Siracide 24, 1-12
La sapienza fa il proprio elogio, in mezzo al suo popolo proclama la sua gloria. Nell’assemblea dell’Altissimo apre la bocca, dinanzi alle sue schiere proclama la sua gloria: «Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo e come nube ho ricoperto la terra. Io ho posto la mia dimora lassù, il mio trono era su una colonna di nubi. Ho percorso da sola il giro del cielo, ho passeggiato nelle profondità degli abissi. Sulle onde del mare e su tutta la terra, su ogni popolo e nazione ho preso dominio. Fra tutti questi ho cercato un luogo di riposo, qualcuno nel cui territorio potessi risiedere. Allora il creatore dell’universo mi diede un ordine, colui che mi ha creato mi fece piantare la tenda e mi disse: “Fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele”. Prima dei secoli, fin dal principio, egli mi ha creato, per tutta l’eternità non verrò meno. Nella tenda santa davanti a lui ho officiato e così mi sono stabilita in Sion. Nella città che egli ama mi ha fatto abitare e in Gerusalemme è il mio potere. Ho posto le radici in mezzo aun popolo glorioso, nella porzione del Signore è la mia eredità.
Nel libro del Siracide (24,14.8-12), composto verso il 180 a.C., l'autore si sforza di bloccare l'infiltrazione dello spirito pagano nella coscienza e nel modo di vivere degli ebrei ormai in stretto contatto con la cultura ellenista. Il popolo ebraico possiede la “Torah” (legge-insegnamento) che è la strada che conduce alla vita. Essa è la Sapienza di Dio che si installa in Israele, dono gratuito che non si può meritare. Utile è dare la struttura del cap. 24: 24,1-2: introduzione dell'autore al discorso della sapienza, 24,3-21: discorso della sapienza in prima persona, 24,22-27: interpretazione da parte dell'autore, 24,28-32: ruolo dell'autore. L'intuizione fondamentale è la gratuità della sapienza: "Ogni sapienza viene dal Signore e con Lui rimane per sempre " (Sir1,1). La sapienza prende la parola nel tempio e parla nell'assemblea liturgica. La sua funzione è quella di stare presso Dio. Ma il Signore la invia sulla terra a cercarsi la casa e riceve l'ordine di stabilirsi in Israele. Perciò essa, che risale a prima del tempo ("prima dei secoli"), discende nel cosmo e nell'umanità e viene ad abitare nel mondo. Il Signore sceglie Gerusalemme come luogo di crescita della Sapienza ed essa raggiunge i 4 punti cardinali e ricopre tutta l'estensione del territorio d'Israele. La sapienza è paragonata ad un albero splendido. Il culto del tempio di Gerusalemme è ancora un'opera della Sapienza sia perché, come ordine del mondo, esprime la maestà e la perfezione divina e sia perché fa trovare armonia nella legge come, Dio l'ha codificata (v.22). Diventare un popolo, crescere fino a costituire uno Stato e poi lacerarsi, disperdersi perdendo la terra e lo stesso tempio, e cercare di ricostruire la propria identità sotto diversi dominatori, tutto questo è stato maturato nella storia attraverso la “tôrâ” (la legge di Dio). Essa indicava una direzione essenziale nei rapporti con il Signore e tuttavia la “tôrâ”, da sola, non bastava. Si attendeva qualcuno che ricreasse la speranza e per la reinterpretazione autentica della Legge: era atteso il Messia che desse corpo e voce a ciò che era scritto.
L’evangelista Giovanni accetta di fare sintesi e traduce nel suo Prologo (Gv1,1-18) il significato di Gesù, riconosciuto dalla Comunità cristiana. La Chiesa: riconosce in Gesù di Nazareth il messia atteso e lo identifica con il Logos (la Parola, la Sapienza uscita dalla bocca di Dio). E’ il Gesù di Giovanni la nuova Sapienza che dà significato alle cose, identifica ogni persona, uomo e donna come figli di Dio, restituisce al mondo una sua splendente consistenza poiché Gesù vuole ricondurre la realtà alla bellezza della creazione,
ai cieli nuovi e terra nuova e perciò è l’unico che può portare la salvezza piena. “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio… e il Verbo si fece carne”. |
Romani 8, 3b-9 a
Fratelli, Dio, mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito. Quelli infatti che vivono secondo la carne, tendono verso ciò che è carnale; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, tendono verso ciò che è spirituale. Ora, la carne tende alla morte, mentre lo Spirito tende alla vita e alla pace. Ciò a cui tende la carne è contrario a Dio, perché non si sottomette alla legge di Dio, e neanche lo potrebbe. Quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi.
