 IX DOMENICA DOPO PENTECOSTE
10 agosto 2014
Marco. 2, 1-12.
Riferimenti :
2Samuele. 12, 1-13. - Salmo 31 - 2Corinzi. 4, 5b-14. |
| In te, Signore, mi sono rifugiato, mai sarò
deluso; per la tua giustizia salvami. Porgi a me l'orecchio,
vieni presto a liberarmi. Sii per me la rupe che mi accoglie, la
cinta di riparo che mi salva. Tu sei la mia roccia e il mio
baluardo, per il tuo nome dirigi i miei passi. Scioglimi dal
laccio che mi hanno teso, perché sei tu la mia difesa. |
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2Samuele. 12, 1-13.
In quei giorni. Il Signore
mandò il profeta Natan a Davide, e Natan andò da lui e gli
disse: «Due uomini erano nella stessa città, uno ricco e
l’altro povero. Il ricco aveva bestiame minuto e grosso in
gran numero,mentre il povero non aveva nulla, se non una sola
pecorella piccina,che egli aveva comprato. Essa era vissuta
e cresciuta insieme con lui e con i figli,mangiando del
suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno. Era
per lui come una figlia. Un viandante arrivò dall’uomo
ricco e questi, evitando di prendere dal suo bestiame minuto
e grosso quanto era da servire al viaggiatore che era venuto
da lui,prese la pecorella di quell’uomo povero e la servì
all’uomo che era venuto da lui». Davide si adirò contro
quell’uomo e disse a Natan: «Per la vita del Signore, chi ha
fatto questo è degno di morte. Pagherà quattro volte il
valore della pecora, per aver fatto una tal cosa e non averla
evitata». Allora Natan disse a Davide: «Tu sei quell’uomo!
Così dice il Signore, Dio d’Israele: “Io ti ho unto re
d’Israele e ti ho liberato dalle mani di Saul, ti ho dato la
casa del tuo padrone e ho messo nelle tue braccia le donne
del tuo padrone, ti ho dato la casa d’Israele e di Giuda e,
se questo fosse troppo poco, io vi aggiungerei anche
altro. Perché dunque hai disprezzato la parola del Signore,
facendo ciò che è male ai suoi occhi? Tu hai colpito di spada
Uria l’Ittita, hai preso in moglie la moglie sua e lo hai
ucciso con la spada degli Ammoniti. Ebbene, la spada non si
allontanerà mai dalla tua casa, poiché tu mi hai disprezzato
e hai preso in moglie la moglie di Uria l’Ittita”. Così dice
il Signore: “Ecco, io sto per suscitare contro di te il male
dalla tua stessa casa; prenderò le tue mogli sotto i tuoi
occhi per darle a un altro, che giacerà con loro alla luce
di questo sole. Poiché tu l’hai fatto in segreto, ma io farò
questo davanti a tutto Israele e alla luce del sole”». Allora
Davide disse a Natan: «Ho peccato contro il Signore!». Natan
rispose a Davide:«Il Signore ha rimosso il tuo peccato: tu
non morirai. Questa pagina della Scrittura
ci sorprende per il coraggio e l’onestà dell’autore biblico,
che racconta e non nasconde drammi e peccati terribili del
popolo di Dio ed anche di Davide (“un uomo secondo il cuore
di Dio”: 1 Sam 13,14 è stato detto), mentre, a sua volta,
Natan, come profeta, continua nella sua totale disponibilità
alla legge ed alla fedeltà di Dio. Il profeta viene accolto
con amicizia e accetta di ricondurre Davide alla correttezza ed
alla moralità, senza risparmiare nulla della denuncia del male
fatto,scandalizzato e coraggioso lui stesso, eppure insieme
rispettoso dei disegni del Signore e della misericordia su
Davide che continua ad essere il capostipite della dinastia del
Messia. In fondo il re ha una sua grandezza portentosa, frutto
anche della benevolenza e delle scelte che Dio ha sviluppato
con lui. Ma i doni e la grazia che vengono da Dio stesso
qualificano ancora di più la negatività del comportamento di
Davide. Davide si sente interpellato per risolvere una enorme
ingiustizia nel suo popolo: nel suo ruolo di re, e quindi di
giudice, deve dare un giudizio e risolvere il male. Natan deve
rimproverare il re. Saggiamente non lo fa in modo diretto, ma
raccontando una parabola,come faceva Gesù. Davide non
immagina di dover giudicare sé stesso e quindi, insieme,di
dover assumere il ruolo del giudice e di imputato. Il peccato di
Davide è gravissimo:adulterio ed omicidio di un suo valoroso
e fedele soldato. In tutto questo Davide ha accompagnato il
suo male con il tradimento, l’ipocrisia, il cinismo e la
simulazione. Alla denuncia di Natan segue il giudizio del re
e la pena inflitta. A questo punto si risolve l’enigma. In
più, Natan ricorda la benevolenza che il Signore ha concesso a
Davide per aiutarlo: solo così può prendere coscienza della
gravità del suo male. E finalmente Davide si rende conto.
