
VI Domenica dopo Pentecoste
24 luglio 2011
Luca. 6,20-31
Riferimenti : Esodo. 33, 18 -34, 10 - Salmo 76 - Corinzi.
3, 5-11
Dio è conosciuto in Giuda, in Israele è
grande il suo nome. È in Gerusalemme la sua dimora, la sua
abitazione, in Sion. Qui spezzò le saette dell'arco, lo scudo,
la spada, la guerra. Splendido tu sei, o Potente, sui monti
della preda; furono spogliati i valorosi, furono colti dal
sonno, nessun prode ritrovava la sua mano. Dio di Giacobbe, alla
tua minaccia, si arrestarono carri e cavalli. Tu sei terribile;
chi ti resiste quando si scatena la tua ira? Dal cielo fai udire
la sentenza: sbigottita la terra tace quando Dio si alza per
giudicare, per salvare tutti gli umili della terra. L'uomo
colpito dal tuo furore ti dà gloria, gli scampati dall'ira ti
fanno festa. Fate voti al Signore vostro Dio e adempiteli,
quanti lo circondano portino doni al Terribile, a lui che toglie
il respiro ai potenti; è terribile per i re della terra.
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Esodo. 33, 18 -34, 10
In quei giorni. Mosè disse al Signore: «Mostrami la tua
gloria!». Rispose: «Farò passare davanti a te tutta la mia bontà
e proclamerò il mio nome, Signore, davanti a te. A chi vorrò far
grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò
misericordia». Soggiunse: «Ma tu non potrai vedere il mio volto,
perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». Aggiunse il
Signore: «Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe:
quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della
rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. Poi
toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si
può vedere». Il Signore disse a Mosè: «Taglia due tavole di
pietra come le prime. Io scriverò su queste tavole le parole che
erano sulle tavole di prima, che hai spezzato. Tieniti pronto
per domani mattina: domani mattina salirai sul monte Sinai e
rimarrai lassù per me in cima al monte. Nessuno salga con te e
non si veda nessuno su tutto il monte; neppure greggi o armenti
vengano a pascolare davanti a questo monte». Mosè tagliò due
tavole di pietra come le prime; si alzò di buon mattino e salì
sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due
tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si
fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il
Signore passò davanti a lui, proclamando: «Il Signore, il
Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di
amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille
generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il
peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei
padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla
quarta generazione». Mosè si curvò in fretta fino a terra e si
prostrò. Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore,
che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì, è un popolo di dura
cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’
di noi la tua eredità». Il Signore disse: «Ecco, io stabilisco
un’alleanza: in presenza di tutto il tuo popolo io farò
meraviglie, quali non furono mai compiute in nessuna terra e in
nessuna nazione: tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi
vedrà l’opera del Signore, perché terribile è quanto io sto per
fare con te.
Abbiamo letto il racconto di un secondo ritorno di Mosè sul
Sinai. Disceso dal monte, la prima volta, con le tavole incise
che dovevano essere il trionfo della fedeltà e la conferma della
preferenza di Dio per questo popolo, nel campo degli Israeliti è
avvenuto l’inimmaginabile: orge, costruzioni di idoli con l’oro
di famiglia portato dall’Egitto, rifiuto dell’autorità di Mosè,
guerra interna che si scatena per avere una vittoria o un
predominio. Mosè vince una vera battaglia, compiendo con i suoi
un massacro di ribelli. Ma, a questo punto, è convinto che la
sconfitta più terribile se l’è procurata davanti a Dio. E’
convinto del rifiuto di Dio, della lacerazione di un’alleanza
prefigurata. E’ convinto di non avere futuro e di doversi
preparare ad un destino di abbandono e di morte nel deserto. E
invece Mosè (Es. 34,4-10) è invitato da Dio a ritornare sul
monte. Dio vuole rifare una copia della prima legge che era
andata distrutta nella disperazione di un tempo senza futuro. Le
prime tavole erano state opera di Dio, scritte da Dio e donate
