
III Domenica dopo Pentecoste
3 Luglio 2011
Giovanni. 3,16-21
Riferimenti : Genesi. 2, 4b-17 - Salmo - Romani. 5,12-17
| Benedici il Signore, anima mia, quanto è in me benedica il
suo santo nome. Benedici il Signore, anima mia, non
dimenticare tanti suoi benefici. Egli perdona tutte le tue
colpe, guarisce tutte le tue malattie; salva dalla fossa la tua
vita, ti corona di grazia e di misericordia; egli sazia di
beni i tuoi giorni e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza.
Il Signore agisce con giustizia e con diritto verso tutti gli
oppressi. Ha rivelato a Mosè le sue vie, ai figli
d'Israele le sue opere. Buono e pietoso è il Signore,
lento all'ira e grande nell'amore. Egli non continua a
contestare e non conserva per sempre il suo sdegno. Non ci
tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre
colpe. Come il cielo è alto sulla terra, così è grande la
sua misericordia su quanti lo temono; |
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Genesi. 2, 4b-17
Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo
nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba
campestre era spuntata, perché il Signore Dio non aveva fatto
piovere sulla terra e non c’era uomo che lavorasse il suolo, ma
una polla d’acqua sgorgava dalla terra e irrigava tutto il
suolo. Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo
e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un
essere vivente. Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a
oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio
fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla
vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al
giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male. Un
fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si
divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume si chiama Pison:
esso scorre attorno a tutta la regione di Avìla, dove si trova
l’oro e l’oro di quella regione è fino; vi si trova pure la
resina odorosa e la pietra d’ònice. Il secondo fiume si chiama
Ghicon: esso scorre attorno a tutta la regione d’Etiopia. Il
terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre a oriente di Assur. Il
quarto fiume è l’Eufrate. Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose
nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Il
Signore Dio diede questo comando all’uomo: «Tu potrai mangiare
di tutti gli alberi del giardino, 17ma dell’albero della
conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché nel
giorno in cui ne mangerai, certamente dovrai morire»
L’autore biblico vuole dare una spiegazione agli infiniti
interrogativi che ciascuno di noi pone sulla propria vita, sul
bene e male, sul progresso, sul lavoro, sulla propria
collocazione nel mondo che si trova già fatto e in cui è, però,
chiamato ad operare perché le ricchezze e le risorse diffuse
possano diventare aiuto, sostegno e soluzione ai propri bisogni
e a quelli della umanità a cui si sente profondamente solidale:
la vita, l’intelligenza, la concordia, la pace. Ma insieme
riscopre fragilità e limiti, mentre incombono la sofferenza e la
interminabile tragedia della violenza e quindi della morte. E la
spiegazione non avviene attraverso dei “perché” ma attraverso il
racconto di un mito che dice a ciascuno di noi ciò che siamo e
ciò che va capito. Non è cronaca di un avvenimento avvenuto
secoli fa, all’inizio del mondo, ma ciò che avviene nell’umanità
ogni giorno. Siamo stati creati nella bellezza e nello splendore
di un mondo che sorge dalle mani di Dio. E in questo mondo il
primo regalo è una sorgente che sgorga dalla terra e irriga il
suolo. Infatti non c’è ancora né pioggia dal cielo né il lavoro
di irrigazione dei campi, esperienza del mondo Egiziano e
Babilonese. Questo mondo ha bisogno di un
custode-signore-lavoratore per svolgere lavori e prendersi cura
di tutto come di una casa in cui abiteranno la propria famiglia
e la propria discendenza. Il giardino è il modello che il
Signore vuole offrire al mondo e all'uomo: bello, ordinato,
carico di frutti, splendido per grandi alberi portatori di ombra
e di pace. L’uomo è amministratore di questo giardino e porta in
sé la concretezza della terra di cui è fatto e la tenerezza di
Dio con cui è plasmato. E, insieme, partecipa alla sapienza di
Dio perché il Signore ha soffiato nelle sue narici l'alito di
vita, la stessa vita di Dio. Perciò l'uomo e l'umanità, che
continueranno ad abitare il giardino, costituiscono un ponte tra
la dimensione materiale e visibile della terra e degli esseri
viventi che vi abitano, e, insieme, con lo Spirito di Dio
presente nella vitalità del suo amore. Dalla sorgente scorrono
quattro fiumi che rappresentano tutta la fecondità per una terra
continuamente assetata (siamo nel Medio Oriente). L'autore
biblico ritiene di aver individuato i quattro fiumi che
scaturiscono dalla fonte e che sono i più importanti allora
conosciuti: insieme al Tigri ed Eufrate probabilmente si
richiamano il Nilo e il Gange: i grandi fiumi noti in questa
cultura. Ma il numero quattro è anche il numero della terra, il
richiamo alla totalità dell'acqua che feconda. Il compito
dell'uomo, come cittadino ed abitante insigne di questa realtà
nuova, è quello di comportarsi da responsabile: perciò sviluppa
le ricchezze che trova (“coltiva”) e si preoccupa di non
sperperare ma conserva e sviluppa ciò che dovrà servire per
coloro che verranno dopo. C’è come uno scambio di doni: l’uomo
riceve frutti e ricambia proteggendo e salvando la realtà
dall’inquinamento, dalla dissoluzione e dalla desertificazione.
