Atti degli Apostoli 1, 1-8
Nel primo racconto, o Teòfilo, ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò dagli inizi fino al giorno in cui fu assunto in cielo, dopo aver dato disposizioni agli apostoli che si era scelti per mezzo dello Spirito Santo. Egli si mostrò a essi vivo, dopo la su passione, con molte prove, durante quaranta giorni, apparendo loro e parlando delle cose riguardanti il regno di Dio. Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’adempimento della promessa del Padre, «quella – disse – che voi avete udito da me: Giovanni battezzò con acqua, voiinvece, tra non molti giorni, sarete battezzati in Spirito Santo». Quelli dunque che erano con lui gli domandavano: «Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?». Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi”.
Nel libro degli Atti degli Apostoli, S. Luca inizia il racconto della prima Comunità cristiana, presentando Gesù vivo come garanzia e fondamento della testimonianza della vita piena. Gli Atti degli Apostoli sono la seconda parte di un’unica opera, scritta da S. Luca, di cui il Vangelo ne è la prima. - Nel Vangelo si inizia il racconto della vicenda di Gesù con l’apparizione, nel tempio, di un angelo che porta un messaggio di vita ad un sacerdote anziano, incredulo, Zaccaria, che poi sarà padre di Giovanni Battista (Lc1). E il Battista provocherà, con il suo messaggio, un movimento travolgente per incontrare e testimoniare Gesù: presenza del Divino nel cuore della terra promessa. Il vangelo di Luca comincia e finisce nel Tempio (24,53: “e stavano sempre nel tempio lodando Dio”), in attesa di ricevere lo Spirito “.finché non siate rivestiti di potenza dall’alto” (24,49). Il compito, infatti che si profila è quello che “nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. (24,48-49) - Negli Atti, Luca sviluppa il progetto annunciato di Gesù risorto: dovrà continuare questo movimento incontenibile di popolo che testimonia la risurrezione. Gli Atti cominciano da un banchetto in una casa: un incontro di famiglia, una liturgia quotidiana per richiamare la pienezza della vita che non si esaurisce nel tempio, ma si sviluppa nella normale giornata di lavoro, di incontro, di operosità. Siamo a Gerusalemme. I discepoli vivono il tempo dell’attesa come un sogno, con Gesù risorto che svela un futuro di grandi progetti. C’è il ricordo di Giovanni che ha battezzato nell’acqua (1,5), e vengono ripresi con maggiore chiarezza, insieme, il comando dell’attesa dello Spirito e la prospettiva di annunciare Gesù in pienezza in tutto il mondo conosciuto. Il Signore si presenta per 40 giorni, vivo, con molte prove (At1,3). Il numero 40 indica un tempo di esperienza pieno e di cambiamento. E’ un tempo importante per scoprire il significato vero della risurrezione e per abituare il proprio cuore e la propria vita alla novità di Dio. Ormai tutto va ripensato in termini di amore, di vittoria, di speranza. I discepoli, ancora dopo gli avvenimenti drammatici e gloriosi, non hanno capito il senso della presenza di Gesù. Essi pensano quello che pensavano e speravano tutti, amici e nemici, prima della morte in croce. “Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: «Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?»” (1,6). “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti …, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni”. Viene negata la prevaricazione del potere, della gloria, dell’accaparramento di Dio e della sua forza: sono le tentazioni di tutti, anche della Chiesa. “Non spetta a voi” non solo organizzare ma sapere i tempi. Sono assicurate la gioia e la speranza per tutti, nella linea della testimonianza. “Non contatevi sulle banalità, non accumulate tesori che marciscono , non cercate vittorie che umiliano, non pretendete privilegi, non comandate per farvi padroni ma servi, non costringete per garantirvi, non ricattate per fare schiavi.” Si può continuare sulla riflessione del Regno che suggestiona sempre e va sempre riscoperto. |
Corinzi 15, 3-10a
Fratelli, a voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana.
