
Solennità della Santissima Trinità
19 giugno 2011 –
Giovanni16, 12-15
Riferimenti : Esodo. 3, 1-15 - Salmo - Romani.
8,14-17
Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia
splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua
via, fra tutte le genti la tua salvezza. Ti lodino i popoli,
Dio, ti lodino i popoli tutti. Esultino le genti e si
rallegrino, perché giudichi i popoli con giustizia, governi le
nazioni sulla terra. Ti lodino i popoli, Dio, ti lodino i popoli
tutti. La terra ha dato il suo frutto. Ci benedica Dio, il
nostro Dio, ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della
terra. |
Esodo. 3, 1-15
In quei giorni. Mentre Mosè stava pascolando il gregge
di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, condusse il bestiame
oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l’Oreb. L’angelo del
Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un
roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma
quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a
osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non
brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare;
Dio gridò a lui dal roveto: «Mosè, Mosè!». Rispose: «Eccomi!».
Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi,
perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io
sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il
Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto, perché aveva
paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: «Ho osservato la
miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa
dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso
per liberarlo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da
questa terra verso una terra bella e spaziosa, verso una terra
dove scorrono latte e miele, verso il luogo dove si trovano il
Cananeo, l’Ittita, l’Amorreo, il Perizzita, l’Eveo, il Gebuseo.
Ecco, il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso
ho visto come gli Egiziani li opprimono. Perciò va’! Io ti mando
dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio popolo, gli
Israeliti!». Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal
faraone e far uscire gli Israeliti dall’Egitto?». Rispose: «Io
sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato:
quando tu avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto, servirete
Dio su questo monte». Mosè disse a Dio: «Ecco, io vado dagli
Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a
voi”. Mi diranno: “Qual è il suo nome?”. E io che cosa
risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!».
E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-Sono mi ha mandato a
voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il
Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio
di Giacobbe, mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per
sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione
in generazione.Mosé scopre il suo progetto di vita
poiché il Signore lo sceglie come mediatore, pastore,
responsabile del popolo di schiavi che il Signore stesso sta per
liberare. Si può dividere il capitolo in tre parti: -
l’apparizione di Dio (JHWH) al monte, “l’Oreb" (vv. 1-6), - la
vocazione di Mosé e la rivelazione del nome di Dio (vv. 7-14), -
il programma di azione. Mosè ha lottato contro la morte e
l’ingiustizia quando ha preso le difese di un ebreo schiavo,
strappandolo dalle mani di un aguzzino e uccidendo il violento.
Ma, a questo punto, scopre che tutto gli si mette contro. Anche
i suoi, impauriti delle conseguenze, lo rifiutano (Es2,11-16).
Così è fuggito, trovando rifugio nel deserto, in una vita
tranquilla di pastore. Si è accasato ed ha dimenticato tutto e
tutti, in una vita sempre uguale. Poi c’è l’esperienza
straordinaria del roveto che brucia senza consumarsi e via via
il richiamo del Dio vicino, che si svela progressivamente,
attraverso le sue manifestazioni. Il fuoco accompagna spesso la
presenza di Dio nella Scrittura: illumina e riscalda ma anche è
tempestoso e distrugge. Si mostra inafferrabile e misterioso.
Alla curiosità di Mosé corrisponde l'invito di Dio che lo
incoraggia ad avvicinarsi, ma solo e senza sandali, senza
protezione, perché il luogo è santo. I sandali, confezionati con
pelle di animali morti, profanano con la morte il luogo di Dio
(ancora oggi i musulmani entrano senza scarpe nelle moschee).