E’ la responsabilità della salvaguardia del creato. Il giardino
è perciò il luogo del lavoro dell'uomo.
“Il Signore Dio prese l`uomo e lo
pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo
custodisse”. I due
verbi usati nel v. 15: “coltivare e custodire”, per parlare del
lavoro richiamano immediatamente il culto e l'alleanza: sàmar,
particolarmente amato dal Deuteronomio, parla del «servire
religioso»; càbad è il caratteristico atteggiamento di
chi accetta dal partner maggiore la proposta di Alleanza.
“Coltivare” indica la fatica che dissoda il terreno, il secondo
l’atteggiamento di chi accoglie un dono e fedelmente lo
conserva. Custodire dice la cura che deve accompagnare
l’attività dell’uomo, come quando si ha fra le mani un bene
prezioso che non appartiene a se stessi. Il mondo è di Dio, non
dell’uomo. I due alberi hanno un loro significato. Uno
rappresenta il Signore come dispensatore della vita (dopo il
peccato il Signore proibirà di accostarsi a tale albero, difeso
da un cherubino, poiché altrimenti l'uomo, mangiando nella
disobbedienza, resterebbe eternamente nel male Gn3,22); e
l’altro albero rappresenta la volontà di Dio che è sapiente e
pretende l’obbedienza perche l’umanità si mantenga nella linea
della fiducia e nella consapevolezza coerente, senza pretendere
di diventare arbitro di ciò che è bene e ciò che è male. Nel suo
simbolismo occorre limitare la pretesa del desiderio di poter
avere tutto: solo se esiste un limite al desiderio di vita che
abita ogni uomo, questi può vivere una relazione giusta con il
fratello, altrimenti il voler prendere tutto per sé non può che
portare alla morte del fratello e, di conseguenza, alla propria
morte. Essere lavoratori responsabili del mondo, essere
rispettosi della volontà di Dio, essere sapienti nello sviluppo
della vita nel mondo suppongono accettare dei limiti che ti
rendono coscienti, comunque, della propria povertà, del proprio
bisogno di chiarezza, di rispetto di valori, di capacità di
obbedienza. Altrimenti il proprio atteggiamento diventa
drammaticamente pericoloso perché si tramuta nella volontà di
poter disporre a piacimento di che cosa è bene e che cosa è
male. Il bene e il male seguono una legge che non si può
valicare, pena la distruzione della bellezza. |
Romani. 5,12-17
Fratelli, come a causa di un solo uomo il peccato è
entrato nel mondo e, con il peccato, la morte, e così in tutti
gli uomini si è propagata la morte, poiché tutti hanno peccato…
Fino alla Legge infatti c’era il peccato nel mondo e, anche se
il peccato non può essere imputato quando manca la Legge, la
morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano
peccato a somiglianza della trasgressione di Adamo, il quale è
figura di colui che doveva venire. Ma il dono di grazia non è
come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo tutti
morirono, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in
grazia del solo uomo Gesù Cristo si sono riversati in abbondanza
su tutti. E nel caso del dono non è come nel caso di quel solo
che ha peccato: il giudizio infatti viene da uno solo, ed è per
la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute, ed è per
la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la
morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli
che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della
giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo.
