II domenica dopo la dedicazione
30 ottobre 2011

Matteo 13, 47-52
Riferimenti : Isaia 45,20-23 - Salmo 21 - Filippesi 3,13-4,1

Signore, il re gioisce della tua potenza, quanto esulta per la tua salvezza!  Hai soddisfatto il desiderio del suo cuore, non hai respinto il voto delle sue labbra.  Gli vieni incontro con larghe benedizioni; gli poni sul capo una corona di oro fino.  Vita ti ha chiesto, a lui l'hai concessa, lunghi giorni in eterno, senza fine.  Grande è la sua gloria per la tua salvezza, lo avvolgi di maestà e di onore;  lo fai oggetto di benedizione per sempre, lo inondi di gioia dinanzi al tuo volto.  Perché il re confida nel Signore: per la fedeltà dell'Altissimo non sarà mai scosso.

 Isaia 45,20-23

Radunatevi e venite, avvicinatevi tutti insieme, superstiti delle nazioni! Non hanno intelligenza coloro che portano un loro legno scolpito e pregano un dio  che non può salvare.  Manifestate e portate le prove, consigliatevi pure insieme! Chi ha fatto sentire quelle cose da molto tempo e predetto ciò fin da allora?  Non sono forse io, il Signore? Fuori di me non c'è altro Dio; Dio giusto e salvatore non c'è fuori di me.  Volgetevi a me e sarete salvi, paesi tutti della terra, perché io sono Dio; non ce n'è altri.  Lo giuro su me stesso, dalla mia bocca esce la verità, una parola irrevocabile:
davanti a me si piegherà ogni ginocchio, per me giurerà ogni lingua".

Tutto il capitolo 45 è una riflessione teologica su ciò che è avvenuto al popolo d'Israele in esilio. Stiamo infatti parlando di fatti avvenuti nel secolo VI a.C. a Babilonia. Finalmente Dio ha mantenuto la sua promessa e ha suscitato un suo Messia: Ciro, re dei Medi e dei Persiani, il quale trionfa sui Babilonesi e diventa l'esecutore della giustizia di Dio nel suo popolo. Eletto e protetto da Dio, egli è stato sostenuto unicamente per realizzare il piano di Dio verso il suo popolo ed è diventato così, anche se non lo sa, portatore dell'onnipotenza di Dio a scapito delle varie pretese degli idoli: questa è la lettura che il popolo d'Israele ha maturato a proposito della vittoria di Ciro. Il testo che leggiamo oggi, a ben guardare, appartiene nel suo linguaggio ad una specie di discussione giudiziaria. Sono invitati “i superstiti delle nazioni" cioè i popoli sopravvissuti tra quelli liberati e richiamati ad una verifica: "Raccontate, presentate le prove, consigliatevi pure insieme" (21). Tutti gli idoli, che essi pregano, non hanno fatto nulla per tenerli in vita e liberarli. L'unico, che è potente ed ha operato veramente, è il Dio degli ebrei, Giusto e Salvatore. Qui, perciò, non si chiede tanto la conversione quanto il "Rivolgetevi a me e sarete salvi”. Dio chiede che ci si orienti verso di lui in modo libero e personale e che si accetti di rileggere la storia secondo le linee che questo Dio ha tracciato. Egli garantisce di offrire la verità e, poiché tutti la dovranno riconoscere, saranno costretti a piegare il ginocchio e a ritenerla come punto di riferimento fondamentale, stabile e garantito per ogni giuramento

 
Filippesi 3,13-4,1

Fratelli, So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. Tutti noi, che siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti; se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo. Intanto, dal punto a cui siamo arrivati, insieme procediamo. Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi. Perché molti – ve l’ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto – si comportano da nemici della croce di Cristo. La loro sorte finale sarà la perdizione, il ventre è il loro dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra. La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose. Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!

