
II Domenica dopo Pentecoste
26 giugno 2011
Matteo. 5, 43-48
Riferimenti : Siracide 17,1-4. 6-11b.12-14 - Salmo -
Romani. 1,22-25. 28-32
Benedici il Signore, anima mia, quanto è
in me benedica il suo santo nome. Benedici il Signore, anima
mia, non dimenticare tanti suoi benefici. Egli perdona tutte le
tue colpe, guarisce tutte le tue malattie; salva dalla fossa la
tua vita, ti corona di grazia e di misericordia; egli sazia di
beni i tuoi giorni e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza.
Il Signore agisce con giustizia e con diritto verso tutti gli
oppressi. Ha rivelato a Mosè le sue vie, ai figli d'Israele le
sue opere. Buono e pietoso è il Signore, lento all'ira e grande
nell'amore. Egli non continua a contestare e non conserva per
sempre il suo sdegno. |
Siracide 17,1-4. 6-11b.12-14
Il Signore creò l’uomo dalla terra e ad essa di nuovo lo fece
tornare. Egli assegnò loro giorni contati e un tempo definito,
dando loro potere su quanto essa contiene. Li rivestì di una
forza pari alla sua e a sua immagine li formò. In ogni vivente
infuse il timore dell’uomo, perché dominasse sulle bestie e
sugli uccelli. Discernimento, lingua, occhi, orecchi e cuore
diede loro per pensare. Li riempì di scienza e d’intelligenza e
mostrò loro sia il bene che il male. Pose il timore di sé nei
loro cuori, per mostrare loro la grandezza delle sue opere, e
permise loro di gloriarsi nei secoli delle sue meraviglie.
Loderanno il suo santo nome per narrare la grandezza delle sue
opere. Pose davanti a loro la scienza e diede loro in eredità la
legge della vita, Stabilì con loro un’alleanza eterna e fece
loro conoscere i suoi decreti. I loro occhi videro la grandezza
della sua gloria, i loro orecchi sentirono la sua voce maestosa.
Disse loro: «Guardatevi da ogni ingiustizia!» e a ciascuno
ordinò di prendersi cura del prossimo.
Dopo un richiamo all'ascolto della sapienza e all'attenzione
del cuore ("Ascoltami, figlio, e impara la scienza, e nel tuo
cuore tieni conto delle mie parole”. " v 6,24), viene
manifestata l'opera di Dio creatore. Con sguardo stupito,
l’autore contempla le perfette leggi del creato (16,24-30):
l’opera di Dio nel cosmo e sulla terra. Nel cap. 7, che leggiamo
oggi, continua il richiamo della creazione sulla falsa riga del
cap.1 della Genesi, esaltando la grandezza dell’umanità e, nello
stesso tempo, richiamando la mortalità dell’uomo, frutto del
rifiuto della legge di Dio e frutto del peccato (Gen capp 2-3).
Eppure l’umanità, poiché modellata a immagine di Dio, continua
ad avere potere sugli esseri viventi, creati da Dio stesso (v4).
Così, tra i due piani tradizionalmente ricordati del cielo e
della terra, con le creature celesti e terrestri, l'umanità
partecipa dell'azione di Dio e dello stesso dominio sulle cose
di Dio (v3); e tuttavia, come realtà mortale (v1), partecipa
alla stessa fragilità degli esseri viventi. E poiché continua la
propria vocazione al dominio sulla creazione, è attrezzato con
sapienza poiché dotato dei sensi e della ragione che lo rendono
superiore agli animali (vv 1-6); è ricco di facoltà morali e
intellettuali che lo rendono capace di discernimento (v6 e v 15)
ed è provvisto delle capacità sensoriali del parlare, del vedere
e del sentire. L'uomo è grande nella sua pienezza e veramente è
la gloria di Dio (Sal 8).. Si risente, in questo testo,
particolarmente, anche l'attenzione alla cultura greca e
tuttavia gli elementi culturali ebraici e greci sono apporti
molto bene amalgamati nella consapevolezza ebraica che viene
dalla Parola di Dio. Interessante la rilettura del timore: il
timore dell’uomo negli animali, il timore di Dio nell’uomo: due
intuizioni che riportano un equilibrio nella realtà e il
rispetto di gerarchie e di valori. Il timore, in questo caso,
non è paura né angoscia, ma rispetto, equilibrio e
consapevolezza di dover mantenere le distanze rispetto a realtà
più grandi. Nel cuore dell'uomo il timore di Dio, con il senso
religioso (vv 7-14), permette di riconoscere le opere divine e
di apprezzare i comandamenti di cui Dio gli ha fatto dono
affinché ognuno impari la giustizia e la generosità. Come un
padre saggio e discreto, Dio guida e istruisce i suoi figli e,
in particolare, Israele, il suo primogenito a cui si è mostrato
nella sua gloria ed ha parlato sul Sinai. Egli osserva la
condotta umana e non gli sfugge alcuna azione buona o cattiva
che, a suo tempo, sarà remunerata. |
Romani. 1,22-25. 28-32
Fratelli, mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati
stolti e hanno scambiato la gloria del Dio incorruttibile con
un’immagine e una figura di uomo corruttibile, di uccelli, di
quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati
all’impurità secondo i desideri del loro cuore, tanto da
disonorare fra loro i propri corpi, perché hanno scambiato la
verità di Dio con la menzogna e hanno adorato e servito le
creature anziché il Creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.