San Paolo sviluppa, nel capitolo 8, che si può intitolare: “La vita secondo lo Spirito” (Rom 8,1-39), una riflessione sulla vita cristiana, che pure è soggetta alla morte. Il capitolo si divide in tre parti: 8,1-13 “La vita secondo la carne e la vita secondo lo Spirito” ( da qui sono tratti i versetti del testo), 8,14-30 “Figliolanza divina e gloria futura”, 8,31-39 “Inno all’amore di Dio”. San Paolo vuole approfondire il significato della fede in Gesù che ci dona lo Spirito. In ciascuno di noi avviene una trasformazione per il corpo morto e risorto di Gesù, poiché apparteniamo a Lui (7,4). La legge di Mosé è, di per sé, giusta, santa. Essa educa al bene. Ma scopriamo più forte la legge del peccato in noi; esso ci conduce verso il male poiché: "Vedo ciò che è giusto, lo voglio eppure faccio il male che detesto" (7,15). “Chi mi libererà da questo corpo di morte?” (7,24). Così si passa al dominio di Dio in Gesù, perché lo Spirito offre la sua legge (8,2). Questa trasformazione è possibile poiché Gesù ha preso la nostra stessa carne mortale. La nostra debolezza e la nostra peccaminosità sono state, esse stesse, come la nostra carne, trasferite in Lui, il Giusto, il Santo. Morendo, la sua carne e il male, che Gesù ha preso su di sé, sono stati distrutti nella morte. In lui prende possesso, come in noi, lo Spirito del risorto: così da Gesù ereditiamo nuovi stili e valori che inglobano ancora l'eccezionale sapienza della Prima Alleanza. Ma ora viviamo nella pienezza della maturità e accogliamo, nello Spirito, la ricchezza finale di Gesù che completa ciò che Dio, lungo i secoli, aveva detto, educando il suo popolo. Come cristiani, siamo continuamente richiamati a vivere la forza della presenza dello Spirito che abita ogni giorno in noi. Questa presenza stabilisce alleanza e comunione con Dio e con Gesù nello Spirito. Ovviamente si pone la domanda sulla vita quotidiana: poiché di questo si tratta: “Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi” (v.9). L’interrogativo e la scoperta conseguente del vivere secondo lo Spirito si giocano nei rapporti e nelle relazioni con gli altri, oltre che nel rapporto con la nostra responsabilità con Dio.
Le relazioni nel lavoro, il rapporto di solidarietà, l’attenzione ai bisogni delle persone che ci vivono accanto, i criteri di pace che vanno costruiti con intelligenza, senza pretende di creare maggiori conflitti, ma cercando di salvare la dignità e la responsabilità di ciascuno, sono alcuni elementi di stili di vita cristiani. Eppure, su tutto questo siamo in un mondo in cui non ci si interroga a sufficienza. E d’altra parte dovrebbe essere questo l’ambito degli interrogativi tra cristiani, all’interno dei contesti di vita, con uno scambio intelligente di ricerca, riflessione, impostazioni di vita e di comprensione di criteri. Non vi sembra assurdo che si continui a pensare a come aggregare il voto dei cattolici, mentre i cattolici non si allenano alla ricerca di senso nel quotidiano, alle operazioni di giustizia, ai rapporti di solidarietà? Ed anzi si sentano anch’essi incoraggiati alle scelte scaltre di potere, alle astuzie e trame di aggregazione? Esiste anche in ogni laico adulto una coscienza credente, da affinare,
certamente, come in tutti, che accetti di essere cristiano, che ricostruisca, cercando di “vivere secondo lo Spirito”. E questa coscienza va comunicata agli altri credenti nella fede, nel contesto in cui si vive, presente nella realtà sociale e nella burocrazia, nel sindacato e nel mondo politico della propria aggregazione. Lo scopo è quello di raggiungere un consenso che poggi su valori condivisi, su progetti di maggiore e matura umanità. Lo scopo finale non dovrebbe essere, prima di tutto, il
piano politico, la convergenza di un voto, ma il coraggio di creare una consapevolezza di criteri morali di vita, con chi condivide. |