(32,16). Qui Dio non recede e accetta di scrivere, ancora una
seconda volta, la legge ma le nuove tavole di pietra debbono
essere preparate da Mosè stesso: la legge nasce e si propone in
collaborazione. Il Signore mantiene la misericordia con fedeltà
e amore; e questa è la sorpresa per tutti, ma soprattutto per
Mosè, che sta imparando a conoscere Dio. E infatti Dio gli si
ferma accanto, nascosto e palese ("scese nella nube" v.5) e si
proclama per ciò che Mosè deve capire sulla identità di Dio
stesso. Il Signore, infatti, è fondamentalmente "misericordioso
e pietoso, lento all'ira e ricco di fedeltà". Questa
proclamazione è rivelazione di Dio, gioiosa intuizione per Mosè
che ormai si sente legato al suo popolo e quindi solidale, nel
bene e nel male; e tuttavia pienamente unito a Dio e
all'esigenza di fedeltà. La misericordia del Signore fa intuire
una profondità di legame e di coinvolgimento impensabile. Così
Mosè, che teme di restare solo e angosciato in questa scelta di
solidarietà, scopre che è possibile riprendere una speranza
grande e un progetto interrotto. Questo Dio fa prevalere il
perdono anche se continua, nella giustizia, la punizione. Ma il
favore e il perdono stanno come 1000 e 4. Mosè accoglie e "si
curva in fretta fino a terra" (v.8) e riprende la sua preghiera
di intercessione. Chiede che "il Signore cammini in mezzo a noi,
che perdoni la nostra colpa e ci faccia sua eredità ".
Si ritrovano continuamente uniti il richiamo del cammino
vittorioso, la protezione della presenza divina, la gloria di
essere custodi ed eredi nella scelta di Dio (Deut. 4,20;
9,26.29). Mosè comunque, fino in fondo, si sente mediatore e fa
le scelte preziose di solidarietà con il popolo, a somiglianza
di Gesù. Mosè prende su di sé il peccato del popolo (nostra
colpa) anche se, nel tempo del peccato della sua
gente, è rimasto lontano, per 40 giorni, al cospetto di Dio sul
monte. |
Corinzi. 3, 5-11
Fratelli, Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori,
attraverso i quali siete venuti alla fede, e ciascuno come il
Signore gli ha concesso. Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma
era Dio che faceva crescere. Sicché, né chi pianta né chi irriga
vale qualcosa, ma solo Dio, che fa crescere. Chi pianta e chi
irriga sono una medesima cosa: ciascuno riceverà la propria
ricompensa secondo il proprio lavoro. Siamo infatti
collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio.
Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio
architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce
sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti
nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si
trova, che è Gesù Cristo.
Paolo, nel capitolo precedente, ha sviluppato il tema della
sapienza: "una sapienza non di questo mondo, né dei principi di
questo mondo che vengono ridotti al nulla. Parliamo invece della
sapienza di Dio che è nel mistero… ma a noi Dio ha rivelato
questa sapienza mediante lo Spirito" (2,6-10). Continuando la
sua riflessione per i fratelli della comunità di Corinto,
confessa: "Non ho potuto parlare a voi come a esseri spirituali
ma carnali" (3,1). Paolo, infatti, ricorda che, all'inizio,
esisteva, ovviamente, una grande impreparazione per la diversa
provenienza religiosa; ma riscontra, comunque, in questa
comunità, delle fratture tra i credenti, per cui rileva
divisioni e gruppi di cristiani contrapposti che fanno
riferimento a Paolo, ad Apollo, a Cefa (Pietro) (3,22) mentre,
poco prima, Paolo ricorda anche il "partito di Cristo" (1,12).
L’apostolo dice che, se all'inizio li ha trattati come esseri
carnali e come bambini "(3,1), anche adesso continua a non
poterli trattare come uomini spirituali a causa delle loro
posizioni "di invidia e di discordia" (3,3). Paolo tiene allora
a chiarire la natura del ministero apostolico, suo e di tutti
coloro che hanno delle funzioni particolari ed educative nella
comunità cristiana. Coloro che esercitano un ministero, dice
Paolo, sono semplicemente dei servitori. e ricorda, a modo di
parabola, due tipi di lavori comuni conosciuti: l'agricoltura e
l'edilizia. In questi due orizzonti ricostruisce esempi di ruoli
e di responsabilità. "Siamo collaboratori di Dio e voi siete il
campo di Dio, l'edificio di Dio" (3,8). Il Signore fa crescere,
utilizzando ovviamente il lavoro di chi pianta e di chi irriga.
