
VI domenica dopo martirio S. Giovanni
9 ottobre 2011 Luca 22, 7-10
Riferimenti : Giobbe1,13-21 - salmo 16 - seconda
lett. a Timoteo 2,6-15
Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio. Ho
detto a Dio: "Sei tu il mio Signore, senza di te non ho alcun
bene". Per i santi, che sono sulla terra, uomini nobili, è tutto
il mio amore. Si affrettino altri a costruire idoli: io non
spanderò le loro libazioni di sangue né pronunzierò con le mie
labbra i loro nomi. Il Signore è mia parte di eredità e mio
calice: nelle tue mani è la mia vita. Per me la sorte è caduta
su luoghi deliziosi, è magnifica la mia eredità. Benedico il
Signore che mi ha dato consiglio; anche di notte il mio cuore mi
istruisce.
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Giobbe1,13-21 Ora
accadde che un giorno, mentre i suoi figli e le sue figlie
stavano mangiando e bevendo in casa del fratello maggiore, un
messaggero venne da Giobbe e gli disse: "I buoi stavano arando e
le asine pascolando vicino ad essi, quando i Sabei sono piombati
su di essi e li hanno predati e hanno passato a fil di spada i
guardiani. Sono scampato io solo che ti racconto questo".
Mentr'egli ancora parlava, entrò un altro e disse: "Un fuoco
divino è caduto dal cielo: si è attaccato alle pecore e ai
guardiani e li ha divorati. Sono scampato io solo che ti
racconto questo". Mentr'egli ancora parlava, entrò un altro e
disse: "I Caldei hanno formato tre bande: si sono gettati sopra
i cammelli e li hanno presi e hanno passato a fil di spada i
guardiani. Sono scampato io solo che ti racconto questo".
Mentr'egli ancora parlava, entrò un altro e disse: "I tuoi figli
e le tue figlie stavano mangiando e bevendo in casa del loro
fratello maggiore, quand'ecco un vento impetuoso si è scatenato
da oltre il deserto: ha investito i quattro lati della casa, che
è rovinata sui giovani e sono morti. Sono scampato io solo che
ti racconto questo". Allora Giobbe si alzò e si stracciò le
vesti, si rase il capo, cadde a terra, si prostrò e disse: "Nudo
uscii dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha
dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!".
La storia di Giobbe nasce dagli infiniti interrogativi che il
problema del male porta all’umanità. Ci troviamo di fronte ad
una ricerca drammatica sul senso dell’esistenza, sull amore di
Dio, e sulla fedeltà verso di Lui. Ambientata in un paese
favoloso, anche per quel tempo, dell’Antico Medio Oriente, il
protagonista, Giobbe, un fedele di Dio, prima ricco e felice, e
poi improvvisamente colpito dalla sventura, perde i figli, i
beni, la salute. Sarà poi afflitto da una piaga maligna, sarà
cacciato anche di casa dalla moglie e si rifugerà su un mucchio
di immondizie e di cenere. La moglie, stanca di quest’uomo per
la sua fedeltà incrollabile, urlerà, alla fine: ”Rimani ancora
saldo nella tua integrità? Maledici Dio e muori!” (2,9).
L’introduzione presenta due realtà e tre diversi personaggi: in
cielo, in una grande assemblea si ritrovano, insieme, Dio con la
sua corte e Satan. Sulla terra c’è Giobbe. L’autore biblico vuol
far capire che la storia viene mossa da Dio, ma sulla terra non
si intravede nessuna spiegazione comprensibile. Nell’assemblea
dei santi Dio fa l’elogio del suo fedele Giobbe e Satan
scommette con Dio: “Se non stesse così bene, non manterrebbe
questa fedeltà. Mettilo alla prova e vedrai che cederà”. Quello
che abbiamo letto oggi è il racconto della prima prova
drammatica, in cui avviene tutta la tragedia possibile. Giobbe
non ha più un avvenire, non ha più figli, da ricco, potente e
sereno, di colpo si ritrova totalmente abbandonato, povero e
solo. La vicenda si svolge nella terra di Uz: non è territorio
di Israele e quindi Giobbe è uno straniero. In tal modo la
rivelazione al popolo d’Israele si completa poiché si indica che
Dio è attento ed è presente nel mondo. E Giobbe è una figura
universale: l'esperienza di Giobbe appartiene ad ogni uomo, in
ogni tempo e luogo. Giobbe "è onesto e giusto, rifiuta il male
perché rispetta Dio" in una corretta relazione con il prossimo e
con Dio stesso. Per questo motivo tale personaggio non ha motivo
di essere castigato ed essere corretto. Satan (personaggio
misterioso; un rivale di Dio ed un rivale dell’uomo) lancia la
prima sfida. Il racconto rispecchia la realtà delle corti
orientali: c’è sempre un Satan che mette scompiglio e sospetto
nella corte, ma Dio è contento di Giobbe e si fida di lui. Il
sospetto che viene suggerito è sulla religiosità interessata.
