavano a
Gerusalemme, nella Città di Davide, che laggiù, in luoghi
nascosti del deserto, si erano raccolti uomini che avevano
infranto l’editto del re. Molti corsero a inseguirli, li
raggiunsero, si accamparono di fronte a loro e si prepararono a
dare battaglia in giorno di sabato. Dicevano loro: «Ora basta!
Uscite, obbedite ai comandi del re e avrete salva la vita». Ma
quelli risposero: «Non usciremo, né seguiremo gli ordini del re,
profanando il giorno del sabato». Quelli si precipitarono
all’assalto contro di loro. Ma essi non risposero loro, né
lanciarono pietre, né ostruirono i nascondigli, dichiarando:
«Moriamo tutti nella nostra innocenza. Ci sono testimoni il
cielo e la terra che ci fate morire ingiustamente». Così quelli
si lanciarono contro di loro in battaglia di sabato, ed essi
morirono con le mogli e i figli e il loro bestiame, in numero di
circa mille persone.
I 2 libri dei Maccabei raccontano le vicende del popolo
ebraico negli anni che vanno dal 170 al 130 a. C., mentre la
Palestina è dominata dai Seleucidi che risalgono, con il loro
potere, alla spartizione dell’impero, conquistato da Alessandro
Magno e suddiviso tra i suoi generali alla sua morte, avvenuta
nel 323 a. C. Nel 174 a.C. il governo viene assunto da Antioco
IV Epifane (“incarnazione di Giove”) che governa la Siria e che
vuole ellenizzare il popolo d’Israele. Ci sono state diverse
vicende e diverse posizioni che sono andate radicalizzandosi
fino a diventare scontro religioso e quindi, via via, scontro di
eserciti. Con questi libri il popolo d’Israele vuole far fare
memoria della resistenza che si costituisce come una guerriglia
partigiana, per lo più, ma anche con scontri di eserciti, per lo
meno con quelle truppe che la Siria invia per sottomettere e
vincere i rivoltosi. Il cuore di questa resistenza attiva si
costituisce attorno alla famiglia dei Maccabei. Il nuovo re
ellenista coltiva la prospettiva di costituire “un solo popolo”;
ma il progetto politico diventa pericoloso quando vengono
abbandonate le proprie tradizioni, soprattutto religiose, e ci
si deve sottomettere a mentalità straniere. Viene così
abbandonato il riposo del sabato, vengono accolti culti pagani
(da non dimenticare che il tempio di Gerusalemme è stato
completamente saccheggiato e, quindi trasformato nel tempio di
Giove); sono proibiti e distrutti i libri sacri, pena la morte
per chi li possiede, si incoraggiano unioni matrimoniali con i
pagani. La guerra partigiana inizia con la reazione di
Mattatia, capostipite della famiglia Maccabei, che rifiuta di
sacrificare agli dei, “uccide un giudeo che vuole sacrificare
secondo l’ordine del re e uccide, nello stesso tempo, il
messaggero del re che vuole indurre al sacrificio” (1Macc
2,23-26). Tra coloro che si danno alla macchia ci sono
persone che, pur di obbedire alla legge del sabato, non si
difendono e vengono così trucidate. Mattatia che è diventato,
per acclamazione, capo della rivolta, risolve il problema in una
decisione unanime, proclamando la legittimità della difesa
armata anche di sabato e così viene espressa dalla scuola
farisaica: “Noi combatteremo contro chiunque venga a darci
battaglia anche in giorno di sabato” (2,41). Il testo dimostra
che l’oppressione comincia quando si deforma con la violenza o
con la suggestione la linea morale e religiosa di un popolo.
Difendere la libertà religiosa è l’inizio di una libertà più
ampia che porta ogni uomo e donna ad essere rispettati nelle
proprie esigenza fondamentali e nei propri diritti universali.
Come è scorretto accontentarsi della libertà di culto senza
procedere all’attenzione di una liberazione profonda delle
persone, così non è nella linea credente non occuparsi di una
visione più ampia delle nostre attenzioni: ci sono molte povertà
materiali e morali che vanno prese in carico, verificate e
sostenute insieme. |
Efesini. 6, 10-18
Fratelli, rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua
potenza. Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle
insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro la
carne e il sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i
dominatori di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del
male che abitano nelle regioni celesti. Prendete dunque
l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo
e restare saldi dopo aver superato tutte le prove. State saldi,
dunque: attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della
giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo
della pace. Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale
potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; prendete
anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la
parola di Dio. In ogni occasione, pregate con ogni sorta di
preghiere e di suppliche nello Spirito, e a questo scopo
vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi.
