
V Domenica dopo Pentecoste
17 luglio 2011
Luca. 9, 57-62
Riferimenti : Genesi. 11, 31. 32b - 12,5b - Salmo 104 -
Ebrei. 11, 1-2. 8-16b
Benedici il Signore, anima mia, Signore,
mio Dio, quanto sei grande! Rivestito di maestà e di splendore,
avvolto di luce come di un manto. Tu stendi il cielo come una
tenda, costruisci sulle acque la tua dimora, fai delle nubi il
tuo carro, cammini sulle ali del vento; fai dei venti i tuoi
messaggeri, delle fiamme guizzanti i tuoi ministri.
Hai fondato la terra sulle sue basi, mai potrà vacillare. |
Genesi. 11, 31. 32b - 12,5b In
quei giorni.Terach prese Abram, suo figlio, e Lot, figlio di
Aran, figlio cioè di suo figlio, e Sarài sua nuora, moglie di
Abram suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare
nella terra di Canaan. Arrivarono fino a Carran e vi si
stabilirono. Terach morì a Carran. Il Signore disse ad Abram:
«Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dalla casa di
tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una
grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa
tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e
coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette
tutte le famiglie della terra». Allora Abram partì, come gli
aveva ordinato il Signore, e con lui partì Lot. Abram aveva
settantacinque anni quando lasciò Carran. Abram prese la moglie
Sarài e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che avevano
acquistati in Carran e tutte le persone che lì si erano
procurate e si incamminarono verso la terra di Canaan.
Viene accennata qui la conclusione di una genealogia che
ricongiunge l'epoca del diluvio e il tempo di Abramo. Si passa
così dal racconto dei grandi avvenimenti sull'umanità, percepiti
come itinerari di violenza, di peccati e di grazia a
peregrinazioni e incontri nella storia in cui si costituisce il
nuovo popolo di Dio. In questo caso il clan ebraico rimarrà in
rapporto per tre generazioni. Esso nasce in Ur, antichissima
città dei Sumeri a sud del territorio del Tigri ed Eufrate e
intraprende una migrazione verso Harran, ancora oggi esistente,
a circa 1000 km di distanza da Ur, in direzione nord ovest. Si
parla di nomadi, pastori, e infatti il clan di Abramo è
considerato, ovunque andasse, "un elemento estraneo e quindi
forestiero" al paese. "Mio padre era un arameo errante", dice il
popolo di Israele nella sua professione di fede (Deut 26,5). Poi
lo stesso Abramo, improvvisamente, per un avvenimento radicale
(ma non si sa quale), a sua volta, è costretto ad abbandonare la
sua terra. La Bibbia ci dà una lettura teologica dei fatti.
Abramo vede negli avvenimenti la volontà di Dio, comprendendo,
in tal modo, che il Signore lo chiama ad una grande missione ed
ha accettato, lasciandosi condurre da Lui. Senza segni
premonitori, il Signore entra nella vita di Abramo con un
comando preciso: "Vattene dal tuo paese verso il paese che io ti
indicherò“. Nella rassegnazione di una vita tutta uguale
interviene un richiamo nuovo. Può capitare a ciascuno di noi,
attraverso situazioni particolari: un incontro, il consiglio di
un amico vero, una comunicazione interiore. Ad Abramo non viene
rivelato fin dal principio dove sarà condotto e, come per ogni
persona, deve misurare la sua strada ogni volta. E così Abramo
con la moglie Sara, lui anziano e lei sterile, che già vivevano
in un paese di pagani, a Ur di Caldea e che già è già emigrato,
in un particolare momento della storia della sua vita, deve
accettare un capovolgimento improvviso. E se non ci viene
descritto nulla di ciò che precede, improvvisamente sorge
solamente un comando di Dio (quale Dio? Abramo lo scoprirà via
via). Il comando ha la stessa forza, gravità e potenza dei tempi
della creazione: “Dio disse” (v.1). La Parola di Dio è una
novità che sradica, è invito al nuovo, a cercare una terra per
ricominciare da capo. Ci sono i termini di una promessa che più
avanti diventerà "un'alleanza". E la promessa che viene innovata
almeno tre volte (15,18; 17,1-8, 22,16-18) comprende cinque
punti: - da Abramo discenderà una progenie numerosa; - la
discendenza di Abramo verrà in possesso della terra di Canaan; -
Abramo e i suoi discendenti avranno un grande posto fra le
nazioni; - gli interessi di Dio e quelli di Abramo saranno
associati: "Benedirò coloro che ti benediranno"; - Abramo, nel
suo seme, sarà strumento di benedizioni per tutte le stirpi
della terra. E questa promessa verrà ripetuta ad Isacco (21
26,5) e a Giacobbe (28,14). Si nota un richiamo alla potenza
demografica e al possesso territoriale da una parte; dall'altra
vengono ripresi e ricordati elementi spirituali e
universalistici: il rapporto di amicizia con Dio e l'essere
strumento di benedizione per tutte le stirpi della terra. Il
significato di questa benedizione può essere inteso in senso
messianico: le stirpi della terra avranno motivo di sentirsi
fortunati in grazie al "seme di Abramo". E nel Secondo
Testamento si traduce questa benedizione come la nascita del
Messia dal popolo d'Israele. “Nascerà un popolo da te, sarà
benedetto il tuo nome (la benedizione suscita fecondità) e nel
tuo nome saranno benedette tutte le famiglie della terra” (v.3).
