
III Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il Precursore
18 settembre 2011
Luca 9,18-22
Riferimenti : Isaia 11,
10-16 - Salmo 131- Prima lettera di san Paoloapostolo
a Timoteo
| Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva
con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi,
superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come bimbo
svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è
l'anima mia. Speri Israele nel Signore, ora e sempre. |
| Isaia 11, 10-16
In quei giorni. Isaia parlò, dicendo: In quel giorno avverrà
che la radice di Iesse sarà un vessillo per i popoli. Le nazioni
la cercheranno con ansia. La sua dimora sarà gloriosa. In quel
giorno avverrà che il Signore stenderà di nuovo la sua mano per
riscattare il resto del suo popolo, superstite dall’Assiria e
dall’Egitto, da Patros, dall’Etiopia e dall’Elam, da Sinar e da
Camat e dalle isole del mare. Egli alzerà un vessillo tra le
nazioni e raccoglierà gli espulsi d’Israele; radunerà i dispersi
di Giuda dai quattro angoli della terra. Cesserà la gelosia di
Èfraim e gli avversari di Giuda saranno sterminati; Èfraim non
invidierà più Giuda e Giuda non sarà più ostile a Èfraim.
Voleranno verso occidente contro i Filistei, insieme
deprederanno i figli dell’oriente, stenderanno le mani su Edom e
su Moab e i figli di Ammon saranno loro sudditi. Il Signore
prosciugherà il golfo del mare d’Egitto e stenderà la mano
contro il Fiume. Con la potenza del suo soffio lo dividerà in
sette bracci, così che si possa attraversare con i sandali. Si
formerà una strada per il resto del suo popolo che sarà
superstite dall’Assiria, come ce ne fu una per Israele quando
uscì dalla terra d’Egitto.
Il capitolo 11º, uno dei più celebri testi di Isaia,
comprende due parti: - nella prima parte si
celebra la figura ideale del sovrano, con riferimenti storici
per cui il nuovo re sarà un discendente di Davide, figlio di
Iesse (re dell’Israele riunificato, vissuto attorno all’anno
1000 a.C); - nella seconda parte (è il testo
che leggiamo oggi) il centro non è più esclusivamente il
Re-messia ma la comunità di Gerusalemme che diventa un polo di
attrazione e di unità. Il Re- messia è come "un germoglio
cresciuto dal tronco inaridito di Iesse” per il male e la
infedeltà della dinastia di Davide stesso. Il germoglio è segno
della gratuità e della vita che Dio è capace di dare al suo
popolo nel momento della desolazione e dell’aridità.. Nasce così
una splendida rappresentazione del Messia futuro, carico dello
Spirito del Signore che si posa con i suoi doni preziosi (ne
sono elencati sei a cui si aggiungerà un settimo e si
chiameranno, nella tradizione cristiana, i "doni dello Spirito
Santo"): sono i doni della regalità, della sapienza, della
introspezione, della giustizia, della pazienza e del coraggio, i
doni per chi vince. Il grande re sarà un uomo giusto e
coraggioso. Egli porterà la pace, che viene splendidamente
esemplificata con le immagini dell'agnello che
pascola con il lupo, della pantera con il capretto, del vitello
con il leone, del bambino che gioca sulla tana del serpente e
che conduce tutti insieme. La pienezza del Re-
messia si distende nella storia, e il movimento di pace e di
liberazione si allarga. La vitalità di un cammino di popoli si
indirizza verso la comunità di Gerusalemme che, dopo l'esilio,
non potrà più contare su un re che prosegua nella discendenza da
Davide, poiché non potrà più contare su una corte e su una
propria autonomia. Il Re- messia e quindi la comunità di
Gerusalemme si rinnovano, saranno come una bandiera, "un
vessillo per i popoli", capaci di chiamare i popoli
all'abbondanza e alla pace, permettendo così che si avverino il
sogno ed il miracolo della riunificazione dei dispersi di Giuda
dai quattro angoli della terra. Si costituirà, anzi, un popolo
di fratelli che supererà odi, rancori e gelosie. Si cercheranno
e si riuniranno, dichiarando superate le lacerazioni che
sono avvenute tra il regno d'Israele e il regno di
Giuda. Il regno di Israele si era stabilizzato a nord, con la
capitale Samaria, ma era stato travolto dagli Assiri nel 721
a.C. Il regno di Giuda, più piccolo e abbastanza discosto dalle
grandi correnti commerciali, ha resistito fino a 596 a.C. quando
i Babilonesi conquistarono una prima volta
Gerusalemme.
