
I I Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il
Precursore
11 settembre 2011
Giovanni. 5, 19-24
Riferiemnti : Isaia 60,16b-22 - Salmo
88 - Corinzi15, 17-28
| Signore, Dio della mia salvezza, davanti a
te grido giorno e notte. Giunga fino a te la mia preghiera,
tendi l'orecchio al mio lamento. Io sono colmo di sventure, la
mia vita è vicina alla tomba. Sono annoverato tra quelli che
scendono nella fossa, sono come un morto ormai privo di forza. È
tra i morti il mio giaciglio, sono come gli uccisi stesi nel
sepolcro, dei quali tu non conservi il ricordo e che la tua mano
ha abbandonato. Mi hai gettato nella fossa profonda, nelle
tenebre e nell'ombra di morte. Pesa su di me il tuo sdegno e con
tutti i tuoi flutti mi sommergi. Hai allontanato da me i miei
compagni, mi hai reso per loro un orrore. Sono prigioniero senza
scampo |
| Isaia 60,16b-22
Così dice il Signore Dio: Saprai che io sono il Signore, il
tuo salvatore e il tuo redentore, il Potente di Giacobbe. Farò
venire oro anziché bronzo, farò venire argento anziché ferro,
bronzo anziché legno, ferro anziché pietre. Costituirò tuo
sovrano la pace, tuo governatore la giustizia. Non si sentirà
più parlare di prepotenza nella tua terra, di devastazione e di
distruzione entro i tuoi confini. Tu chiamerai salvezza le tue
mura e gloria le tue porte. Il sole non sarà più la tua luce di
giorno, né ti illuminerà più lo splendore della luna. Ma il
Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo
splendore. Il tuo sole non tramonterà più néla tua luna si
dileguerà, perché il Signore sarà per te luce eterna; saranno
finiti i giorni del tuo lutto. Il tuo popolo sarà tutto di
giusti, per sempre avranno in eredità la terra, germogli delle
piantagioni del Signore, lavoro delle sue mani per mostrare la
sua gloria. 22Il più piccolo diventerà un migliaio, il più
insignificante un’immensa nazione; io sono il Signore: a suo
tempo, lo farò rapidamente”.
Stiamo leggendo un testo di Isaia, tratto dai suoi ultimi
dieci capitoli (cc 56-66), in cui sono descritti il ritorno del
popolo liberato e la ricostituzione di Gerusalemme dopo l'esilio
di Babilonia (587-538 a.C.). È attribuito ad uno o più profeti
che gli studiosi chiamano Terzo Isaia, vissuto durante la
ricostruzione del Tempio di Gerusalemme e negli anni successivi
(dal 520 a.C. in poi). Tutto il capitolo 60 è un canto di
speranza per Gerusalemme e un sogno sul futuro. Inizia con:
"Alzati, Gerusalemme, rivestiti di luce perché viene la tua
luce..." (v. 1) e apre l’orizzonte della ricchezza che si
riversa attraverso i popoli che arrivano al tempio. Nel tempio
ricostruito, infatti, affluiscono le ricchezze. La pace regna
nella città e la gloria di Dio si irradia nel benessere.
Gerusalemme diventa un riferimento fondamentale di speranza non
solo per il popolo, ma ancheper tutto l'universo. Gli elementi
culturali propri di una realtà povera, e spesso sconfitta, si
giocano sulla sicurezza (le porte spalancate e, l'abbondanza del
commercio esprimono finalmente il superamento della paura, della
povertà e della fame); l'abbondanza del legname (v 13) ci
restituisce la bellezza e l'abbondanza del tempo di Salomone
che, prima, aveva utilizzato il legno delle foreste del Libano
per il tempio ed ora lo stesso legname può essere utilizzato per
la città. I popoli oppressori si prostreranno
al Santo di Gerusalemme e la città acquisterà tale splendore da
diventare "l'orgoglio dei secoli, la gioia di tutte le
generazioni" (v 15). Le importazioni abbondano in metalli
preziosi, utili per le costruzioni e per lo sfarzo: oro,
argento, bronzo e ferro. Gerusalemme è sorretta, allora, da due
valori essenziali: la pace (identificata nel suo benessere
totale) e la giustizia, il segno pieno della salvezza di Dio. I
versetti dal 10 al 18 richiamano e inglobano questa immagine di
sicurezza, nelle mura ricostruite che Dio protegge. Viene
utilizzato il genere apocalittico, nella linea della conclusione
della storia umana (e infatti la stessa immagine é utilizzata in
Apocalisse 21,23): il sorgere della luna e il sorgere del sole
non sono più considerati portatori di luce. Si fa riferimento
qui, probabilmente, alle credenze di Canaan in cui si pensava
che il sole e la luna fossero divinità. In questo caso, nella
Gerusalemme rinnovata, il popolo, “tutto di giusti” (v 21), sarà
completamente liberato dall'idolatria e perciò non porrà più la
propria sicurezza negli astri divinizzati ,perché il Signore
stesso sarà luce eterna, perenne per Sion. La
terra d’Israele è ricordata come terra di Dio, lavorata dalle
sue mani, perciò abbondante e ricca. I “germogli delle
piantagioni del Signore”. C’è la eco di Davide, il “Germoglio
della radice di Iesse” che diventa, finalmente “un popolo
immenso”. (v 22).