Dio parla e perciò la sua presenza suscita paura, sconvolgendo
Mosé che si copre il volto. Sarà il gesto abituale che troviamo
lungo tutta la Scrittura: Elia (1 Re 19,13), i serafini di Isaia
(Is 6,2) e, su su, fino agli apostoli, sul monte della
Trasfigurazione, si coprono il volto. La Parola, che Dio
pronuncia, è come una presentazione di Sé che rimanda alla
storia del popolo, all'ascendenza di Mosé che arriva fino ad
Abramo e ai patriarchi. Ricordandoli, Dio garantisce la memoria
che un popolo schiavo ha perso, dimenticando così anche la sua
benedizione e la sua protezione. Ma Egli è fedele. Il Signore,
ricordando l'alleanza compiuta con i patriarchi, misura la
sofferenza del suo popolo come indegna: "Ho osservato, ho udito,
conosco, sono sceso". L'analisi della situazione ha smosso il
cuore di Dio che progetta un futuro, attraverso la liberazione
del popolo dalla schiavitù e facendolo salire in un paese
totalmente nuovo, ricco e fertile. Nel libro dell'Esodo si usa
il verbo “uscire” (usato 94 volte) per esprimere il significato
di una liberazione-salvezza. Essa fa parte del nucleo
fondamentale della fede ebraica: "Il Signore ci ha fatto uscire
dall’Egitto". Non è un popolo che grida al Signore come
preghiera e come speranza di intercessione. E’ un popolo che
grida per paura, per disperazione senza nessun riferimento e
attesa. E Dio ascolta questo grido. Mosé sente la difficoltà di
porsi davanti a Faraone e la risposta è curiosa. Un segno c’è ma
si avvererà quando tutto sarà finito. Siamo ad una ubbidienza
totale e senza garanzie. «Io sarò con te. Questo sarà per te il
segno che io ti ho mandato: quando tu avrai fatto uscire il
popolo dall’Egitto, servirete Dio su questo monte»."Vado dal
popolo e dico: il Dio dei nostri padri mi ha mandato. Mi
diranno: “Qual è il suo nome?”. Conoscere il nome di qualcuno,
in un certo senso, è tentare di impossessarsi della sua identità
e quindi avere potere su di lui. E Dio non si svela per ciò che
è (resta sempre inaccessibile), ma per come si comporta. Il
significato, infatti, corrisponde a: "Io sono", anzi a “Io sarò
colui che sarò”. Sarò una presenza fedele nei secoli e sarò
accanto a questo popolo, sottomettendo la potenza degli dei che
lo opprimono. E poiché Faraone si ritiene un Dio che vince, la
lotta si svilupperà tra il Dio dell’Egitto e il Dio degli
straccioni e degli schiavi. L'ebraico non usa normalmente il
verbo essere perché gli basta avvicinare soggetto e predicato;
qui il verbo essere indica un “essere all'opera”, “essere per”.
Ecco perché alla fine Dio ribadisce che il suo titolo più
adeguato è «il Dio dei vostri padri, il Dio di Abramo, il Dio di
Isacco, il Dio di Giacobbe».: Con i patriarchi Dio è stato
sempre presente, sempre attento, sempre attivo, una compagnia
continua, una protezione fedele. Questo è il suo modo di essere,
di “essere per”. E il nome divino impronunciabile per
l'ebraismo, il sacro tetragramma YHWH, suona come un Dio che “fa
essere, che fa liberi”. Ma tutto i testo esprime anche una
strana povertà di Dio. Per liberare il popolo Dio ha bisogno di
Mosè e lo incalza, lo assedia, accetta tutte le sue scuse e vi
pone soluzioni. Tanto è desideroso di liberare, tanto è
premuroso di mandare un liberatore, pur accettandone i limiti.
E’ una grande riflessione per noi. |
Romani. 8,14-17
Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio,
questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito
da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo
Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo:
«Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito,
attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche
eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo
parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
Nel mondo ebraico non è praticata l’adozione mentre lo è nel
mondo greco – romano e questo serve a Paolo per spiegare, nella
famiglia di Gesù, il rapporto con il Padre e la fraternità di
Cristo. Paolo si sforza di portare un esempio comprensibile alla
cultura corrente (è una lettera scritta ai romani): il figlio
adottivo riceve lo stesso trattamento dei figli naturali, gode
degli stessi diritti e partecipa all’eredità. Ma Paolo, nella
sua sintesi, oltrepassa l’esempio per regalarci il significato
della vita del credente che supera il linguaggio giuridico per
arrivare alla trasformazione interiore di figli di una stessa
famiglia. La nostra vita è un cammino. "Coloro che sono guidati
dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio". Siamo sulla
linea dell'Esodo, del popolo che cammina e che ha bisogno di una
presenza e di un orientamento. Se l'Esodo è stato,
fondamentalmente, caratterizzato dal triplice movimento: "uscire
- camminare - entrare", qui Paolo si richiama al momento
intermedio del “camminare” nel deserto.E’ un cammino coraggioso
e bisogna lasciarsi guidare dallo Spirito come Gesù che "fu
condotto dallo Spirito nel deserto" (Lc 4,1). Lo Spirito guida,
anima, ispira, conforta chiunque si rende docile alla sua
azione, chiunque non lo rattrista ("Non vogliate rattristare lo
Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno
della redenzione." (Ef4,30). "Figli di Dio e non schiavi". Lo
schiavo ubbidisce ma il suo cuore è in conflitto con chi lo
comanda. Invece Gesù vede l'obbedienza con amore e ci annuncia
che noi siamo figli adottivi, trasformati interiormente con il
dono di un animo capace di sentire e invocare Dio come Padre. Lo
Spirito crea in noi questa novità e sviluppa la disponibilità ad
invocare Dio come "Papà" ("Abbà") dal giorno del Battesimo. In
conclusione si sviluppa in questo breve testo una splendida
rivelazione trinitaria che garantisce una famiglia nuova con
Dio. Siamo in una presenza inimmaginabile di pienezza e di
amore: di amore di Dio per noi.