Quando, molti secoli dopo, gli ebrei tornarono a Gerusalemme
dopo l’esilio (nel sec. VI a.C.), trovarono conferma nella
profezia. Dio ricostruisce e raduna il suo popolo. E se vogliamo
contare le popolazioni che si riconoscono discendenti di Abramo,
dovremmo contare almeno due miliardi di persone che fanno parte
della religione Ebraica, Cristiana e Musulmana. |
Ebrei. 11, 1-2. 8-16b Fratelli,
la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non
si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati
da Dio. Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per
un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere
dove andava. Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come
in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche
Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli
aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui
architetto e costruttore è Dio stesso. Per fede, anche Sara,
sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare
madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva
promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato
dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del
cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e
non si può contare. Nella fede morirono tutti costoro, senza
aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo
da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla
terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di
una patria. Se avessero pensato a quella da cuierano usciti,
avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi
aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per
questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio.
Dopo quarant'anni dalla morte di Gesù, Gerusalemme è stata
distrutta con il suo tempio. Molti ebrei sono stati uccisi,
molti sono fuggiti e si sono dispersi nel mondo. Lontani dalla
loro terra, molti di essi hanno abbracciato la fede cristiana,
ma sono comunque disorientati. “Perché tanta tragedia e tante
catastrofi? Perché gli stessi fratelli nella fede nel Dio di
Abramo ci condannano e ci perseguitano?” Il capitolo 11 è
dedicato alla fede in Dio e, in ultima analisi, alla fede in
Gesù. Egli sostiene e fa crescere la fede nella comunità
cristiana affinché essa testimoni, nella coerenza della vita, la
gioiosa certezza (10,35) delle promesse messianiche (8,6). E’ la
fede "il fondamento" della vita cristiana. - Essa sostiene in
noi uno stile nuovo di vita di figli di Dio. - Garantisce
solidità e stabilità per seguire le scelte che Gesù ha compiuto
nella sua vita. - Nello stesso tempo la fede garantisce chi ci
sta vicino e prova valori e presenze che possono aiutare a
persuadere. In tal modo essa diventa come una "dimostrazione".
In una parola, rassicura in noi la realtà celeste che Gesù ci ha
manifestato ed offre, attorno a noi, garanzie di realtà non
visibili. L'autore di questa lettera esemplifica, attraverso
molti personaggi conosciuti nella Scrittura, lo stile di fede
che bisogna sviluppare nel nostro cammino verso Dio. Nel testo
della liturgia di oggi ci vengono richiamate la fede di Abramo e
la fede di Sara. Abramo, a 75 anni (Gen 12,4), nell'età in cui
si ritiene di essersi conquistato un giusto riposo, parte per
una terra sconosciuta (vv8-10). Sara crede, nonostante tutte le
contrarie logiche umane, che avrà un figlio, garanzia ed
elemento che permetterà lo sviluppo delle benedizioni che Dio ha
dato a questa famiglia. L'autore biblico, però, per mettere in
evidenza la profondità della loro fede, ricorda la povertà delle
garanzie e dei risultati nella fede di Abramo e di Sara.
Morirono senza aver visto il compimento della promessa. Ebbero
solo un figlio e non una moltitudine; continuarono a peregrinare
sempre, come stranieri, in terre diverse. L'unica proprietà, che
Abramo si permise di avere nella terra che le era stata
promessa, era una grotta che si comprò a caro prezzo per
seppellire Sara (Gen 23,1-20) e divenne così "pegno e caparra"
della promessa. E tuttavia Abramo continuò a fidarsi fino in
fondo, nella sua vita, di Dio e delle sue promesse. Questo vale
anche per ogni credente ogni volta che ripensa alla Parola di
Gesù: è morto per la salvezza ditutti. Noi non verifichiamo
questa salvezza, spesso scopriamo il male che dilaga e ci
sentiamo come sconfitti. Eppure la Parola del Signore è una
parola grande, viva, che garantisce il trionfo del bene e la
pienezza della misericordia. Certamente, come per Abramo, siamo
chiamati a credere, ad operare come se avessimo chiari gli
effetti e chiari i risultati. La nostra collaborazione è
preziosissima e il Signore ne ha bisogno e tuttavia egli opera
con noi, nonostante noi, oltre noi.
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Luca. 9, 57-62
In
quel tempo. Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò
dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli
uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il
capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di
andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti
seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro
disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di
casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si
volge indietro è adatto per il regno di Dio».