Il capitolo 6 propone una prima breve raccolta di
suggerimenti etici rivolti ai figli, ai genitori, agli schiavi
ed ai padroni. In tal modo Paolo ha impostato linee morali di
relazioni, legate da rapporti naturali e istituzionali, nella
prospettiva di reciprocità e fraternità, a somiglianza di quello
che deve avvenire nella comunità. Ma la vita quotidiana si
allarga ad infinite altre situazioni e occasioni per ciascuno
che deve vivere con responsabilità, affrontando nella fede, il
bene e il male, le potenze e la suggestione, la fatica e la
solitudine, lo sconforto e la sconfitta. Paolo sintetizza la
vita cristiana come fedeltà e testimonianza, sapendo che solo il
Signore sa offrirne la forza. La vita quotidiana è un
combattimento di fronte a cui bisogna attrezzarsi e per cui
bisogna pregare. Ci sono degli avversari potenti, che non sono
soltanto persone umane, “fatte di carne e sangue” (6,12), ma
sono potenze: principati e potestà, signori della tenebra,
potenze demoniache che dominano il mondo, davanti a cui bisogna
resistere con forza. Si risentono qui una terminologia ed un
mondo propri della mentalità giudaica che esaspera e personifica
la lotta contro Gesù e il mondo di Dio e che, quindi, vuole
travolgere anche il mondo dei discepoli e dei credenti.
Affascinati dalla potenza e dalla forza dell’esercito romano in
assetto di guerra, vengono trasposti sul cristiano le
attrezzature e l’equipaggiamento di difesa e di offesa del
soldato romano, come esemplificazione di valori e forze di Dio
che combattono le potenze del male. L’armatura di Dio, la
cintura della verità, la corazza della giustizia, le calzature,
lo scudo, la spada e l’elmo completano la garanzia di una difesa
che sa rischiare il pericolo, difendere la fede,percorrere le
strade del mondo, comunicare una Parola nuova, offrendo lo
Spirito. Tutto l’armamentario è attrezzatura di difesa tranne la
spada, la Parola che ricrea, arma offensiva che apre un varco e
comunica lo Spirito. La raccomandazione della preghiera vuole
raggiungere più scopi: la consapevolezza della fragilità, la
garanzia di essere aiutati e il ricupero della speranza perché
ci si attrezza anche di “vigilanza”. E la vigilanza si sviluppa
“ in ogni perseveranza e in supplica per tutti i discepoli”,
compagni di viaggio delle proprie comunità.
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Marco. 12, 13-17
In
quel tempo. I sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani mandarono da lui alcuni
farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. Vennero e gli dissero:
«Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non
guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o
no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?». Ma egli, conoscendo la
loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un
denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa
immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse
loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».
E rimasero ammirati di lui.
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Ecco
il "denarius" d'argento recante l'effige e il nome di Tiberio Cesare
Augusto |
L’episodio è raccontato in termini pressoché identici in Matteo (22,15-22),
in Luca (20,20-26) e in Marco (12,13-17). A Gesù viene proposto un quesito morale da parte di un gruppo di farisei ed erodiani, che, insieme,
vogliono risolvere correttamente e con giustizia un problema di coscienza. Ma il
problema è quanto mai delicato e pericoloso ed i presentatori, insieme, sono
solo d’accordo nel porre la domanda. La soluzione, essi pensano, comunque fosse
formulata, mette in contraddizione l’interlocutore: con l’autorità romana,
spalleggiata dagli erodiani nel caso Gesù rispondesse che è illecito pagare un
invasore; oppure, nel caso Gesù voglia suggerire la liceità del pagare le tasse,
sarebbe sospettato di collusione con il potere e i farisei ne farebbero una
propaganda feroce contro. Così una buona fascia di ebrei avrebbe sentito la
risposta come un insulto poiché la risposta faceva correre il rischio di
incappare anche in una delazione e in un processo, oppure, per lo meno, al
discredito davanti al popolo. Così ne soffrirebbe la credibilità del profeta
Siamo nell’ultima settimana di vita di Gesù che si trova nel tempio di
Gerusalemme. Ogni persona dai 12 anni (se donna) o 14 anni (se uomo), fino ai 65
anni deve pagare all’erario romano un danaro all’anno (testatico), equivalente
ad una giornata di lavoro. Per esigere questa tassa si sono fatti i censimenti,
considerati, perciò, strumenti di dominio, potenza e sfruttamento. Gli
interlocutori di Gesù iniziano adulando la correttezza e la libertà del
“maestro”. Lo hanno chiamato “maestro” e Gesù sente il dovere di rispondere.
