Solennità di Cristo Re
6 novembre 2011
Giovanni. 18, 33c-37
Riferimenti : secondo libro
di Samuele. 7, 1-6. 8-9.12-14a. 16-17 - Salmo 44
- Colossesi. 1, 9b-14
Dio, con i nostri
orecchi abbiamo udito, i nostri padri ci hanno raccontato
l'opera che hai compiuto ai loro giorni, nei tempi antichi. Tu
per piantarli, con la tua mano hai sradicato le genti, per far
loro posto, hai distrutto i popoli. Poiché non con la
spada conquistarono la terra, né fu il loro braccio a salvarli;
ma il tuo braccio e la tua destra e la luce del tuo volto,
perché tu li amavi. Sei tu il mio re, Dio mio, che decidi
vittorie per Giacobbe. Per te abbiamo respinto i nostri
avversari nel tuo nome abbiamo annientato i nostri aggressori.
Infatti nel mio arco non ho confidato e non la mia spada mi ha
salvato, ma tu ci hai salvati dai nostri avversari, hai
confuso i nostri nemici. In Dio ci gloriamo ogni giorno,
celebrando senza fine il tuo nome. |
secondo libro di
Samuele. 7, 1-6. 8-9.12-14a. 16-17 In quei giorni.
Il re, quando si fu stabilito nella sua casa, e il
Signore gli ebbe dato riposo da tutti i suoi nemici
all’intorno, disse al profeta Natan:
«Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre
l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda».
Natan rispose al re: «Va’, fa’
quanto hai in cuor tuo, perché il Signore è con te».
Ma quella stessa notte fu rivolta a Natan questa
parola del Signore: «Va’ e di’ al
mio servo Davide: Così dice il Signore: “Forse
tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti?
Io infatti non ho abitato in una
casa da quando ho fatto salire Israele
dall’Egitto fino ad oggi; sono andato vagando
sotto una tenda, in un padiglione. Ora
dunque dirai al mio servo Davide: Così dice il
Signore degli eserciti: “Io ti ho preso dal pascolo,
mentre seguivi il gregge, perché tu fossi capo del
mio popolo Israele. Sono stato con
te dovunque sei andato, ho distrutto tutti i
tuoi nemici davanti a te e renderò il tuo nome
grande come quello dei grandi che sono sulla
terra. Quando i tuoi giorni
saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io
susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito
dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno.
Egli edificherà una casa al mio nome e io
renderò stabile il trono del suo regno per sempre.
Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio.
La tua casa e il tuo regno saranno saldi per
sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile
per sempre”». Natan parlò a Davide
secondo tutte queste parole e
secondo tutta questa visione.
Nel secondo libro di Samuele il racconto sulla monarchia si
fa ampio e grandioso. Ormai Davide, re
di Giuda dopo la morte di Saul, presto diventa re d'Israele. Si
stabilizza "la sua casa (la famiglia)"
e la sua gloria si espande
mentre si allargano i confini. Così il
re fedele capisce che è sotto la protezione del Signore e tutto
ciò che ha avuto viene dalle mani di Dio.
Cerca, allora, di provvedere in qualche modo a sdebitarsi; cosi
può mostrare gratitudine di fronte alla
protezione profonda e ineguagliabile di Dio. Egli ragiona da
uomo del suo tempo: "Io ho una casa. Ora,
anche Dio avrà una casa, cioè un tempio degno della divina
magnificenza (ma
ovviamente mostrerà anche la magnificenza del re)".
A questo punto tutti sono d'accordo, anche il profeta
che ritiene ovvio, nel suo buon senso, che si
onori Dio con un tempio splendido. E’ ciò che esiste in ogni
regno: un tempio splendido al Dio protettore.
Ma Dio stesso interviene e cosi il profeta diventa il
portavoce di una parola nuova: "Sarò Io,
Javhè, a costruirti una casa".
Sarà una discendenza di persone vive, una famiglia nei secoli,
una presenza nella storia del mondo. "Te
l'ho forse chiesto io di farmi una casa? lo sono andato
vagando in una tenda. Io abito il tempo poiché ho
abitato con il popolo nel deserto con Mosè, tiho preso dal
pascolo perché tu fossi principe sul mio popolo; e quando i tuoi
giorni saranno compiuti, io farò sorgere dopo
di te il tuo discendente che uscirà da te".
Il Signore rifiuta che ci si possa sdebitare con Lui
poiché egli non ne ha bisogno. Tutto ciò che
ciascuno fa è un aiuto per il proprio crescere, per la propria
vita. E’ un capire meglio se stessi e scoprire
il dono del Signore. Pretendere di sdebitarsi
con Dio ci fa pensare ad un rapporto “commerciale”, di pretesa
giustizia e di autonomia che uccide l’amore e
la riconoscenza. Gesù si ribellerà proprio a questa mentalità
di un certo mondo di “giusti” del suo tempo, spesso
identificati con alcune figure di farisei. Non
a caso ci sono i riferimenti al passato lontano (il tempo dei
Giudici) e al passato vicino (la scelta di
Davide divenuto re). Il proprio passato dovrebbe garantire una
lucidità sufficiente per credere che Dio
continuerà, nella sua generosità, a mantenere la sua promessa.