S. Paolo, nella lettera ai Romani, dichiara, almeno nella
prima parte, la sua fede nella salvezza portata da Gesù. Il
mondo (l’umanità) é come diviso in due parti: il mondo antico e
pagano e il mondo di Gesù. Il mondo antico ed estraneo a Cristo
è costituito sia da pagani senza la legge e sia da Giudei
coscienti e conoscitori della legge: questo mondo ha fallito
completamente ed ha peccato. Il mondo di Gesù é invece il mondo
della speranza nuova. Infatti, se la realtà antica, ricapitolata
in Adamo, va verso la rovina, Gesù, il capofila della Salvezza,
porta una tale novità e una tale ricchezza da rendere
incomparabile il confronto. San Paolo ha intenzione di stabilire
un parallelo tra l’umanità impoverita e ribelle e Gesù. Seguendo
le interpretazioni dei rabbini del suo tempo, che immaginavano
Adamo un individuo ben preciso, la contrapposizione fa risaltare
ciò che conta agli occhi di Dio. Dopo il peccato consapevole di
Adamo, pensa Paolo, l’umanità non ha più conosciuto la volontà
di Dio fino alla rivelazione della Legge del Sinai (situazione
ancora presente nelle nazioni pagane dove la legge non è
diffusa) e tuttavia il peccato c’era e c’era la morte (vv.13.14).
Secondo la distinzione biblica tra colpe consapevoli e colpe per
ignoranza (Num 5,22-16,35), il peccatore, che agisce
deliberatamente, deve essere sterminato senza remissione (Num
15,30) mentre la folla, che condivide la colpa per incoscienza o
per inavvertenza, può sfuggire alla morte mediante un sacrificio
di espiazione per il proprio peccato (Lev 4)Infatti la vita che
viene da Gesù Cristo è più forte della morte che proviene dal
peccato. Tutti, comunque, da Adamo in poi, muoiono fino a quando
non è stato offerto il sacrificio per il peccato, presentato da
Gesù in croce (Rom. 5,6.8.11). Questi porta la vita in
abbondanza per tutti e ‘‘per l’obbedienza di uno solo tutti
saranno costituiti giusti” (v. 19). Egli porta la vita e la vita
di Gesù Cristo è più forte della morte che proviene dal peccato.
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Giovanni. 3,16-21
I n
quel tempo. Il Signore Gesù disse a Nicodemo: Dio ha tanto amato il mondo da
dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma
abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per
condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede
in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha
creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è
venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché
le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non
viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la
verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono
state fatte in Dio».
Una notte Nicodemo decide di andare a parlare con Gesù (Gv3,2-21). La notte,
per l’ebreo, è il tempo della preghiera e dello studio. Nicodemo è un
personaggio illustre del gran consiglio (sinedrio) di Gerusalemme, maestro in
Israele e generoso fedele di Dio che cerca di conoscere la sua volontà e di
obbedire. Gesù lo apprezza e con lui sviluppa una rivelazione tanto profonda
quanto difficile poiché apre orizzonti impensabili ad un ebreo del suo tempo.
Già nel testo precedente al brano di oggi, Gesù assomiglia la propria presenza
alla salvezza che Dio aveva offerto a Mosé nel deserto, in seguito ad una
tragica e orribile invasione nel campo degli Israeliti di serpenti velenosi che
portavano alla morte. Mosé si era sentito ordinare da Dio, dopo le lacrime e le
grida angosciose della gente, di costruirsi un serpente di bronzo e di
innalzarlo tra le tende. Chi avesse guardato il serpente, in caso di morsi
velenosi, avrebbe avuto salva la vita (Num 21,4-9). Avendo come premessa, non
dimentichiamolo, questa immagine strana del serpente di bronzo, conservata, tra
l’altro, nel tempio di Gerusalemme, oggi leggiamo la seconda parte del racconto.
