V Domenica di Avvento
Di te si dicono cosa meravigliose

12 dicembre 2010

Giovanni 1, 6-8. 15-18
Riferimenti: Michea 5, 1 - Salmo  145 - Galati 3, 23-28>

O Dio, mio re, voglio esaltarti e benedire il tuo nome in eterno e per sempre. Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre. Grande è il Signore e degno di ogni lode, la sua grandezza non si può misurare. Una generazione narra all'altra le tue opere, annunzia le tue meraviglie. Proclamano lo splendore della tua gloria e raccontano i tuoi prodigi. Dicono la stupenda tua potenza e parlano della tua grandezza. Diffondono il ricordo della tua bontà immensa, acclamano la tua giustizia. Paziente e misericordioso è il Signore, lento all'ira e ricco di grazia. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature. Ti lodino, Signore, tutte le tue opere e ti benedicano i tuoi fedeli. Dicano la gloria del tuo regno e parlino della tua potenza, per manifestare agli uomini i tuoi prodigi e la splendida gloria del tuo regno. Il tuo regno è regno di tutti i secoli, il tuo dominio si estende ad ogni generazione. Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto. Gli occhi di tutti sono rivolti a te in attesa e tu provvedi loro il cibo a suo tempo. Tu apri la tua mano e sazi la fame di ogni vivente. Giusto è il Signore in tutte le sue vie, santo in tutte le sue opere. Il Signore è vicino a quanti lo invocano, a quanti lo cercano con cuore sincero. Appaga il desiderio di quelli che lo temono, ascolta il loro grido e li salva. Il Signore protegge quanti lo amano, ma disperde tutti gli empi. Canti la mia bocca la lode del Signore e ogni vivente benedica il suo nome santo, in eterno e sempre.

Michea 5, 1

Così dice il Signore Dio: E tu, Betlemme di Èfrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore che voi cercate; e l’angelo dell’alleanza, che voi sospirate, eccolo venire, dice il Signore degli eserciti. Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare l’argento; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia. Allora l’offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani. Io mi accosterò a voi per il giudizio e sarò un testimone pronto… Io sono il Signore, non cambio; voi, figli di Giacobbe, non siete ancora al termine. Fin dai tempi dei vostri padri vi siete allontanati dai miei precetti, non li avete osservati. Tornate a me e io tornerò a voi, dice il Signore degli eserciti.

La prima lettura è costituita da due frammenti uniti insieme: il primo è tolto dal profeta Michea, costituito da un solo versetto, il secondo dal profeta Malachia. Al tempo di Michea la situazione economica e politica di Israele sta soffrendo violenza e corruzione. Dai giudici dei tribunali, dai sacerdoti e dai profeti il popolo si aspetterebbe giustizia, senso religioso e sobrietà e invece il popolo si sente perseguitato dalla prepotenza di una minoranza e dalle classi dirigenti che sfruttano i poveri. Il re Ezechia è un buon uomo, ma troppo debole. In questo contesto Michea annuncia la profezia di speranza: sta per nascere colui che dominerà Israele, e proprio in un paese insignificante, il villaggio di Betlemme. Gli oppressi dovrebbero ricordarsi che alcuni secoli prima, a Betlemme, era nato il re Davide: da pastorello, Dio lo aveva posto in un nuovo regno e lo aveva trasformato in grande sovrano. Il seguito di questa prima lettura è costituito dalla profezia di Malachia che preannuncia la venuta di Gesù. Anche nel contesto di Malachia ci ritroviamo in un tempo di grande decadenza (siamo attorno all'anno 450 a.C.). Il popolo si lamenta anche perché trova una grave contraddizione tra la propria convinzione religiosa e l’esperienza. La convinzione, che si direbbe avvalorata dalla visione della vita, è garantita nel versetto del Salmo 37,25: "Sono stato fanciullo ed ora sono vecchio, non ho mai visto il giusto abbandonato né i suoi figli mendicare il pane"; ma l’esperienza mette, ogni giorno, sotto gli occhi, l’oppressione dei poveri da parte dei ricchi che prosperano, mentre il Signore non interviene. Il Signore promette attraverso il profeta: “Manderò il mio messaggero e dopo di lui un secondo e misterioso personaggio chiamato: "il Signore", "l'angelo dell'Alleanza", "il Signore dell'universo” (v 1). Egli entrerà nel tempio e, come fuoco e come lisciva, purificherà i figli di Levi (v 3). È importante questo richiamo alla purificazione del tempio che fa sorgere la coscienza nuova di un popolo. Gesù si lamenterà dei sacerdoti e della classe dirigente che avevano ridotto il tempio a "spelonca di ladri" (Mc 11,17). La comunità cristiana rilegge la venuta di Gesù come una presenza nuova di Dio che porta fuoco e purificazione: la Parola e lo Spirito. È chiaro che questo testo riconduce ad una riflessione sul nostro rapporto con Dio nella Chiesa: nella chiesa come celebrazione dell'Eucaristia e nella chiesa come presenza del popolo credente. Se è pur vero che l'Eucaristia è carica di segni, questi segni vogliono manifestare una presenza nuova, ricca dei doni di Gesù: la Parola e lo Spirito dovrebbero aiutarci a preparare noi stessi come credenti che vivono nel mondo, rinforzati da forza nuova, dalla chiarezza dell'entusiasmo, dalla libertà interiore. Fa tenerezza la conclusione di questo brano in cui si esprime la nostalgia di un incontro e la difficoltà di dialogare nei rapporti con Dio: «"Tornate a me e io tornerò a voi”, dice il Signore degli eserciti». Anche a noi viene rivolto lo stesso invito.