Satan allude: “Si benedice Dio finché va bene, ma se si soffre o
si sente Dio lontano, allora lo si abbandona e lo si fa
responsabile ingiusto del male che subiamo”. Ma, dice questo
prologo, l’uomo è libero e Dio scommette sull’uomo. Così
permette la prova, mentre Giobbe non sa nulla di tutto questo.
Nonostante le 4 disgrazie ( notare il numero 4 che è il numero
della terra), Giobbe reagisce, mostrando che la sua religiosità
non è interessata: “Nudo sono venuto al mondo e nudo ne uscirò.
il Signore dà, il Signore toglie, il Signore sia benedetto". La
scommessa finirà, alla fine, con una benedizione. |
Seconda lettera a Timoteo 2, 6-15
Carissimo, Il contadino, che lavora duramente, dev’essere
il primo a raccogliere i frutti della terra. Cerca di
capire quello che dico, e il Signore ti aiuterà a comprendere
ogni cosa. Ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti,
discendente di Davide, come io annuncio nel mio Vangelo, per il
quale soffro fino a portare le catene come un malfattore.
Ma la parola di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni
cosa per quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano
la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna.
Questa parola è degna di fede: Se moriamo con lui, con lui anche
vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo; se lo
rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se siamo infedeli, lui
rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso. Richiama alla
memoria queste cose, scongiurando davanti a Dio che si evitino
le vane discussioni, le quali non giovano a nulla se non alla
rovina di chi le ascolta. Sforzati di presentarti a Dio come una persona degna, un lavoratore che non
deve vergognarsi e che dispensa rettamente la parola della
verità.
Paolo scrive, mentre è in carcere a Roma, al discepolo Timoteo.
Ha già sperimentato un processo in cui si è trovato solo e
nessuno ha testimoniato per lui, poiché i suoi conoscenti erano
impauriti del proprio futuro (2 Tim 4,16). Anzi Paolo sa pure
che molti lo hanno abbandonato o si sono addirittura schierati
contro. Così i pagani lo considerano un malfattore e gli ebrei
un traditore mentre nessuno lo ha difeso. Ma Timoteo non deve
scoraggiarsi; deve, anzi, continuare ad essere un buon maestro
nella sua comunità (1,3) L’apostolo si sente consolato che Gesù,
nonostante la sua grandezza e la sua santità, abbia sofferto
prima di Paolo stesso. Questo è stato il cammino di Cristo verso
la gloria. Perciò “ricordati di Cristo”. Ci sono tre immagini
nei versetti precedenti: “Sii un buon soldato di Cristo” che si
preoccupa di fare il proprio dovere senza sviarsi; “Sii un buon
atleta che rispetta le regole di gara”; “Sii un buon agricoltore
che ha diritto al raccolto poiché ha faticato per primo”.
Timoteo ora ha almeno due esempi: quello di Gesù e quello di
Paolo in carcere. Deve potersi fidare del Signore che è presente
e non ci tradisce: vengono elencati “4 se”. La conclusione di
questo seguito di ipotesi, però, non è conseguente al nostra
comportamento. E’ vero che ci rinnegherà se noi lo rinnegheremo,
ma se non saremo fedeli, Lui continuerà ad
esserlo anche con noi e per noi. Gesù sa rispettare la nostra
libertà, ma sa coltivare in modo infinito la sua misericordia.
Ci sarà un grande lavoro da fare e, come un buon lavoratore
,“sii dispensatore scrupoloso della parola della verità” (2,15).
La fiducia che viene suggerita nasce dalla forza della Parola di
Dio. La Parola di Dio non è incatenata” (v 9). I suggerimenti di
Paolo valgono per la Comunità cristiana di ogni tempo: a noi
viene offerto l’impegno di saper vedere questo nostro mondo con
occhi di giustizia ma anche di misericordia. “Vanno evitate le
vane discussioni:” E’ aiutando e fidando in una verità che nasce
da Gesù e che va “rammentata e dispensata, maturandola come un
buon lavoratore che non deve vergognarsi davanti a Dio” che so
costruisce, nella nostra fatica, la speranza di tutti. |
Luca 22, 7-10
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il
gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non
gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché
io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? Si riterrà
obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche
voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi
inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare".