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Giovanni16, 12-15
In
quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli:” Molte cose ho ancora da
dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui,
lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se
stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi
glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello
che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio
e ve lo annuncerà”.
Giovanni indica, nei “discorsi di addio” di Gesù, il ruolo dello Spirito
Santo, come garante della verità. E' chiamato "avvocato difensore" (Paraclito:
15,26; 16,7), dono del Padre (14,16-26); capace di rendere testimonianza a Gesù
(15,26), lo glorifica (16,14) e prende le sue difese di fronte al mondo (16,8).
Sarà mandato da Cristo ma come comune dono di sé e del Padre (15,26). Ha infatti
origine presso il Padre e il Figlio, viene dal cielo: Nell'ora della prova non
lascerà soli i discepoli,
ma il Paraclito rafforzerà la loro fede e li renderà capaci di una testimonianza
coraggiosa. La sua missione specifica, poi, è quella di "avvocato difensore" di
Gesù sia per "convincere il mondo" di essere nel peccato quando lo rifiuta come
Cristo e Signore, e sia di non essere nel giusto quando lo condanna a morte
perché si è proclamato Figlio di Dio. Soprattutto compito dello
Spirito è di
operare nella coscienza dei credenti una vera e propria revisione del processo
di Gesù (16,8-11). Qui, in questo testo, ci sentiamo in un clima di addio, con
significativi richiami al futuro, nell’imminenza del distacco da Gesù. Gesù è
consapevole degli avvenimenti prossimi che si svolgeranno nello spazio di poche
ore e che saranno sconvolgenti. Sa che i discepoli non capiranno nulla, ma sa
anche che ogni spiegazione fatta ora è troppo pesante e assolutamente
incomprensibile. Perciò viene fatta una promessa che abbraccia, insieme, sia gl
avvenimenti prossimi, tragici e assolutamente oscuri, e sia il futuro in cui i
discepoli si troveranno come disorientati, con un messaggio enorme e una
fragilità intellettuale e psicologica drammatica. “Molte cose ho ancora da
dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso” (v 12).
Nell'apparente abbandono del gruppo dei discepoli un altro ospite terrà il posto
di Gesù mentre il risorto ritorna al Padre. La missione di Gesù è finita e lo
Spirito Santo sarà testimone della sua presenza (Gv.14,26; 15,26). “Quando verrà
lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità” (v13). Il compito
dello Spirito continua l'azione di Cristo poiché rende presente, in modo nuovo,
la novità di Dio tra noi, anche se non tangibilmente. Lo Spirito ci aprirà gli
occhi. Nonostante le molte "cose pesanti" da cogliere e da portare, dice Gesù,
lo Spirito sosterrà questo Regno, questo suo sviluppo dinamico, questa
esperienza nuova e, spesso, controproducente e paradossale, i segni e le
proposte, le regole di vita cristiana (il giogo, per i rabbini, era il peso
della legge), la fedeltà a Dio e agli uomini, il sacrificio della fatica e della
coerenza. Tutto questo si mostrerà e lo Spirito ci sosterrà e non saranno cose
nuove ma verranno da ciò che Gesù ha detto, ha creduto ed ha vissuto. In questa
azione, in questa presenza e in questo cammino nella storia si svela la Trinità.
- La ricchezza del Padre che crea ed è sempre aperto per ricreare un mondo nuovo
è garanzia di vita. - La gloria del Figlio che ha accettato di vivere la fatica
di riconciliazione nel mondo e l’obbedienza al progetto del Padre costituisce
finalmente la famiglia gioiosa e aperta di Dio. - Lo Spirito continua ad
alimentare il dono della vita, della verità e della speranza. Lo Spirito ha
un'azione educativa da svolgere. Al centro resta la Parola di Gesù che viene dal
Padre, delineando il progetto di orizzonti di luce, e viene riproposta nella
storia dallo Spirito. E nella storia lo Spirito sostiene il procedere fiducioso
di una umanità che, alimentata ogni giorno da una presenza silenziosa, riscopre
ricchezze di verità e desideri di comunione nonostante i cumuli di macerie, di
ingiustizie, di ipocrisie e di guerre. Tutta la storia va letta, allora, come
opera di una umanità visitata dal Dio Trinitario. L’umanità, in essa,
consapevole o meno, è sostenuta da una presenza assidua, discreta, avvolgente di
vita e di bellezza che, comunque, non ci abbandona e chiede ai credenti in Gesù
di essere portatori fedeli e consapevoli della Parola sempre nuova del Signore. |