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Corinzi15, 17-28
Fratelli, ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e
voi siete ancora nei vostri peccati. Perciò anche quelli che
sono morti in Cristo sono perduti. Se noi abbiamo avuto speranza
in Cristo soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di
tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risorto dai morti,
primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un
uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la
risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono,
così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo
posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta,
quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli
consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla
ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti che
egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi
piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte, perché
ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi. Però, quando dice che
ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare
Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto gli sarà
stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui
che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
Paolo, scrivendo ai Corinzi, continua la riflessione sulla
resurrezione dei morti, fondamento della speranza cristiana,
messa in dubbio da alcuni della comunità stessa. Paolo non si
rifà ad una esperienza personale ma alla essenza della
predicazione a loro proclamata e che, a sua volta, per fedeltà
alla tradizione, egli stesso l’ha ricevuta. Volendo
sintetizzare, Paolo afferma che tale fede è costituita da 4
verbi: Gesù morì, fu sepolto, risuscitò, apparve. E nei primi 11
versetti (1 Cor 15,1-11) Paolo ha elencato le apparizioni che,
ufficialmente, venivano ricordate alla comunità cristiana. La
risurrezione di Gesù è il centro della vita cristiana e della
lieta notizia che, finalmente, fa pulizia di tutte le morti e le
paure. Perciò questa risurrezione sta alla base della
nostra risurrezione ed è garanzia di vita nuova. Se cade l'una,
cade anche la lieta notizia di Gesù e tutta la fede sarebbe
vana. Cadrebbero la speranza, il perdono dei peccati, il senso
dell’esistenza e della fedeltà. Ritorneremmo a vivere nella
disperazione del male, ci ritroveremmo in una frustrazione
terribile di inutilità e di paura Crollerebbero tutte le novità
e tutte le aspettative. Paolo sviluppa questa convinzione con
due immagini tratte dall'Antico Testaménto: quello della
primizia e quella del re vincitore. · "Cristo risorto, primizia
di coloro che sono morti" (v 20), è come il primo covone (fascio
di grano mietuto e legato insieme) che viene offerto a Dio come
segno e garanzia di tutto il raccolto. Egli é, qui, primizia di
coloro che dormono, capostipite della nuova umanità. Secondo il
rituale ebraico l'offerta delle primizie era un segno
propiziatorio per ottenere un raccolto più abbondante· Gesù é il
Messia, re trionfatore che vince tutti i poteri e le potenze
ostili, e “li riduce al nulla”. Egli lotta fino a porre, secondo
il costume antico, i nemici come sgabello sotto i suoi piedi.
Con la risurrezione finale anche la morte sarà vinta.
Così, dice Paolo, Cristo é nemico della morte e,
alla, fine, sconfitti finalmente gli avversari di Dio e
dell'uomo, sottometterà tutto al Padre che sarà "tutto in tutti"
e comunicherà totalmente la sua gloria Paolo non discute ma
afferma che la risurrezione dei credenti, a somiglianza di
quella di Gesù, esprime una concezione globale della vita
cristiana. Cristo è contrapposto ad Adamo, il primo uomo, che
aveva aperto la strada della morte. Gesù apre la strada della
vita. Nel linguaggio apocalittico che viene usato nei racconti
che riguardano la conclusione della storia, Cristo appare come
colui che “consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al
nulla ogni principato e potestà e potenza”. Gesù, in tal caso,
si mostra Signore e Re, capace di vincere i nemici terribili di
Dio e dell’uomo, dominatore della storia. |
Giovanni. 5, 19-24
In
quel tempo. Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità io vi
dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal
Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre
infatti ama il Figlio, gli manifesta
tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché
voi ne siate meravigliati. Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così
anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica
nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come
onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato.
In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che
mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato
dalla morte alla vita.
Il testo che leggiamo fa parte di una complessa vicenda scaturita dalle
discussioni dell’osservanza del sabato e che Gesù, indirettamente, aveva
provocato per un miracolo ad un paralitico. Un tale, che andava in giro, in un
giorno di sabato, con un lettino/ branda/ giaciglio sulle spalle, era stato
guarito da Gesù "alla piscina, chiamata in ebraico Betzada, presso le porte
delle pecore" (5,2) da una paralisi che lo teneva nel letto, incapace di
camminare da 38 anni (nel Deuteronomio 38 anni sono praticamente la conclusione
della vita (2,14) e quindi in procinto di morire senza speranza (5,5). Portare
un peso in giorno di sabato è un grave scandalo, suscitato dalla disobbedienza
della legge, chiara sul sabato, e dalla sua tradizionale osservanza. Tale fatto
suscita rimproveri autorevoli e minacciosi: “Chi si può permettere di violare la
legge del sabato?” Il paralitico, frastornato dal fatto della guarigione, ha
ritenuto che l’ubbidienza al comando di questo sconosciuto guaritore fosse
doverosa. Così, molto semplicemente e ingenuamente, riporta il comando di Gesù.