Nel Vangelo di Luca siamo all’inizio del grande cammino verso Gerusalemme che
si concluderà con l’ingresso nel tempio (9.51-19,46) “Mentre si stavano
compiendo i giorni in cui sarebbe stato rilevato in alto, egli prese la ferma
decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme” (v9,51). Questo cammino
rappresenta anche un itinerario di approfondimento del significato del Regno e
di vocazione per la sua nuova comunità a cui Gesù svela i segreti del Padre.
“Compiersi” per Luca è un verbo importante: lo usa nella nascita di Gesù (2,6) e
nella Pentecoste (Atti 2,1): indica uno degli avvenimenti centrali nella vita
del Signore. Il testo greco parla di “indurimento del volto” per significare che
egli prende una decisione irrevocabile. Gesù trova difficoltà fra le persone che
incontra sul suo cammino e che si svolge dalla Galilea a Gerusalemme passando,
per l'occasione, attraverso la Samaria (rappresenta il percorso più breve ma
anche più insidioso). E infatti qui incontra molte persone prevenute e, comunque
ostili, verso tutti coloro che stanno andando verso Gerusalemme. “Non lo
accolsero perché il suo volto era in cammino verso Gerusalemme” (v53). E
tuttavia Gesù non si scoraggia, anzi deve frenare i suoi discepoli che gli fanno
una proposta drammatica, degna di persone che si sentono offese a morte:
"Signore, voi che diciamo che scenda un fuoco del cielo e li consumi ?" (v 54).
Gesù ci preoccupa che i suoi discepoli scelgano la nonviolenza: "Si voltò e li
rimproverò" (v 55). Ma Gesù incontra anche persone coraggiose e generose,
disposte a seguirlo. Un tale, pieno di entusiasmo, vuole seguirlo e Gesù lo
mette in guardia da superficialità, chiarendo che il discepolo non ha garanzie.
Non può aspettarsi ricchezza e possedimenti da lui poiché la sua esistenza è
precaria. Deve essere disposto a passare la notte sotto le stelle e
accontentarsi della ospitalità che gli può venire offerta in sistemazioni
provvisorie. In altri termini, seguire Gesù non deve avere, come sottofondo,
l’attesa della ricchezza, la garanzia del benessere, il potere. Ma il testo può
essere anche collegato con un significato che viene dato alla Sapienza (Sir
24,7): la sapienza non trova sulla terra dove appoggiare il piede. “E’ Dio che
ordina alla sapienza di piantare la tenda in Israele" (Sir 24,8). Gesù sapienza
segue la stessa sorte. Un altro, invitato da Gesù, chiede di andare “prima” a
seppellire il padre (e non si capisce se è un funerale o è servizio verso il
padre in attesa delle morte). Gesù dice che “prima vocazione è andare ad
annunciare il Regno” e pone qui una forte radicalità. Gesù non annulla l’amore
filiale, ma vuole chiarire che cosa viene prima, altrimenti la morte continuerà
ad essere morte. Per un giudeo questa è una risposta scandalosa poiché il
compito di seppellire i propri genitori viene prima di qualunque precetto della
legge. Ma Gesù pretende che non si metta il Regno a nessun secondo posto,
compreso i sentimenti più sacri dei figli verso i genitori. Si potrebbe anche
leggere qui la preoccupazione di rivedere gli schemi della propria cultura
tradizionale: il padre rappresenta il passato, la consuetudine, l'ambiente
culturale. Luca vuole aiutare a capire che esiste un tempo nuovo in cui vanno
rivisti tutti gli schemi mentali, nella linea della Parola di Gesù. Ciò che
blocca ed impedisce di seguire Gesù rende comunque schiavi. Anche nel linguaggio
del terzo anonimo c’è un “prima”: “Prima lascia che mi congeda da quelli di casa
mia”. Gesù ’ non concede neppure il saluto ai suoi (lo aveva invece concesso
Elia ad Eliseo 1Re 19,16-21), poiché Gesù è più grande di Elia stesso. Gesù è
deciso, nella sua scelta, di voler camminare verso il Padre, passando per la
fatica e la tragedia che si prospetta per Lui a Gerusalemme. Chiede ai suoi di
essere altrettanto essenziali, coraggiosi e radicali per operare scelte che
passino, prima di tutto, per le esigenze del Regno. Siamo quindi alla lettura
della radicalità così come Gesù ci richiama. Tutto il tema del Regno è legato al
cammino (annuncio) ed è legato alla fede, come quella di Abramo, che cammina su
strade nuove e si fida di Dio. Tutto quello che si frappone, blocca,
ridimensiona o che immiserisce il messaggio impoverisce la persona che lo porta,
impoverisce il mondo, costruisce idoli e oscura il volto di Dio. Pur nella
povertà della persona umana, fragile e insicura, Gesù ci sostiene in un progetto
che Lui, per primo, accetta e in cui crede. Il camminare verso Gerusalemme,
insieme con i discepoli, nonostante la fragilità dei loro comportamenti, è
garanzia. Il Signore non abbandona e sosterrà scelte, fatiche, incontri,
comunità che arricchiscano la speranza e diano forza. In questo caso il valore
della comunità cristiana diventa sempre più preciso e sempre più profondo: la
fedeltà di uno diventa fiducia per tutti. |