Il primo discendente sarà Salomone e poi via
via un seguito di re. Questa promessa è chiamata da Davide
"un'Alleanza eterna, determinata in tutto e
ben custodita, stipulata con la sua casa"(23,5). Le
interruzioni, le sconfitte, le deportazioni
successive, nei secoli, diranno i profeti- saranno frutto di
infedeltà all’Alleanza, ma non faranno
cancellare la promessa. Ci sarà un erede universale, il Messia,
nella discendenza di Davide. Sarà presentato
come figlio, germoglio di Davide (Is. 9,6-7; 11,1; Lc1,32). |
Colossesi. 1, 9b-14
Fratelli, non cessiamo di pregare per voi e di chiedere
che abbiate piena conoscenza della sua volontà,
con ogni sapienza e intelligenza spirituale,
perché possiate comportarvi in maniera degna
del Signore, per piacergli in tutto, portando frutto
in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza
di Dio. Resi forti di ogni fortezza
secondo la potenza della sua gloria, per
essere perseveranti e magnanimi in tutto,
ringraziate con gioia il Padre che
vi ha resi capaci di partecipare alla sorte
dei santi nella luce. È lui che ci ha liberati
dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti
nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo
del quale abbiamo la redenzione, il perdono
dei peccati.
La comunità di Colosse, a 200 km da Efeso, è stata
fondata da Epafra, discepolo di Paolo,
nominato all'inizio della lettera (v7) "nostro caro compagno del
ministero". Questa lettera è stata inviata,
probabilmente, durante il periodo in cui Paolo evangelizza ad
Efeso (54-57 d.C.) ed è ora, temporaneamente,
in carcere. Si stanno diffondendo delle strane
teorie sugli spiriti celesti, immaginati come potenze cosmiche
e astrali, intermediari tra l'uomo e Dio. Gesù si
riduce ad uno di questi intermediari. Epafra
ricorre a Paolo perché intervenga a chiarire la fede cristiana.
Il testo, che leggiamo oggi e che precede
immediatamente il famoso inno cristologico (1,15-20), esprime e
prepara, nello stesso tempo, il contenuto
della fede di questa piccola comunità e suggerisce uno stile di
vita semplice e coerente con le parole di
Gesù. Così, nella introduzione, mentre esprime
i suoi sentimenti di amicizia e di ringraziamento, Paolo
traccia il profilo di una comunità cristiana che
regge la propria vocazione tra i pagani della città
in cui vivono. -E’ necessaria- dice
Paolo- "una piena conoscenza della volontà di Dio con ogni
sapienza e intelligenza spirituale". E’
l’intenzione che l’apostolo garantisce essere al vertice della
preghiera per la comunità di Colosse.
-Dalla conoscenza viene un comportamento "degno del
Signore". -Questa consapevolezza e questo
comportamento debbono avere, come finalità, un unico
obiettivo: piacere in tutto al Signore.
-Tutto ciò porta “ frutto in ogni opera buona” e fa
crescere sempre più nella conoscenza di Dio.
Si può dire che Paolo ha delineato l'impianto di una coerenza
cristiana: la conoscenza fedele, un
comportamento etico conseguente, lo sviluppo di frutti buoni tra
le opere buone e quindi il ritorno ad una più
profonda crescita della conoscenza di Dio. Paolo riconosce che,
nella comunità di Colosse, questo sviluppo si
è incominciato. Perciò chiude il cerchio di maturazione
che prosegue nel tempo e incoraggia al ringraziamento
perché il Padre "vi ha resi capaci di
partecipare alla sorte dei santi nella luce”.
È Lui che ci ha liberati e ci ha trasferiti “nel regno del
Figlio del suo amore": splendida sintesi di
ciò che è Gesù. E qui Paolo, ricordando il perdono dei peccati
che Gesù ha portato e quindi la redenzione, ci
ricorda che quest'itinerario nuovo è possibile perché siamo
stati liberati dal peccato e del male. A
questo punto l'inno sul mistero di Gesù si sviluppa e apre gli
orizzonti della pienezza della fede. Gesù
infatti “é l'immagine del Dio invisibile, uomo-Dio, redentore,
colui che svela il Padre, primogenito delle
creature”.
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Giovanni. 18, 33c-37
In
quel tempo. Pilato disse al Signore Gesù: «Sei
tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo
da te, oppure altri ti hanno parlato di me?».
Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti
hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio
regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero
combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei;
ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato
gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu
lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono
venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque
è dalla verità, ascolta la mia voce».