Viene immaginato un nuovo esodo (v 15) e il Signore
permetterà al popolo liberato di attraversare a piedi il grande
fiume, vittorioso su alcuni popoli confinanti, fino a
raggiungere la vittoria sugli Assiri e sull'Egitto. Tutto questo
avrebbe dato al nuovo regno la possibilità di espandersi, poiché
Dio interviene a rimuovere tutto ciò che impedisce
l'unificazione, sia che si tratti delle nazioni, sia che si
sviluppino forze naturali avverse. il Signore rimette in gioco
la sua volontà di libertà per il suo popolo. Egli apre una
strada e, con interventi sconcertanti, farà superare tutte le
difficoltà, che sono simboleggiate dall'acqua dei fiumi: qui
viene ricordato il fiume dell'Egitto e qualche capitolo prima è
ricordato il fiume Eufrate (7,20) di Babilonia. |
Prima lettera di
san Paoloapostolo a Timoteo Carissimo, Rendo grazie
a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore
nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia
mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un
persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia,
perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, e così la grazia
del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla
carità che è in Cristo Gesù. Questa parola è degna di fede e di
essere accolta da tutti: Cristo Gesù è venuto nel mondo per
salvare i peccatori, il primo dei quali sono io. Ma appunto per
questo ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù ha voluto in
me, per primo, dimostrare tutta quanta la sua magnanimità, e io
fossi di esempio a quelli che avrebbero creduto in lui per avere
la vita eterna. 17Al Re dei secoli,
incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei
secoli dei secoli. Amen.
Questa è la prima di tre lettere dette “lettere
pastorali”, attribuite a San Paolo che egli indirizza a Timoteo
(due lettere) e a Tito (una lettera). Timoteo è a capo della
Chiesa di Efeso, Tito nell'isola di Creta. Timoteo si era
aggregato all'équipe apostolica di Paolo nel suo secondo viaggio
missionario (At 16,1-3) ed era rimasto tra i
suoi discepoli più fedeli. La lettera perciò potrebbe essere
stata scritta, da Paolo, alla fine del suo primo periodo di
prigionia a Roma (At 28,16) oppure è stata scritta da qualche
discepolo di Paolo, dopo la morte di questi, sviluppando
riflessioni ricevute in eredità dalla scuola di Paolo e
adattandole alla situazione dell'organizzazione delle chiese che
si stanno sviluppando. L'esperienza personale
di Paolo, prima nemico e persecutore della Chiesa e poi fedele
convinto, dimostra l'assoluta gratuità della chiamata di Dio. E’
una verità racchiusa nella frase: " Cristo Gesù è venuto nel
mondo per salvare i peccatori”. La conversione, per Paolo, è
stata veramente una esperienza di salvezza poiché
rischiava di perdere totalmente il senso della sua
vita. Così il ringraziamento a Dio è per la fede in Gesù e per
il ministero che lo ha portato a svolgere un “servizio a Cristo”
nella comunità cristiana. Egli, dice, agiva da miscredente
perché: "non sapevo quello che facevo". Non è una scusa, per
Paolo, dotto maestro di Israele e finissimo esegeta della
Scrittura, ma testimonianza che la sua fede può essere solo un
dono di Dio che gli ha capovolto pensieri e cultura. Per noi
credenti si potrebbe dire la stessa cosa: le linee della
sapienza cristiana e la fiducia nel Signore Gesù ci riscattano
dal turbamento, dall’angoscia, dalla dispersione poiché,
semplici o complessi, ci vengono suggeriti valori e speranze.
Anche ai credenti restano le fatiche e le oscurità ma sappiamo
di avere un Padre e un Fratello, compagno di viaggio,
eccezionali
|
Luca 9,18-22
In
quel tempo. Il Signore Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I
discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono
che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri
uno degli antichi profeti che è risorto». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite
che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente
di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto,
essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire
ucciso e risorgere il terzo giorno».
Luca, con questo testo, vuole aiutare la sua comunità a ripensare seriamente
a Gesù, nella concretezza e nelle scelte. La fede, infatti, non è una formula o
un pacchetto di verità da ricordare, ma è la scelta di Gesù così come si
presenta. Egli è profondamente diverso dalle aspettative, alternativo,
sconcertante e, tuttavia, sempre in comunione con il Padre e mai nella
prospettiva capricciosa di voler fare, dimostrare, conquistare per esibire. Gesù
non gioca con i nostri sentimenti e le nostre fragilità. Egli sa che sta ponendo
anche ai suoi un’alternativa che li avrebbe sconcertati. Ma Gesù vuole svelare
loro il segreto della sua vita. Infatti non li vuole ingannare né li vuol
manipolare, giocando sull'emotività Sa di avere davanti persone affezionate,
fiduciose e però cariche di quelle stesse speranze che tutta la storia d’Israele
aveva alimentato. Dopo qualche breve parentesi di gloria .che si è mostrata
visibile nel regno di Davide, re vittorioso e di suo figlio Salomone, re saggio,
non si poteva contare su grandi dignità, degne di quella