Con i greci (qui siamo a Corinto), c’era molta difficoltà a parlare di risurrezione e quindi di fede. Essi preferivano fondare la loro conoscenza sulla filosofia, sul pensiero, sulla retorica, sul bel parlare. Il corpo imprigiona l’anima. Ci si deve liberare dal corpo. La risurrezione ripropone, per sé, una prigione. La “buona novella” si appoggia invece su fatti fondamentali: la morte, la sepoltura, la testimonianza dei tanti discepoli che hanno visto Gesù risorto ed hanno parlato con lui; e insieme hanno mangiato e udito e discusso. Non si tratta di ideologie né di filosofie. La “lieta notizia” è ricchissima di speranza, ma va accettata così come ci è stata offerta. Non si può manipolare secondo i propri criteri o le mode o la mentalità corrente, più brillante, più razionale, più dotta. La Parola di Dio ci dà riferimenti diversi per ricuperare speranza e consapevolezza e poter lottare contro il male. Vale il coraggio di credere che il Signore vince la morte e il male e quindi il coraggio di restare sulla linea e sulla fede in Gesù. Lo hanno visto in tanti, dice Paolo, sia discepoli sia credenti comuni e molti sono ancora vivi: la loro testimonianza fa fede per poter accettare questo capovolgimento di significati e di avvenimenti. La morte è vinta sia per Gesù che per noi, credenti sulla sua Parola, che la Chiesa trasmette. Anche Paolo ha avuto un’esperienza della risurrezione che lo ha rigenerato, strappato violentemente dal grembo del Giudaismo (“come un aborto” 15,8). Ha ricevuto doni e grazie da Dio che lo ha reso missionario. Così può dire, senza orgoglio, che ”la grazia di Dio non è stata vana nella sua vita”. · L’annuncio della risurrezione è compito della Chiesa e quindi di ogni cristiano adulto. Nella risurrezione si ritrova la garanzia di ogni valore che Gesù ci ha manifestato, di ogni parola di vita che la Chiesa ci ha trasmesso e che ancora trasmette. · Credere nella risurrezione e manifestarla come convinzione rimettono, però, in discussione le nostre mentalità che soffrono la tentazione di manipolare la stessa fede. E’ solo da pochi decenni che si comincia a parlare di non-violenza e Gesù l’ha vissuta al massimo livello, dall’inizio della sua vita fino alla morte. · Ma non violenza suppone che si smetta la volontà di prevalere, di sopraffare, perfino nel senso della competizione. Bisogna smettere di usare la parola: “Vittoria” sugli altri. Gesù non ha mai vinto nessuno, ha vinto la morte, ha vinto il male. · Certamente dentro di noi gioca l’istinto del prevalere, dell’emergere. Esso ha un significato importante, anche psicologicamente. Ma prevalere deve contare su ciò che siamo e ciò che desideriamo essere, non sul pretendere di voler superare uno o l’altro. Perfino lo sportivo dovrebbe coltivare la soddisfazione di aver superato se stesso, piuttosto che aver superato l’altro. E nella Chiesa spero si sia smesso il linguaggio, in caso di conversione di qualcuno, che si possa raccontare: “L’ho convertito, gli ho dimostrato e quindi l’ho vinto”. E’ il Signore che aiuta a camminare. Non spetta a noi vincere; a noi spetta di testimoniare. · Siamo anzi, con la risurrezione, chiamati a non aver paura e quindi chiamati alla solidarietà, all’amore per la vita di tutti, a cominciare dalla nostra e proseguendo con quelli che ci stanno vicino. E solidarietà non passa prevalentemente attraverso il danaro, ma attraverso l’attenzione di camminare insieme, accorgendoci dei problemi che emergono nella vita e cercando di risolverli insieme, vivendo particolarmente la preoccupazione che l’altro diventi libero e autonomo, trovando la forza di una soluzione, la chiarezza di una dignità riconquistata. Oggi la solidarietà si orienta verso la ricerca di posti di lavoro soprattutto per le persone fragili, per i giovani, per i disoccupati di lungo periodo, per le donne, per gli extracomunitari. |