Ma, nel campo, determinante è Dio che fa crescere ciò che è
stato seminato, e non gli annunciatori o i catechisti (Paolo,
Apollo, Cefa). Per l'esistenza e la stabilità dell'edificio sono
necessarie le fondamenta: ed è Gesù che le costituisce. Tutti
coloro che portano messaggi diversi o pretendono di costruire su
fondamenta che non siano quelle di Gesù, distruggono il tempio
di Dio e l’opera di Dio in ciascuno.
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Luca. 6,20-31
In
quel tempo. Il Signore Gesù, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete
fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati
voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi
insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio
dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra
ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con
i profeti. Ma guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra
consolazione. Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi,
che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete. Guai, quando tutti gli
uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i
falsi profeti. Ma a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del
bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per
coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche
l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a
chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come
volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.
Luca
segue la trama del Vangelo di Marco fino al versetto 6,2, se si escludono i
primi due capitoli dell’infanzia di Gesù (cc 1-2). A questo punto si stacca per
inserire altro materiale (chiamato “piccolo inserto: 6,2-8,3) che contiene il
“discorso della. pianura” in parallelo al “discorso della montagna” di Matteo
(cc 5-7). Mentre Matteo deve aver elaborato tutto il materiale con altri testi
ripresi dalla predicazione di Gesù, Luca propone le Beatitudini in uno stile
alquanto diverso. Infatti Matteo elenca otto Beatitudini sul mondo dei
sofferenti (più una rivolta agli discepoli); Luca invece ne riporta quattro,
facendole seguire da quattro maledizioni antitetiche, rivolte direttamente agli
uditori nella seconda persona plurale: “Beati voi”,..”guai a voi…”. Il
linguaggio di Luca è immediato ed efficace. mentre Matteo, rivolgendosi in terza
persona, dà al testo un sapore più astratto (salvo l'ultima): “Beati i poveri,
beati quelli che piangono, ecc”, e aggiunge qualche parola, dando al testo un
significato più spirituale: “Beati i poveri in spirito, beati quelli che hanno
fame e sete della giustizia…”. Così Matteo, inserendo le beatitudini in una
catechesi ecclesiale, ha prospettive morali-esistenziali. Luca, invece, non
vuole tanto svelare precetti nuovi, ma proclamare un bene, un nuovo modo di
essere, la novità assoluta che piace a Dio e che per noi è inedita. Sia in
Matteo che in Luca tutta la proposta di Gesù è rivolta ai discepoli e non alla
gente, per cui la beatitudine è proclamata a chi crede in Gesù e ha fatto scelte
di valore come Gesù ha insegnato. “Poveri e ricchi”: i poveri sono beati se
diventano il segno della scelta definitiva di Dio: e il mondo si salva
attraverso scelte umili e povere. I ricchi invece non fanno intravvedere Dio,
Padre di Gesù ma un mondo di idoli attraverso le loro scelte di vita e la loro
mentalità. – “Affamati e sazi”: coloro che mancano perfino del cibo vivono la
povertà estrema e sono lo specchio limpido di Dio che soccorre attraverso Gesù e
la sua provvidenza. I sazi invece abusano e sprecano e offuscano l’immagine di
Dio. Si godono la vita, non aiutano negando ad altri di partecipare alla propria
abbondanza (vedi la parabola di Lazzaro e del ricco epulone:Lc16,19-31). Così
vanno incontro a una fame insaziabile di verità, di giustizia e di amore che
sarà loro negata. “Dolenti e gaudenti”: ci sono nella vita persone che soffrono
con dolore lacerante e assomigliano a Gesù, servo sofferente. Essi troveranno in
Dio la sua pienezza e la sua gioia già qui, poiché sta per venire a visitarli.
