IV Domenica dopo il Martirio di S. Giovanni il Precursore
25 settembre 2011

Giovanni 6,24-35
riferimenti : Isaia 63, 19b - 64,10 -
salmo 76 - Ebrei 9, 1-12
Dio è conosciuto in Giuda, in Israele è grande il suo nome.  È in Gerusalemme la sua dimora, la sua abitazione, in Sion. Qui spezzò le saette dell'arco, lo scudo, la spada, la guerra.  Splendido tu sei, o Potente, sui monti della preda;  furono spogliati i valorosi, furono colti dal sonno, nessun prode ritrovava la sua mano.  Dio di Giacobbe, alla tua minaccia, si arrestarono carri e cavalli.
Isaia 63, 19b - 64,10

In quei giorni. Isaia pregò il Signore, dicendo: Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti, come il fuoco incendia le stoppie e fa bollire l’acqua, perché si conosca il tuo nome fra i tuoi nemici, e le genti tremino davanti a te. Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti. Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui. Tu vai incontro a quelli che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue vie. Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani. Signore, non adirarti fino all’estremo, non ricordarti per sempre dell’iniquità. Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo. Le tue città sante sono un deserto, un deserto è diventata Sion, Gerusalemme una desolazione. Il nostro tempio, santo e magnifico, dove i nostri padri ti hanno lodato, è divenuto preda del fuoco; tutte le nostre cose preziose sono distrutte.

L'esperienza drammatica della distruzione di Gerusalemme, avvenuta alcuni anni prima, è rimasta nel ricordo dei deportati a Babilonia come una enorme e sorprendente umiliazione. Nel luglio del 587 a.C. i Babilonesi demolirono le mura della città santa, incendiarono i palazzi, le case del re e il tempio; gli Edomiti, al seguito dei Babilonesi, si gettarono anche loro nella strage del popolo d'Israele (sal 137,7). I deportati continuarono a cercare le ragioni di questa sciagura, sapendo di essere un popolo santo, amato da Dio e liberato dalla schiavitù alcuni secoli prima, attraverso Mosé. Questo brano è una grande preghiera, una delle più belle della Scrittura, in cui Dio è chiamato Padre e Redentore (v 16). La tragedia dimostra che Dio è lontano e questa lontananza ha rovinato il popolo, non più disposto al timore di Dio, non più consapevole della propria dipendenza da Lui, della sua potenza e del suo amore. Il Signore si è ritirato al di là del cielo. E la terra non percepisce più né il suo potere di protezione, né la sua potenza. “S'è allontanato perché abbiamo peccato e ci siamo ribellati, diventando così, senza rendercene conto, una cosa impura e un panno immondo". “Solo tu sei il nostro Padre” perché non ci sono più padri a cui rivolgersi. "Abramo non ci riconosce e Israele (Giacobbe) non si ricorda di noi" (v 16). Solo Dio è Padre. Questa è la prima volta che si applica a Dio questo attributo nella Scrittura. Gli ebrei erano restii a chiamare Dio Padre come, spesso, i popoli pagani chiamavano i loro dei. Un tale linguaggio avrebbe facilmente equivocato su ipotetici matrimoni con "le figlie degli uomini” come la mitologia pagana, invece, ricordava facilmente. Qui il rapporto è una profonda meditazione che risale all'incontro con il Signore nel deserto, alla protezione e all'itinerario di molti anni, alla iniziale conversione del cuore mentre il Signore, passo passo, proteggeva il suo popolo. È’ anche suggestivo il richiamo a Dio come “Redentore” perché ci si riferisce ad una cultura radicata di responsabilità e di rispetto verso i propri parenti. In caso in cui un membro della famiglia avesse perso la libertà o perché prigioniero o perché oberato di debiti, il parente prossimo diventa moralmente responsabile della schiavitù e quindi si impegna a riscattare lo schiavo con una somma di riscatto o addirittura consegnandosi, in sostituzione del proprio congiunto. Ora, purtroppo, pensa il popolo pentito, non ci sono padri e non ci sono possibili redentori: resta solo Dio che è l'unica speranza nuova. Il testo riassume la memoria riconquistata della potenza di Dio liberante, del proprio abbandono, e rilegge la desolazione della città deserta e del Tempio distrutto come prova del male avvenuto e quindi come prova del castigo di Dio. Tutto il testo è coraggioso: rilegge la propria storia e accetta di mettersi nelle mani di Dio di cui, comunque, ci si fida. Ma tutto il testo apre anche ai grandi interrogativi della vita: perché il dolore, perché il male, perché le distruzioni, perché la morte, perché una sofferenza così drammatica a un popolo, se Dio è Padre ed unico Redentore?. L'interrogativo fondamentale tocca anche noi tutti, e prospetta il mistero della libertà dell'uomo che spesso apre alla tragedia che il male provoca nel cuore e nel mondo. In questa lettura e questa esperienza, la presenza di Dio di fronte alle tragedie, nel rispetto della libertà di ciascuno, sembra impotente. Nell’oscurità della nostra storia, però, c’è bisogno di persone che continuino a fidarsi di Dio. Nella loro giustizia conservano la speranza per il mondo e il perdono Dio. “Almeno dieci giusti” (La preghiera di Abramo Gen 18,17-33).