Galati 3, 23-28

Fratelli, prima che venisse la fede, noi eravamo custoditi e rinchiusi sotto la Legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata. Così la Legge è stata per noi un pedagogo, fino a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede. Sopraggiunta la fede, non siamo più sotto un pedagogo. Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.

Paolo, molto critico rispetto alla legge ebraica, ricorda, tuttavia, il senso profondo di un dono che, scritto da Dio, ha il compito di essere come un pedagogo. Il pedagogo era lo schiavo che si occupava dei figli di minore età del padrone, li conduceva a scuola per affidarli al maestro e aveva il compito di sorvegliare, preservare, mettere in guardia. La legge perciò ha svolto un compito prezioso, non si è contrapposta alla promessa che Dio ha fatto ad Abramo, unilaterale, dipendente da Dio e quindi stabile. Ma la legge ha mostrato i suoi limiti con la fede. Giunti alla maggiore età, siamo diventati figli autonomi e liberi nella casa del Padre. Con il battesimo siamo stati "rivestiti di Cristo”. E a Cristo appartengono tutti i credenti senza discriminazione. Qualsiasi differenza sussista nei diversi ambiti (sessuale, sociale, civile, religioso) diventa irrilevante nell'ottica della identità nuova che viene conferita a chi diventa "uno in Cristo Gesù". Perciò le divisioni sociali e religiose non ci sono più in Cristo: giudei e pagani sul piano religioso; schiavo e libero, dal punto di vista dei diritti civili e sociali; maschio e femmina sul piano dell’identità di genere. Noi, attraverso Gesù, raggiungiamo la maggiore età e una preziosa grandezza e uguaglianza agli occhi di Dio e quindi agli occhi di ogni umanità. Essere figlio di Dio, appartenere a Cristo, vuol dire ricevere la promessa fatta ad Abramo, promessa di vita e di benedizione per tutti coloro che riconoscono in lui il famiglia, ma delle nazioni del mondo.

Giovanni 1, 6-8. 15-18

In quel tempo. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Giovanni proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

Il testo del Vangelo di Giovanni riprende la figura del Battezzatore sulle rive" del Giordano. La prima "parte" (1,6-8). presenta il ministero di Giovanni Battista in termini di testimone del Verbo (la Luce), così come è presentato nel prologo. La seconda parte (1,15-18) ricorda il primo dei tre giorni in cui è collocata (nel IV Vangelo) la testimonianza storica del Battista rispetto a Gesù. - Giovanni (significa: "Dio è clemente") è un uomo mandato da Dio. Viene espressa la missione che ha origine divina e che è stata già significata dall'imposizione del nome fin dalla nascita. - Testimone/testimonianza: Giovanni è testimone. (Nei vv.7-8 viene ricordato 3 volte il termine testimone/testimonianza per richiamare il valore teologico (e non solo il valore giuridico come se si dovesse parlare davanti ad un tribunale). Infatti, è "una voce" che parla a nome di Dio: testimone di Dio. - "Cristo, Elia, il profeta" sono le tre espressioni dell'attesa messianica che verranno subito dopo ricordate (1,19 ss). Il Cristo è "il Consacrato" che porta la potenza di Dio. Elia è atteso come il profeta che ritorna vivo alla venuta del Messia (Mc.3, 22- 23-Mt.l7,10-13). - Il Battista ripeterà per tre volte: "Non sono io né il Cristo, né Elia, né il profeta" (1,20) per negare ogni presunzione ed ogni grandezza. Qui anticipa: «Era di lui che io dissi: «Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me» (v 15). E così, solo dopo queste negazioni, arriverà ad un’affermazione umile, ma coraggiosa e positiva: "lo sono voce di uno che grida nel deserto". - v 15: vengono richiamate le precedenze rispetto all'alleanza con Dio. Giovanni nega di essere lo sposo del popolo dell'alleanza poiché prima di lui qualcun altro, che venga dopo di lui, gli passa davanti. Nel contesto della presentazione, Giovanni ricorda: "Non sono io il Cristo, ma sono stato mandato davanti a lui. Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa, ma l'amico dello sposo, che è presente, ascolta ed esulta di gioia alla voce dello sposo. “Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere, io invece diminuire" (Gv 3,28-30). - v 16: nel richiamo della luce, essa viene contemplata nel Verbo di Dio (v 14: contemplare la gloria) e viene ricevuta. La comunità cristiana è testimone di questa esperienza di Gesù che porta la grazia attraverso l'amore di pienezza che Egli ha donato. Essa esprime una professione di fede in ciò che Gesù ha portato. Si potrebbe dire che "grazia su grazia" è la pienezza, il rapporto che Dio ha iniziato con la creazione, con Abramo, con Mosé sul Sinai ed ora completa con Gesù: è la pienezza di vita. - v 17: viene qui contrapposta la Legge che fu un patto bilaterale tra Dio e il suo popolo con la grazia e la verità totalmente gratuiti. La legge è stata offerta da Dio attraverso Mosé, e attraverso Gesù diventano realtà la grazia e la verità, cioè la rivelazione perfetta e la salvezza, aperte completamente come dono a tutti gli uomini, solo con Gesù. - v 18: nell'Antico Testamento è continuamente richiamata l'impossibilità di vedere il volto di Dio. Lo stesso Mosé si sentì dire: "non potrai vedere il mio volto perché nessun uomo può vedermi e restare vivo" (Es 33,20). Ma nella coscienza della comunità cristiana, Gesù, colui che hanno conosciuto, visto, ascoltato e che ha profondamente conosciuto il Padre, può permettersi di farlo conoscere e di rivelare la ricchezza di Dio, del suo pensiero, la sua novità: "Tutto ciò che ho udito del Padre, l’ho fatto conoscere a voi" (15,15). In tal modo Gesù ci ha introdotti nel mondo di Dio, nella pienezza, fino al punto da farci diventare figli di Dio.