E poiché non ritennero di dover conoscere Dio adeguatamente, Dio
li ha abbandonati alla loro intelligenza depravata ed essi hanno
commesso azioni indegne: sono colmi di ogni ingiustizia, di
malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d’invidia, di
omicidio, di lite, di frode, di malignità; diffamatori,
maldicenti, nemici di Dio, arroganti, superbi, presuntuosi,
ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali,
senza cuore, senza misericordia. E, pur conoscendo il giudizio
di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non
solo le commettono, ma anche approvano chi le fa.
Paolo chiarisce il significato fondamentale della missione
per cui si risente inviato e ne fa argomento centrale della sua
“Lettera ai romani”: la salvezza è una grazia elargita da Dio a
tutti coloro, Giudei e pagani (1,16) che credono al Vangelo.
Perciò Paolo traccia le linee fondamentali della condizione
morale dei pagani (1,18-32: testo che viene letto oggi) e,
successivamente, richiama il mondo giudaico (2,1-3,8): tutti e
due questi mondi sono fuori della salvezza che Gesù porta. La
riflessione di questi capitoli è fondamentalmente teologica.
Paolo vuole parlare della salvezza indispensabile di Gesù più
che sviluppare un'analisi del problema morale per giudicare e
condannare. Paolo non parla di castighi di Dio per l'uomo quanto
piuttosto “dell’ira di Dio“ (1,18: immagine colorita per
ricordare il rifiuto del male da parte di Dio). L’uomo riceve il
suo castigo nell’essere abbandonato a se stesso, e riceve in tal
modo la sua punizione, avendo rifiutato la verità su Dio. Gli
uomini si sono rivelati ingiusti, si sono dati all'idolatria e
hanno soffocato la verità. Infatti, attraverso la creazione,
essi potevano percepire ” la potenza e la divinità" di Dio, cioè
la sua onnipotenza creatrice e la Sua maestà. Proprio questi
attributi di Dio avrebbero dovuto creare un rapporto di amore
coerente e pulito. E invece, rifiutando l'accoglienza di questi
segni, da sapienti sono diventati stolti, soggetti a confusioni
terribili per cui "hanno scambiato la gloria di Dio con
l'immagine dell'uomo corruttibile, oppure con l’immagine di
uccelli, di quadrupedi e di rettili" (1,18-23). Così il mondo
dei pagani, abbandonato (viene ripetuto tre volte vv 24. 26.