regalità altissima che veniva da Dio nella millenaria storia del
popolo di Dio. Così l’attesa si preannuncia inimmaginabile, carica delle
promesse di Dio. E, nello stesso tempo, in questo periodo di vita di Gesù, si
sono particolarmente sviluppate delle aspettative sempre più spasmodiche e
sempre più politiche. La stessa predicazione di Giovanni Battista, per quanto
breve, aveva suscitato moltissime attese. Gesù sente che è giunto il momento per
incominciare a svelare il significato della sua missione. Luca racconta il
dialogo, molto scarno sulla identità di Gesù, senza collocarlo, come fanno gli
altri evangelisti, a Cesarea di Filippo. Probabilmente l’evangelista vuole che
il testo diventi un riferimento preciso per ogni interlocutore credente. Luca,
come spesso fa, introduce i momenti essenziali della vita di Gesù ricordando la
sua preghiera: è indicativa che qui sta avvenendo qualcosa di
particolarmente significativo. Giocano, insieme, l’ esigenza di comunione e di
sostegno personale richiesti da Gesù e la sua strategia di educare i discepoli
perché trovino, nella preghiera, la forma più alta di sincerità, di
disponibilità e di comunione con il Padre. Così avviene per alcune altre grandi
scelte di Gesù: al battesimo (3,21), prima di chiamare i 12 apostoli (6,12),
nella Trasfigurazione (9,29), prima di insegnare a pregare (11,1), nell’orto
degli ulivi (22,39-46), dall’alto della croce (23,34-46). Gesù entra in dialogo
con i suoi e bisogna lasciarsi interpellare da Lui. Egli conduce via via a
scoprire che cosa si aspetta da loro. Una prima domanda, probabilmente, lascia
sconcertati gli apostoli: "Chi sono io secondo la gente?". In fondo il maestro
non si è mai interessato di sapere che cosa la gente dicesse di lui. Tuttavia
rispondono con grande onestà. Tutti pensano, più o meno, che egli sia un
precursore, cioè colui che ha, come vocazione, quello di indicare il Messia che
viene. La risposta significa almeno per due cose: - La gente riconosce in Gesù
un altissimo spessore morale e, a seconda dei personaggi richiamati, a cui
ognuno fa riferimento, collegano Gesù, in un rapporto privilegiato con il Dio
d’Israele che si serve di Lui per annunciare la novità che presto apparirà
all’orizzonte e che sarà il vero, grande Messia; - Ma Gesù non può essere
Messia, essi pensano, poiché non dimostra di avere una progettualità di
liberazione dal potere politico e di contrapposizione alle forze imperanti
pagane e straniere. I suoi miracoli, al massimo, garantiscono che Dio accetta
Gesù come suo messaggero. Qui ci sono tutta la dialettica e l’ambiguità della
classe dirigente ebraica che pone a Gesù la richiesta:: “Dacci un segno”, "Ma
voi che cosa dite?". Gesù prende atto di ciò che hanno manifestato e li
interpella sul significato che essi danno sulla sua persona.
Sorge l’obbligo di confessare la vera identità di Gesù. Pietro lo fa, anche a
nome degli altri, e si contrappone alla mentalità corrente, accettando di vedere
in Gesù la nuova messianicità. Essi però continuano a sperare, mantenendo come
tutti, le attese di un Messia glorioso, pur accettando che sia Gesù a trovare i
tempi e i modi per manifestarsi. Pietro e i discepoli convivono con la propria
ambiguità interpretativa e sono incapaci di cogliere
l’identità più profonda di Gesù e la sua messianicità; Nel loro cuore continuano
a tenere insieme la prospettiva del tempo del cambiamento e del tempo della
rivoluzione. Perciò Gesù obbliga severamente di non divulgare la sua
messianicità: essa, infatti, sarebbe stata intesa in modo
distorto. - A questo punto, però, Gesù propone un “mini-vangelo della passione,
morte e risurrezione” (v’ 22): la croce è un itinerario che va dalla vita alla
vita passando attraverso la sofferenza, la crisi, il giudizio, la morte. li
Figlio dell’uomo deve soffrire e tutto ciò che avverrà non saranno un destino o
un incidente ma una misteriosa strada attraverso cui si manifesterà la volontà
del Padre che vuole salvi tutti noi. E Gesù, docile, accetta e chiede alla sua
comunità di essere solidali con lui. A questo sono chiamati tutti. Certamente ci
si sente spiazzati poiché, piaccia o no, anche a noi interessano il vincere, il
dimostrare di essere, il conquistare le masse, avere forze di
sostegno alle spalle. Sono i criteri del gioco politico e della conquista del
potere che poi si spera sia gestito con responsabilità e moralità. E le leggi
dovrebbero aiutare a ridimensionare le tentazioni. Stiamo scoprendo le
tentazioni di tutti, anche della Chiesa. Ma nella Chiesa Gesù ha sviluppato
altre logiche: esse non passano attraverso le dimostrazioni della sua
risurrezione ai sommi sacerdoti o a Pilato. Se c’è una vittoria,
questa è nella serenità dei primi cristiani che professano la fede, e che nei
tribunali mostrano ossequio e libertà, e insieme formulano l’obiezione di
coscienza, quasi a scusarsi, senza supponenza, ma continuando ad essere fermi e
fiduciosi (At 4,19-20: “Ma Pietro e Giovanni risposero loro: «Giudicate voi se è
giusto, davanti a Dio, ubbidire a voi anziché a Dio. Quanto a noi, non possiamo
non parlare delle cose che abbiamo viste e udite»”). La morte e la risurrezione
di Gesù ha sconcertato la prima comunità cristiana e, nel suo significato
essenziale, continua a sconcertare anche noi. |