Dopo l'indicazione che "per vedere il regno di Dio bisogna rinascere dall'alto,
per il dono dello Spirito" (vv 2-8), e dopo aver garantito che solo Gesù, Figlio
dell'uomo, l'unico che viene dal cielo, rende possibile la rinascita per quelli
che credono in lui (vv 9-15 e qui si parla del serpente di Mosè), a Nicodemo
Gesù svela che la propria presenza di Gesù, fondamentale, è il dono di Dio,
Padre del Figlio unigenito, capace di portare la garanzia di una universalità.
E’ l'iniziativa unica e gratuita del Padre “che ama il mondo” (l’umanità nella
creazione e la creazione stessa). "Dio ha tanto amato il mondo da dare il
Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la
vita eterna" (v3,16). Questa è l’intuizione più sconvolgente e più profonda di
tutta la fede cristiana. Accogliendo questa consapevolezza, si scopre veramente
la novità assoluta, tutto l'amore disarmante di Dio, tutta la pienezza e lo
splendore di cui ci ha investito l'iniziativa del Signore. Dio è Amore,
sintetizza Giovanni in una sua lettera (cfr 1Gv 4,8-16). La scelta fondamentale
dell'uomo è accettare o rifiutare l'amore del Padre che si è rivelato in Cristo.
Questo amore non giudica e non condanna il mondo, ma lo salva: "Dio non ha
mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia
salvato per mezzo di lui" (v.17). Il giudizio è un fatto attuale: avviene nel
momento in cui l'uomo si incontra con Cristo. Chi crede, aderendo a Gesù, non è
giudicato; chi lo rigetta è già giudicato e condannato, per il rifiuto che ha
formulato. È come per la vita. Chi desidera vivere deve ovviamente respirare.
Chi decide di non respirare più si autodistrugge perché rifiuta volontariamente
la vita. Chi accetta Gesù evita la perdizione e ottiene la vita, chi invece lo
rifiuta è già condannato, perché si autoesclude dalla salvezza eterna. Così Gesù
è la luce. Ma davanti alla luce si possono chiudere gli occhi, si possono
preferire le tenebre e quindi il risultato è una operosità malvagia (3,19). Il
giudizio di condanna avviene nel momento in cui gli uomini rifiutano la luce,
preferendo le tenebre. Questo giudizio presente non esclude però il giudizio
finale nell'ultimo giorno. E qui ci viene incontro la riflessione di Matteo che
parla di giudizio finale e di Gesù che interpella tutta l’umanità, misurandola
su quanto ciascuno ha offerto al povero che aveva fame, sete, bisogno di
alloggio e di vestiti, che era in carcere o malato. “Venite, benedetti del Padre
mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del
mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare….., Quando mai ti
abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito?
Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?». E
il re risponderà loro: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno
solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me». Il giudizio si
compie ogni giorno in incognito, alla presenza di Gesù. (Matteo 25,31ss).
Giovanni, nella sua sensibilità, approfondisce il nostro rapporto con Gesù:
"Operare la verità fa venire alla luce" (v 21). Ed operare nella verità è prima
di tutto e fondamentalmente porre la scelta di Gesù, i suoi criteri, la sua
indispensabilità nel mondo, la sua unicità come linea di ricerca dell'orizzonte
di Dio. Matteo declina nei nostri rapporti quotidiani il significato della
scelta di Gesù e il significato della fede in Dio: ogni persona va accolta per i
bisogni essenziali che ha, affinché si senta amata e viva con fiducia la propria
esistenza, consapevole della Provvidenza di Dio. Questo secondo testo ci
richiama un rapporto di attenzione ad una carità laica, aperta a tutti. E
infatti tutti si chiederanno il dove di tanti incontri di Gesù: “Quando mai ti
abbiamo visto Signore?” (Mt25,37). E Gesù svelerà a ciascuno gli appuntamenti
anonimi, a credenti e non credenti, a chi ha avuto il coraggio di tenere gli
occhi aperti alla luce e a coloro che li avranno tenuti chiusi. |