Il Vangelo di Giovanni ci propone il dialogo tra Gesù e Pilato, al
centro della passione. E tutto avviene con il più grande
spregio per un ebreo: essere consegnato nelle mani del potere pagano
dai responsabili religiosi d’Israele. Il racconto
si sviluppa a due livelli : - sul piano storico Gesù é
giudicato e Pilato é il giudice - sul piano della fede é
invece Gesù che conduce il dialogo, chiarisce e amplia, mostra e supera la
logica del potere con una regalità nuova. "Sei
il re dei Giudei?" Gesù, prima di rispondere, chiede qual é il contenuto di
questa domanda. - Per Pilato é di natura politica: re di
questo mondo. - Per i Giudei é di natura messianica: regalità
religiosa, promessa e attesa da Dio per secoli per un progetto
di popolo che via via si é andato delineando, ma che è fondamentalmente aperto
ad una prospettiva politica di dominio. Riferita a Gesù è un
assurdo. - Per i piccoli e i poveri che si sono alimentati
sulla parola dei profeti, la regalità è in linea universale e
spirituale piuttosto che militare e nazionalista. Ma sono pochi ad accettarla.
Pilato risponde che la sua interpretazione é solo politica e non ha
altre letture. Chi glielo ha consegnato, probabilmente, vede
altro ma a lui non interessa. "Sono forse Giudeo? " La
responsabilità della "consegna" ricade sulle autorità religiose che lo hanno
accusato. Gesù chiarisce la sua regalità: -
È di origine divina ("Sono venuto nel mondo"). - Ha
finalità di cambiamento della mentalità del mondo : la regalità di Gesù è
testimonianza e ricerca di ciò che conta davvero:"per
rendere testimonianza alla verità". - Gesù porta la verità
perché il cuore dell’uomo è desideroso di cogliere il senso delle cose, i
rapporti schietti delle relazioni, le alleanze
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Pretorio, nella torre Antoniana |
coerenti per ciò che vale. Tutto questo stringe
alleanze e costituisce un popolo che può permettersi di avere un re che viene
dal cielo e che solo può regnare. La verità c’è, è stata
offerta, ma non si intravede, si manipola e si equivoca con
essa. - Solo quest’uomo, imprigionato e disarmato, è capace di
cercare la verità e manifestarla “testimoniandola”. Per scelta
è un re senza armi e senza eserciti. Solo la non-violenza rende
credibile la verità. Egli regna con la Parola, la rivelazione e
l'amore, non con la paura. - Il Regno e la sua regalità sono
sempre da fare: si costituiscono per accettazione, per scelta di
libertà, per accoglienza di una parola pronunciata e ascoltata.
- Infatti non ci sono eserciti a difendere dal male, a riscattare
dalla ingiustizia, a sottrarre dal potere violento che
inganna. - Gesù è libero e solo e sa che quella che sta
percorrendo, complici inconsapevoli coloro che lo stanno
tradendo, è una manifestazione drammatica di amore e di libertà, di
trasformazione e di giustizia nuova. -
Mettendo mano al potere sulla terra, mentre ci sembra assurdo che possa
comportarsi così. contraddice ai nostri desideri di giustizia,
alle nostre fragili volontà di vendetta, alle nostre attese di
rivincita poiché il nostro unico criterio che sappia affrontare il male è quello
del castigo e della vittoria che schiaccia ed umilia.
-Nessuno capisce. Non capisce Pilano che intravede riletture
sconcertanti e pericolosissime sui criteri di potenza e di
impero, né capiscono i capi religiosi che immaginano Gesù come un
“castigato da Dio per colpe che senz’altro porta con sé, anche se non
conosciute, né capiscono gli apostoli e i suoi poiché hanno
udito certamente le parole di Gesù ma le hanno valutate come
desideri, suggerimenti sapienti e pii, prospettive per persone deboli, disarmate
e povere, parole di consolazione e rassegnazione.
-Eppure la testimonianza è concreta: occorre non dimenticare che, in
greco, testimonianza è "martyria-martirio". E il popolo di
Dio, pur faticosamente, ha imparato ad accettare i nuovi
criteri con sempre maggior accoglienza e stima (i numerosissimi volontari, nei
modi più diversi, fanno rifiorire l'umano e così allargano i
confini della civiltà dell'amore), L'amore, come dono di sé,
chiama al martirio, perché lì e solo lì, come per Cristo in croce, ci sono la
gloria, e la bellezza dell'umano. Lì si volgono,, da sempre,
gli sguardi di tutti. -La testimonianza passa, anche e
particolarmente,, attraverso l’impegno politico e l’impegno
sindacale: sono i due ambiti privilegiati per il bene comune, dove vanno rivisti
i criteri del potere, ridimensionati sulle esigenze allargate
dei piccoli e dei poveri. -Ogni tempo deve rivedersi alla luce
di questo Vangelo e chiedersi come ritradurre le ideologie
anche religiose, come vanno purificate le attese, come vanno ripensate le
speranze e le solidarietà. |