28), dalla oscurità della verità è caduto nell'oscurità della
vita morale, colmo di ogni ingiustizia e bramoso di ogni
depravazione. Viene riportato qui uno dei "cataloghi dei vizi"
che Paolo riprende spesso nelle sue lettere: egli elenca la
storture di atteggiamenti morali che diventano drammatiche e
pericolosissime. Costruiscono corrosive mentalità che
influenzano costumi e comportamenti, rischiando di diventare,
nel mondo, esempi suggestivi di stili di vita. E’ probabile che
Paolo abbia sotto gli occhi il clima morale della “Roma dei
cesari” che ha sviluppato una depravazione crescente, derivante
dalla violenza e dalla immoralità delle classi dirigenti
|
Matteo. 5, 43-48
In quel tempo. Il Signore Gesù si mise a parlare e insegnava alle
folle dicendo: ”Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il
tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi
perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa
sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli
ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non
fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli,
che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque,
siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”.Dopo il
“Discorso della Montagna” in cui Gesù ha elencato inizialmente le “beatitudini”,
dice Matteo, (discorso fondativo della linea morale della nuova alleanza), la
proposta di Gesù continua, sviluppando attraverso sei antitesi, che possono
sembrare contrapposizioni ma che si risolvono in esempi di revisione e di
reinterpretazione della legge (“Avete inteso che fu detto dagli antichi…Ma io vi
dico”: 5,21-48). Quest'oggi leggiamo l'ultimo esempio. Siamo a confronto con
testi che Gesù offre alla sua comunità perché sappia misurare le proprie
mentalità, e quindi scelte e stili di vita morale su alcuni criteri che Gesù
ritiene indispensabili per le scelte quotidiane dell'esistenza Qui si parla di
amore senza escludere nessuno. “Avete inteso che fu detto: "Amerai il tuo
prossimo e odierai il tuo nemico". Gesù trasforma radicalmente tale
mentalità, suggerendo la misura su cui ci si deve giudicare. Misura è la
perfezione del Padre nella sua misericordia e nel suo perdono:: "Siate perfetti
come è perfetto il Padre vostro celeste”. Per sé nel Primo Testamento non si
parla di odio ai nemici, salvo in alcuni salmi in cui vengono ricordate le
“guerre sante” in un linguaggio molto arcaico: "Non odio forse i tuoi nemici,
Signore ? Li detesto con odio implacabile" (Salmo 139,12-22). In alcuni scritti
delle comunità di Qumran (comunità religiose ebraiche al tempo di Gesù), si
ritrovano anche espressioni di amore per i credenti (i “figli della luce”) e
odio per i pagani (”i figli delle tenebre”). E tuttavia anche nella Bibbia
alcuni testi incoraggiano a non ricambiare il male: “Non dire: «Come ha fatto a
me così io farò a lui, renderò a ciascuno come si merita». (Prov 24,29) oppure
“Quando vedrai l'asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non
abbandonarlo a se stesso: mettiti con lui a scioglierlo dal carico” (Es23,5). In
questo caso i rabbini incoraggiavano ad un'attenzione particolare verso i
connazionali. Comunque il tutto si racchiudeva in un'attenzione agli
appartenenti al popolo ebraico. "Quali ricompensa per quali interventi?". La
ricompensa corrisponde al salario che un lavoratore riceve per un lavoro
eseguito bene. Il testo può incoraggiarci a capire che l'elemento fondamentale
della ricompensa sia la gratuità, base di misura su cui Dio poggia il suo
riconoscimento. Ci si gioca infatti sulla novità, sulla sorpresa della stile di
Dio tra noi, sulla misericordia ed il perdono in un tempo di normale sospetto,
di dominio ingiusto, di eserciti di conquista che si impongono con la violenza.
L'amare solo i propri amici corrisponde a ciò che fanno anche le persone del più
basso livello morale, additate al disprezzo pubblico, che sono "i pubblicani",
dipendenti e servi dell'impero romano, normalmente colpevoli di estorsioni:
appaltatori e raccoglitori di imposte. Gesù invece dice: "Amate i vostri nemici
e pregate per i vostri persecutori". Se amare suppone una faticosa revisione dei
propri sentimenti e quindi dei propri comportamenti, il pregare richiede, più
chiaramente, un puro atto interiore che spesso fa diventare drammatica la scelta
ed è, però, l’inizio di una conversione. La preghiera ha proprio il significato
di unirci al Signore, purificarci la mente e il cuore e accostare l'altro come
un figlio di Dio. Proprio questo Dio è colui che si mostra disponibile verso
tutti e, attraverso Gesù, è colui che predica e vive per il perdono di tutti.
Perfetto è colui che è disposto a rivedere i propri criteri per unirsi alla
volontà di Dio. Perfetto allora è colui che si unisce a Dio profondamente, che
raccoglie la sua volontà in tutta la sua grandezza. Perfetto è colui che sa di
non essere perfetto, ma sa di dover camminare poiché la perfezione è sempre
oltre il proprio orizzonte. |