Il brano, che leggiamo oggi nel Vangelo di Luca, va collegato con il suo
viaggio di Gesù verso Gerusalemme, e ci suggerisce alcuni insegnamenti
fondamentali, almeno 4 nel capitolo 17, vv. 1-10.- Si parla - dello scandalo e
“dell’inevitabilità del male” (1-3a), - del perdono che viene proposto come
elemento costruttivo di cambiamento e di conversione (3b-4), - della fede che,
se pure è come un granello di senape, può sradicare un gelso e piantarlo nel
mare (5-6), - del compito del servo e del valore del suo impegno (7-10). E’ una
sintetica rilettura delle responsabilità dei 12 apostoli (gli annunciatori, il
popolo nuovo) che scoprono la propria povertà in un mondo violento e immorale
che scandalizza i semplici (bambini, poveri), che ha bisogno di un perdono
illimitato da offrire a chi sbaglia, che necessità di una fede concreta e
inimmaginabile, e che, alla fine, non si può pretendere di esibire dei meriti
poiché tutto viene da Dio. Perciò gli apostoli dicono: "Signore, aumenta la
nostra fede”, poiché troviamo in noi una fede povera, legata
all'incredulità. E Gesù risponde: "Anche una fede piccola e povera in me è
capace di fare cose portentose, di trasformare il mondo". E se la fede ha,
in prospettiva, di far diventare la terra, un giardino che fa frutto, la fede
non ti fa diventare padrone né autosufficiente. La fede non ti fa diventare un
contraente di affari, né un creditore di meriti da riconoscere. Ti fa servo
(schiavo di Dio) che opera gratuitamente (17,7). L'apostolo è paragonato allo
«schiavo» (non appartiene a sé) che «ara e pascola» (azioni tipiche
dell'apostolo: seminare [l'annuncio] ed il pascolare [la cura dei fratelli]).
L’apostolo scopre ogni giorno di dover ringraziare Dio di quello che ci dà. E
nella gratuità la fede ci fa scoprire l'importanza di una collaborazione gioiosa
nella Comunità cristiana, sapendo che siamo piccoli e poveri; eppure Egli è
capace di fare cose grandi con noi. Al versetto 10 la traduzione del: “Siamo
servi inutili”, dovrebbe aiutare a tradurre:“Siamo semplicemente schiavi: ciò
che dovevamo fare, l'abbiamo fatto”. Chi è cristiano non porta l'orgoglio di
aver fatto, ma lo stupore che Dio sappia servirsi anche delle nostre povere
mani. Chi è cristiano non si aspetta la contrattazione sui meriti acquisiti né
un grazie riconoscente dal Signore, che pure è capace di benedirci se abbiamo
soccorso i poveri (Mt25,31ss). Siamo noi che diciamo il nostro grazie a Lui che
ci ha chiamati a costruire il mondo con Lui e a svelare agli altri la sua
provvidenza che noi sviluppiamo con le nostre mani. ' La gratuità è l’elemento
concreto e sempre nuovo del credente in Gesù. Perciò dobbiamo rivedere il senso
e lo stile del nostro stesso lavoro quotidiano. Non dovremmo lavorare per il
solo guadagno o unicamente per un utile, ma perché, insieme al sostentamento, ci
viene offerta l’opportunità di cambiare le cose, di servire per i bisogni delle
persone. Anche nel lavoro, come per le grandi scelte della vita, esiste una
linea di gratuità che nessun danaro può pagare e il cui valore è dato dall’aver
collaborato e costruito con gli altri e per gli altri. E ognuno ha scoperto un
suo ruolo, ha maturato le sue risorse; insieme, siamo cresciuti. Il ministero
apostolico è di sua natura gratuito (Mt 10,8). Per Paolo la ricompensa più alta
è predicare gratuitamente l'Evangelo (1Cor 9,18). L'apostolo è associato al
ministero di grazia e di misericordia del suo Signore per il mondo. Ma ogni
cristiano deve poter sentire il gusto e la voglia di fare, al meglio, ciò che
sta facendo. In tal modo anche la paga non esaurisce il flusso del dono poiché
compiere al meglio è il miglior gratuito. |