Ebrei 9, 1-12

Fratelli, anche la prima alleanza aveva norme per il culto e un santuario terreno. Fu costruita infatti una tenda, la prima, nella quale vi erano il candelabro, la tavola e i pani dell’offerta; essa veniva chiamata il Santo. Dietro il secondo velo, poi, c’era la tenda chiamata Santo dei Santi, con l’altare d’oro per i profumi e l’arca dell’alleanza tutta ricoperta d’oro, nella quale si trovavano un’urna d’oro contenente la manna, la verga di Aronne, che era fiorita, e le tavole dell’alleanza. E sopra l’arca stavano i cherubini della gloria, che stendevano la loro ombra sul propiziatorio. Di queste cose non è necessario ora parlare nei particolari. Disposte in tal modo le cose, nella prima tenda entrano sempre i sacerdoti per celebrare il culto; nella seconda invece entra solamente il sommo sacerdote, una volta all’anno, e non senza portarvi del sangue, che egli offre per se stesso e per quanto commesso dal popolo per ignoranza. Lo Spirito Santo intendeva così mostrare che non era stata ancora manifestata la via del santuario, finché restava la prima tenda. 9 Essa infatti è figura del tempo presente e secondo essa vengono offerti doni e sacrifici che non possono rendere perfetto, nella sua coscienza, colui che offre: si tratta soltanto di cibi, di bevande e di varie abluzioni, tutte prescrizioni carnali, valide fino al tempo in cui sarebbero state riformate. Cristo, invece, è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna.

L'autore biblico ha annunciato la nuova Alleanza nel cap 8. Ora, nel capitolo successivo, ritorna a delineare, con molta attenzione e molti particolari, le prescrizioni che legavano l'Alleanza al culto del Tempio. La particolareggiata e minuziosa descrizione fa memoria delle prescrizioni dell’Esodo (capitoli 25-26) e manifesta la competenza e l'esperienza ebraica sacerdotale. Si parla di tenda e quindi ci si rifà alle origini, al tempo dell'uscita dall’Egitto mentre non si parla del Tempio, anche se è continuamente sottinteso. Viene ricordata la divisione della tenda in due parti in cui si svolgeva il culto. Nella prima parte della tenda i sacerdoti offrivano i doni del popolo, nella seconda, solo una volta all'anno, nel giorno dell’espiazione, solo il sommo sacerdote, spargeva il sangue per la purificazione del popolo e del sacerdote stesso. Le due parti sono separate da una pesante cortina ( il velo) che non poteva essere superato da nessun altro e nessun altro tempo. La tenda è espressione del tempo presente, dice l'autore, con offerte di doni e abluzioni: tutte queste prescrizioni umane valgono per il tempo dell'attesa. In questo caso “lo Spirito Santo intendeva mostrare che non era ancora aperta la via del santuario definitivo”. "È Gesù colui che viene nella tenda perfetta, non costruita da mano d'uomo, non appartenente alla creazione, e vi entra una volta per sempre con il suo sangue “. In tal modo ottiene una redenzione eterna. L'antico culto provvisorio ha svolto la sua missione e funzione per il tempo di attesa, ma è Gesù che porta "i beni futuri", che sono la salvezza, la vita e la felicità eterna nella casa di Dio, ormai aperta a tutti. Non ci sono più veli, non ci sono doni da offrire, non c'è selezione: Gesù porta la salvezza a tutti per sempre.