Paolo sta scrivendo alla comunità cristiana di Filippi che ricorda con molta fiducia e molta simpatia. Questa lettera, probabilmente, è scritta attorno agli anni 57 d.C. da Efeso e il contesto, che si intravede, è quello del carcere. Gesù è al centro della ricerca dell’apostolo e, in questa lettera, si scorgono spunti per due autobiografie. Il testo, che leggiamo oggi, fa parte della seconda autobiografia e riflette le tensioni e le lotte che, nella stessa comunità cristiana, si stanno costituendo e che lui, per primo, ha dovuto affrontare. Paolo parla dei nemici di Gesù e li qualifica come coloro che "hanno il ventre come il loro dio e si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi". La nostra immediata reazione è di immaginare che questi siano rimproverati per il loro comportamento sessuale. Pare invece che la loro inimicizia verso il Signore Gesù sia costituita dal voler tornare alle antiche usanze ebraiche della circoncisione e delle pratiche tradizionali: selezione del cibo riproposto in puro e impuro, digiuni, relazioni esterne consentite o aborrite. Si potrebbe vedere qui il richiamo al "ventre": è tutto ciò che Paolo stesso ha abbandonato, considerandolo spazzatura. Infatti, proprio lui, così zelante anche nel perseguitare i cristiani, ha ritenuto di dover lasciare tutte le osservanze e la legge, che lo identificavano come ebreo, per afferrarsi e stringersi solo a Cristo e alla sua giustizia. Paolo arriva a considerarle spazzatura in confronto con Cristo, anche se, in sé, tali non sono, perché sono state la sua vita fino ad allora. E se ogni osservanza è spazzatura, quando viene accostata alle proposte di Cristo, per sé potrebbero costituire un aiuto ed un primo passo per giungere alla comunione con Gesù. Senza pretendere di voler fare un elogio di sé, Paolo si definisce un corridore "verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù in Cristo Gesù." Si risente il gusto dell'entusiasmo per le Olimpiadi a cui i greci sono affezionati: così questa esaltazione rende il paragone molto più vivace. Paolo ricorda che i cristiani sono "perfetti", ma questo non vale in senso morale, quanto in una lettura vocazionale: cioè i cristiani sono chiamati alla perfezione di Dio nella pienezza di Gesù. Perciò, mantenendo l'immagine ricordata precedentemente, Paolo, se ha parlato inizialmente di correre con gli occhi fissi alla meta che è Gesù (v 14), poi incoraggia i cristiani a camminare, continuando sulla stessa sua linea e, come i corridori fanno, tenendo d'occhio colui che li precede (v 17). In tal modo possono misurarsi, misurare lo sforzo e non sbagliare. Così ogni cristiano deve tenere d'occhio Paolo e coloro che si comportano secondo l'esempio di Paolo stesso. Quando pensiamo ai nemici, richiamati come in questo caso, normalmente pensiamo a coloro che non credono. Paolo invece ricorda che i nemici sono nella comunità stessa, quando coscientemente non si sforzano di seguire le linee di Gesù e pretendono di imporre la propria volontà e le proprie prospettive agli altri, legando sé e tutti "alle cose della terra". Poiché Paolo parla ai cristiani di Filippi, non va dimenticato che la città mantiene un particolare richiamo all'imperatore di Roma per le vicende di alcuni decenni prima, portate a termine da Cesare Augusto. Così egli è stato chiamato Salvatore. Paolo dice, senza fare nessun espresso riferimento all'impero, che il vero Liberatore e Salvatore è il Signore Gesù Cristo. Il camminare dei cristiani ha come meta il cielo poiché “la nostra cittadinanza è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo”. Questo obbliga tutti noi a sentirci nella vocazione di una risurrezione piena, a somiglianza di Gesù “il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso” (v 21). Egli sarà il segno di un potere che investe tutta la creazione e sappiamo che il mondo, per la fede che portiamo, è già carico della speranza di una trasfigurazione in Gesù che avverrà “in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose” (v 21).

  Matteo 13, 47-52

Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni  e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.  Avete capito tutte queste cose?". Gli risposero: "Sì".  Ed egli disse loro: "Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche".

L'opera missionaria della Chiesa vuol raggiungere ogni uomo e ogni cultura: "Il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci". Ma la salvezza alla fine è decisa dalla propria scelta personale, perché c'è un bene e un male che ciascuno è chiamato a discernere nella propria vita. Pesci buoni e pesci cattivi hanno diversa sorte. Ci dice, da una parte, l'apertura a tutti, una missionarietà che non deve trovare barriere: ogni uomo ha diritto al regno e a sentirne l'annuncio. Forse anche significa una Chiesa più accogliente e tollerante, e non una setta di perfetti. Dall'altra poi però, appartenere al regno di Dio è qualcosa di ben preciso e definito, non un generico buonismo che tutto contiene, un sincretismo che mena all'indifferenza, un soggettivismo che - come capita - diviene "dittatura del relativismo". Il mondo si rimescola sempre più; la nostra diviene sempre più una società multietnica, multiculturale, multireligiosa. La Chiesa è chiamata ad essere anche qui un segnale e una luce. Molti di questi stranieri tra noi sono anche cristiani: saperli riconoscere, accogliere e stimare il loro dono come ricchezza per tutta la comunità. Forse anche uno stimolo di rinnovamento e giovinezza. Molti hanno altre fedi: nei loro confronti il rispetto, una conoscenza più precisa, un dialogo. E magari quel contagio che si esprime nella buona relazione quotidiana. Il linguaggio però che tutti sanno percepire è quello della carità: solo questa fa intuire che dietro ci sta una visione diversa della vita, una verità e delle motivazioni superiori; l'amore gratuito fa trasparire una fede matura! Il mondo è da sempre un miscuglio di buoni e cattivi, di chi vive una onestà e di chi invece perverte se stesso e gli altri con una coscienza sbagliata. Questo anche entro la Chiesa. Paolo si lamentava già delle sue comunità: "Molti si comportano da nemici della croce di Cristo: il ventre è il loro Dio. Si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra" (Epist.). Verrebbe da dire: "Vuoi che andiamo a raccoglierla" la zizzania? "No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania con essa sradichiate anche il grano" (Mt 13,28-29). Anche la Chiesa, inizio del Regno, è "una rete che raccoglie ogni genere di pesci"! Sapersi distinguere, ma tolleranza: solo alla fine, non noi, ma Dio farà il giudizio. La tentazione di una Chiesa, sette chiusa di perfetti, è tentazione di sempre.
Anche oggi, da noi, c'è chi si crede più perfetto e diviene intransigente con tutti, e tratta gli altri come "pattume". Ci si chiude in un ambito privilegiato (socialmente ed economicamente) e ci si pone entro la cultura di oggi come in una torre di difesa, in un ghetto chiuso, impenetrabile, privilegiando una "presenza" più d'alternativa e di scontro che non di dialogo. Peggio poi è quel ghetto di cristiani che si ergono a nostalgici di un passato che è superato non solo in forme e atteggiamenti di fede, ma anche dottrinalmente. E' passato nella Chiesa un Concilio, proprio "simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche". Sale e lievito è detto il discepolo, e quindi si pone in mezzo agli altri con la coerenza e la testimonianza discreta.