Chiede una moneta (che Gesù non ha) ma che gli interlocutori trovano facilmente,
mostrando però che disobbediscono alla legge poiché, nel tempio, una immagine
umana scolpita, anche se su una moneta, lo profana. Il danaro di Tiberio Cesare,
imperatore in quel momento, ha da un lato la rappresentazione dell’imperatore di
Roma e sul retro il titolo di Sommo Pontefice e l’immagine di una donna seduta,
simbolo della pace,forse Livia, madre di Tiberio. Se estraggono la moneta, è
perché la usano, vengono pagati con questa moneta e al mercato comprano e
vendono con questa moneta. Anzi, proprio perché la mostrano, fanno capire di non
avere scrupoli di usarla, salvo il momento di pagare le tasse.Ma la moneta è
essenziale per la ricchezza, il commercio, la stabilità delle strade, la pace
che tutti utilizzano. Allora “Voi pagate, “restituendo” (questo è il vero
significato del testo) a Cesare quello che è opera dell’impero” e quindi,
giustamente pagate le tasse per un servizio che tocca tutti. Non c’è ragione per
un’evasione fiscale: e questo esaurisce il rapporto con l’impero. Resta tutto
l’altro. “Restituite a Dio quello che è di Dio” che è l’uomo, che porta
l’immagine di Dio come la moneta l’immagine dell’imperatore. E si restituisce a
Dio, facendo la sua volontà, offrendo amore a chi Dio ama, migliorando il mondo
che il Signore ha fatto con sapienza come dono, ricostruendo, operando, guarendo
e perdonando. Se sfrutti, se schiavizzi, se rifiuti, se strumentalizzi, se
domini, non restituisci a Dio la bellezza della sua creazione. Quando Paolo
scrive ai romani la sua lunga lettera teologica, si sofferma anche con molta
attenzione a raccomandare ai cristiani un comportamento corretto di cittadini
esemplari. “(Romani 13,1-7) Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite.
Infatti non c’è autorità se non da Dio: quelle che esistono sono stabilite da
Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio. E
quelli che si oppongono attireranno su di sé la condanna. I governanti infatti
non sono da temere quando si fa il bene, ma quando si fa il male. Vuoi non aver
paura dell’autorità? Fa’ il bene e ne avrai lode, poiché essa è al servizio di
Dio per il tuo bene. Ma se fai il male, allora devi temere, perché non invano
essa porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi
fa il male. Perciò è necessario stare sottomessi, non solo per timore della
punizione, ma anche per ragioni di coscienza. Per questo infatti voi pagate
anche le tasse: quelli che svolgono questo compito sono a servizio di Dio.
Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le
tasse; a chi l’imposta, l’imposta; a chi il timore, il timore; a chi il
rispetto, il rispetto”. Il compito che viene richiamato con responsabilità è
quello di preoccuparsi del bene comune e il nostro tempo ha, per fortuna,
maturato la consapevolezza che lo Stato debba preoccuparsi delle situazioni più
difficili e più povere, insieme con la società civile, perché siano riconosciti
per tutti la dignità di una vita decorosa. Di questo debbono preoccuparsi tutti,
portando un contributo di solidarietà e di attenzione. Ma la prima solidarietà è
pagare le tasse e fare in modo che tutti le paghino con coerenza, in una società
che non moltiplica gli sprechi, smantellando quel diffuso senso di illegalità e
quella prevalenza di interessi privati che rendono, la nostra società, una
realtà di furbi che sfrutta le ingenuità e le povertà dei deboli. Nella società
civile la comunità cristiana dove poter mostrare una lealtà ed una passione tali
da riesprimere, attraverso la propria operosità, il senso della solidarietà e
l’incoraggiamento al superamento della rassegnazione. Si rende allo Stato e si
rende a Dio un mondo fatto di responsabilità e di libertà, attenti alle
fragilità diffuse.
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