 

 

Giovanni 6,24-35

In quel tempo. Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da un pane dal cielo». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

Giovanni dedica tutto il capitolo 6° al racconto della condivisione di Gesù con la folla e quindi, per gradi diversi, al significato della sua presenza, iniziando dal miracolo del pane. - Egli comincia con il messaggio nuovo della sua Parola, di cui la gente è affascinata. - Successivamente sfama le persone presenti con il pane ed i pesci. - Quindi inizia la spiegazione dei segni e la rivelazione di ciò che Egli è: “Inviato da Dio e Figlio, offre il pane vero e la sua vita”. 5000 persone si sono sfamate perché Gesù ha condiviso con loro cinque pani e due pesci, aiutato dai discepoli che si sono fatti tramite della distribuzione, fra i gruppetti di persone presenti. La gente è letteralmente esplosa, nello stupore di aver trovato la grande soluzione ai propri problemi e progetti politici. Hanno così deciso di eleggere Gesù come re- Messia. Gesù fugge sulla montagna e i discepoli, restati soli, probabilmente un po’ delusi, risalgono sulla barca e ritornano a Cafarnao. La spiaggia è rimasta deserta e quelli che arrivano, non trovando più né Gesù né i discepoli, rivolgono le vele, anch'essi, verso Cafàrnao. Nel frattempo Gesù è sceso dal monte, ha raggiunto i discepoli camminando sull’acqua, li ha rassicurati, impauriti per la violenza del mare e quindi è giunto con loro a Cafàrnao. La gente, che lo cerca, fa una domanda d'obbligo, stupita di trovarlo all’altra parte del lago, mentre si sono accertati che Gesù non è salito con i suoi. “Quando sei venuto qui?” Gesù non risponde alla domanda, ma entra nel merito della loro ricerca. Richiama i propri interlocutori alla consapevolezza delle proprie motivazione e, senza aver bisogno di indovinare troppo, ricorda loro che stanno equivocando completamente l’interpretazione del loro incontro. Essi non sanno cogliere i segni, ma desiderano solo trovare soluzioni alla loro ricerca di pane. Di fatto i segni sono molti.: - C’è il significato della parola nuova che ha investito il loro cuore e che è il vero alimento della loro esistenza. - Ma c’è, insieme, la compassione per i bisogni delle persone che induce ad inventare un modo nuovo e creativo per superare l’indigenza del momento. Quindi, davanti alle difficoltà, è necessaria la consapevolezza che, se ciascuno fa le verifiche delle proprie risorse, per quanto piccole possano essere, se si offrono gratuitamente, sfamano gli altri. - E se Il segno è la condivisione: spezzare per distribuire, bisogna correggere anche il nostro linguaggio. Nel Vangelo non si parla mai di moltiplicazione dei pani (come noi normalmente ci esprimiamo) ma la dizione “moltiplicazione” si trova solo nei titoli che si stampano per separare i testi.. Gesù non compie l’operazione di moltiplicare il pane, per quanto a noi debba sembrare strano, ma Gesù “spezza il pane” e continua a spezzare per condividere. “Moltiplicare” è un termine economico, “condividere” è un termine di vita, di responsabilità che non seleziona nessuno, ma fa aprire gli occhi sui bisogni. In tal modo ci si abitua ad uscire dal proprio piccolo orizzonte di paure e di pretese, di esigenze e di potere, e insieme si compie una fraternità. Tra i tanti