Quelli, invece, che godono e non accettano lo stile di Gesù, sì troveranno con
stupore nella tragedia. “Perseguitati e raccomandati”: perseguitati sono coloro
che, a causa della loro fede, diventano oggetto di odio, rancore, rifiuto. La
contrapposizione non è con i persecutori ma con coloro che sono osannati e
giustificati (dalla gente). Come Gesù, anche i cristiani. Come è stato colpito
il capo, colpiranno anche le membra, ma c’è la certezza di camminare sulla
strada giusta, verso il Padre. Il secondo e il terzo richiamo (“coloro che sono
sazi e coloro che ridono”) hanno come riferimento il banchetto messianico a cui
non potranno prendere parte poiché non si sono sintonizzati con la venuta del
Regno di Dio. Il “discorso della pianura” di Luca vuole offrire alla comunità
cristiana prospettive e stimoli di collaborazione con il Padre che, attraverso
Gesù, libera il suo popolo e lo salva. Potrebbe essere significativo anche il
confronto con il “Magnificat” (sempre di Luca 1,46-56) dove viene annunciato il
capovolgimento delle situazioni. Sembra comunque che questo testo sia più antico
che non quello di Matteo. La seconda parte, che qui ci viene parzialmente
prospettata (6,27-35), propone concretamente alcuni atteggiamenti di credenti
all'interno della vita quotidiana. Si tratta di far maturare un amore
(greco:”agape”) che assomigli all'amore di comunione di Dio con il suo popolo.Il
rapporto amico-nemico viene sviluppato in uno stile di novità in quattro punti:
“amare i nemici, fare del bene a chi vi odia, benedite chi vi maledice e pregate
per chi vi maltratta”. Altri quattro richiami sulla vita quotidiana fanno
riferimento “alla violenza, alla pretesa degli altri nella loro ingordigia
(chiedere in mantello e chiedere danaro), alla gratuità (non richiedere)”.
Questo testo conclude in quella che viene chiamata “la regola d'oro” e che si
trova, in modo frequente, in altre religioni, riletta, per lo più nei termini
del “non fare:: "Non fare agli altri quello che non vuoi che gli altri facciano
a te". Qui Gesù parla in prospettive positive:” E come volete che gli uomini
facciano a voi, così anche voi fate a loro". E questo comporta, prima di tutto,
un’analisi delle proprie attese e del proprio desiderio per poter sapere
trattare gli altri allo stesso modo con cui vorremmo che gli altri trattassero
noi ". Ma per i cristiani la regola d'oro procede per parametri ancora più
profondi: "Vi do un comandamento nuovo: e vi amiate gli uni gli altri. Come io
ho amato voi così amatevi anche voi gli uni gli altri. Per questo tutti sapranno
che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,33- 34).
Le Beatitudini sono un orizzonte che si prospetta sul cammino futuro, ogni
giorno. Se uno vuole camminare non può ignorarlo. Ma nello stesso tempo ci
obbliga a misurarci, sia sulla strada che stiamo compiendo passo passo, sia
sull'orientamento che stiamo prendendo. Le Beatitudini non sono un sogno, ma si
prospettano come la nuova logica della vita, disposta a ricreare il mondo nella
misericordia e nella pace. Questi tre testi ci obbligano a rivedere i nostri
criteri di giustizia di attesa nel mondo di Dio (Mosé). Ci invitano a ricordare
che il vero criterio ci viene dato da Gesù che pone il fondamento della vita. Ci
viene declinato uno stile di atteggiamenti davanti a cui non saremo mai
sufficientemente all'altezza, e tuttavia restano sempre riferimenti fondamentali
per ricostruire tempi nuovi. Non va mai dimenticato, tuttavia, che le
Beatitudini sono state proposte ai discepoli e non alla folla. È normale che la
folla non le capisca, ma è anche una scoperta splendida e sconcertante, nello
stesso tempo, accorgersi che qualcuno, che ci sembra lontano dal Signore, viva
gli stessi criteri e gli stessi progetti. È il segno del lavoro della grazia di
Dio nella vita delle persone. |