Ma poiché gli chiedono l'identità di questo strano benefattore, il paralitico
guarito, sconcertato, risponde di non conoscerlo e quindi di non sapere chi
fosse. Da qui nasce l'interrogativo che percorre tutto il capitolo quinto: chi è
Gesù? Gesù stesso cerca la persona guarita e la incoraggia: “Ecco, sei guarito.
Non peccare più” (v 14). Gesù si fa individuare non solo come guaritore, ma
anche come liberatore dal male morale. Così incomincia il confronto con lui.
Sullo sfondo di un processo immaginario tra Gesù e i Giudei, Gesù, l'accusato,
- dapprima difende il suo operato (vv 19-30, autodifesa)
- quindi riporta le testimonianze a suo favore (vv 31-40),
- infine attacca gli avversari divenendo a sua volta accusatore,
invertendo così le parti (vv 41-47). Il primo problema, non
marginale in quel contesto, è il richiamo al riposo del sabato. "I Giudei
cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato" (5,16). Ma
già dall’inizio la giustificazione, da parte di Gesù, si pone in un linguaggio
che sembra blasfemo: "Il Padre mio opera sempre e anch'io opero". Gesù, infatti,
giustifica la sua violazione del sabato, affermando che Dio non smette mai di
agire nei confronti del creato. In questo modo però contraddice alla
tradizione sacerdotale del libro della Genesi, ove si parla di 6
giorni di lavoro e 1 di riposo. Quello che scandalizza gli ebrei dotti che lo
accusano non è che Gesù chiami Dio Padre perché Israele ha sempre considerato
Dio come suo Padre; ma Gesù si pone come colui che assolve da grandi peccati e
si pone al centro anche del sabato. In tal modo si è fatto uguale al Padre. E’
chiaro che qui il testo riporta una confessione di fede nella comunità
post-Pasquale, poiché era praticamente impossibile che i discepoli riuscissero a
capire qualcosa in coerenza. . Gesù sviluppa due temi
essenziali:: · di fronte al primo rifiuto nei confronti della
sua persona, Gesù ribadisce la sua autorità di Figlio e chiama
a testimoni Giovanni Battista (vv33-35), il Padre (5,36), le Scritture (vv 39-40
e Mosé (vv 45-47). · L'autorità del Figlio, ricevuta dal Padre, implica il
potere di giudicare, di dare la vita, di resuscitare i morti e di salvare i
credenti. Certo Gesù, con l’evangelista che scrive, pretende senza mezzi termini
una enorme fiducia verso la sua parola. Gesù insiste in questa dipendenza
figliolanza unica dal Padre. Anzi, nel progetto di Dio, aggiunge Gesù, ci sono
opere di risurrezione che il Padre opera, “ripromettendosi di meravigliare” (v
20) e garantisce che sarà data al Figlio la capacità di offrire la vita, di
aprire il giudizio e di ricevere lo stesso onore che Dio esige per sé (vv
21-23). Gesù dà una grande testimonianza all'opera del Padre, affermando che
tutto ciò che è, viene da lui. "Da me io non posso fare nulla" (v 30). Tutto
questo discorso di cui noi, oggi, leggiamo solo in parte, è fondamentale perché
esprime una pienezza di disponibilità di Gesù verso il Padre poiché, per un
certo verso, si presenta come un apprendista che impara con grande fedeltà
davanti al maestro che insegna (v.19). L'agire di Gesù si fonda su un rapporto
di amore senza riserve del Padre verso il Figlio e tutto il Vangelo, in
particolare quello di Giovanni, vorrà dimostrare questa fedeltà totale di
ascolto da parte di Gesù che sviluppa e matura la volontà di Dio nel tempo. In
fondo ciò che Gesù si ripromette è drammatico e sconcertante: egli propone nella
vita, nel rapporto con sé e con gli altri, l'azione concreta che Dio vuole e che
svilupperebbe Lui stesso qualora il Dio d’Israele,avesse preso carne e si fosse
reso visibile e operante tra i suoi. Gesù si rende profondamente conto che
questa è una situazione paradossale e che nessuno lo può capire perché è Dio che
opera e noi invece continuiamo, ovviamente, a valutare e a pensare la realtà
secondo i nostri criteri e i nostri giudizi. Da qui il dono della misericordia
di Gesù e l’invito a fidarsi di Lui.
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