segni da interpretare (indicazioni, tracce, sentieri) c’è anche la fuga di Gesù sul monte per non accettare la proclamazione della regalità sul campo; ma questo significa ritrovarsi nella solitudine. - Ma poi Gesù ritorna tra la gente: vuole aiutare a capire e non vuol manipolare nessuno, né ingannare. Una mancanza di spiegazione corrisponderebbe ad un tradimento. Gesù, invece, spinge oltre l’orizzonte di una propria gloria per giungere alla comunione con il Padre e nella piena fiducia in Lui. - Tanti altri segni si sono manifestati, come la non-violenza e come la gratuità che non vuole contropartite. Continua, allora, ovviamente, la domanda che Gesù per primo ha posto: “Perché mi cercate?”. Non è spesso una ricerca di soddisfazione, di interessi personali e quindi di guarigioni, di soluzioni di problemi e di carriere, di danaro o dello star bene? “Cercare il cibo che non perisce” corrisponde al cercare la volontà di Dio e a non esaurire la propria ricerca nel successo, nel benessere, nella salute, nella protezione contro le difficoltà della vita. Gesù insiste che “il nuovo pane è Lui e il Padre su di lui ha messo il suo sigillo". E mentre propone e suggerisce, offrendo nuove prospettive, utilizza l’immagine del lavoro (nel verbo greco): “Datevi da fare” (v 27). L’illusione di trovare soluzioni pronte, con Gesù, si profila nella prospettiva di lavoro più difficile. A questo punto, però, la folla fa una richiesta interessante. Infatti, se in una ricerca si discute e si arriva alla domanda: “Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio”?, è un buon segno: si comincia a camminare insieme, e si aprono disponibilità di comprensione. Ma la risposta di Gesù riapre abissi di incomprensione. “Non è il fare ma il credere in colui che il Padre ha mandato. Questa è l’opera di Dio”. Gesù sa che il popolo d’Israele è particolarmente “disponibile a fare”: la legge si è infittita di infinite regole che un buon ebreo si impegna a rispettare tutte. Il problema che Gesù torna a porre non è, prima di tutto, il fare ma è il cambiamento di cuore e il modo nuovo di impostare la vita. Perciò bisogna lavorare per fidarsi profondamente di Gesù, condividere le sue scelte, disposti a giocarsi la propria vita perché egli è l'unica realtà di valore.La richiesta è troppo alta. Crollano fiducia e simpatia. A questo punto ci si contrappone “Che segni dai?” Gli chiedono allora “segni e opere perché vediamo e crediamo”. In fondo Mosè, dicono, è più grande perché ha mantenuto il suo popolo per quarant'anni, sfamandolo nel deserto. Gesù riprende la sua proposta facendo risuonare, nelle loro orecchie, gli inviti che vengono fatti, nella Scrittura, dalla Sapienza, nel libro dei Proverbi (Prov 9,1-6): «La sapienza si è costruita la sua casa, ha intagliato le sue sette colonne….«Venite, mangiate il mio pane, bevete il vino che io ho preparato. Abbandonate l’inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza»., e nel libro del Siracide (Sir 24, 19-22): «Avvicinatevi a me, voi che mi desiderate, e saziatevi dei miei frutti,» Gesù riprende la traccia delle sue riflessioni e, nella lettura della Sapienza, dà gli elementi fondamentali per la sopravvivenza nel deserto: il pane e l’acqua sono stati i doni indispensabili di Dio. Sono i doni di Gesù che è vero “pane di vita”.