Scopre, di colpo, tutta la tragedia che ha provocato. Si
comporta come credente, senza giustificarsi o trovare scuse o
attenuanti. Riconosce semplicemente la verità (v 13). Questa
sola è la via giusta. Il pentimento sincero risparmierà a lui
la morte, ma l’onda lunga del male cadrà sulla famiglia del re.
Si apre il grande interrogativo sul male e sul castigo. Ma non è
Dio che provoca il male nella famiglia: già nel Primo
Testamento si dice che è lo stesso peccato che castiga
l’uomo. E nella famiglia di Davide, oltre a drammi innumerevoli,
moriranno di morte violenta tre figli. E non va dimenticato
che Davide è stato anche incapace di educare i propri figli,
i quali si sono alimentati, in particolare, dell’orgoglio e
dello spirito violento di Davide stesso. Per capire meglio
il linguaggio del “castigo di Dio” si può ricordare ciò che
avviene in famiglia in conseguenza di dissapori o di
tradimenti coniugali. E difficile ricostruire la pace e la
fiducia reciproca e quindi, in famiglia, iniziano dispetti, il
rinfacciarsi il male,continuamente. La situazione pesante,
le depressioni o le tensioni, in un linguaggio antico, sono
presentati come castighi di Dio. Ma in realtà si tratta di
drammi che sorgono dalle nostre responsabilità, dal nostro
peccato e dalla nostra incapacità di perdono.
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2Corinzi. 4, 5b-14. Fratelli, quanto a noi,
siamo i vostri servitori a causa di Gesù. E Dio, che disse:
«Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori,
per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto
di Cristo. Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta,
affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a
Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma
non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati;
perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi,
portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù,
perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo.
Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla
morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si
manifesti nella nostra carne mortale. Cosicché in noi agisce
la morte, in voi la vita. Animati tuttavia da quello stesso
spirito di fede di cui sta scritto: Ho creduto, perciò ho
parlato, anche noi crediamo e perciò parliamo, convinti che
colui che ha risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche
noi con Gesù e ci porrà accanto a lui insieme con voi.
La predicazione che Paolo compie non viene accettata da
tutti, anzi spesso è guardata con sospetto. Nella comunità
di Corinto alcuni inducono a rifiutare Paolo come apostolo,
perché dicono che non ne ha diritto. Altri lo equiparano a
certi predicatori imbroglioni o perdigiorno che si presentano
alle comunità con lettere di presentazione. Egli però si
presenta seriamente impegnato e onesto, rispettoso e fedele alla
Parola del Signore:“Abbiamo rifiutato le dissimulazioni
vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la
parola di Dio, ma annunciando apertamente la verità e
presentandoci davanti a ogni coscienza umana, al cospetto di
Dio” (4,2). In più gli rimproverano di poche conversioni
perché, come oratore, vale poco (2 Cor10,10). Paolo si difende
premettendo, però che quelli che hanno successo, tra loro, sono
sleali e falsificatori del messaggio di Gesù poiché
nascondono le esigenze morali più significative (vv 1-5).
Paolo si difende e garantisce di non aver mai falsificato il
messaggio di Gesù con espedienti meschini. Sa di essere, come
apostolo “vostro servitore a causa di Cristo”(v5b) e questa
è una splendida presentazione per chi ha compiti pastorali nella
Comunità cristiana, a cominciare dai sacerdoti. Il loro
compito è quello di far splendere, a loro volta, la luce di
Gesù nel mondo, portata dalla testimonianza della fede di chi ha
vissuto con Gesù e ha condiviso con lui il cammino. Paolo,
tuttavia, insieme, riconosce i suoi limiti. Il Vangelo è
custodito in vasi di creta, nella sua debolezza e infermità. Ma
più che riferimento al corpo (lettura greca) c’è la
consapevolezza della fragilità di tutta la persona (lettura
ebraica). Eppure il Signore preferisce gli strumenti poveri e
deboli per realizzare le sue meraviglie. Il Vangelo è un
tesoro prezioso portato in vasi di terracotta, fragile, senza
valore e sporca. Sa di essere con difetti e carenze, ma
rivendica il tesoro che porta poiché è prezioso per sé e per gli
altri, amati dal Signore, che hanno bisogno della forza di Gesù.
La consapevolezza del dono che porta fa sopportare a Paolo le
difficoltà, a volte, durissime. Ma a lui interessa che in
coloro che lo accolgono ci sia la vita piena. Sono santificati
dallo Spirito e credono nella risurrezione che pone ciascuno
accanto a Gesù nella gloria. Paolo ha garantito, poco prima,
che quella stessa loro speranza lo sostiene e non li fa
abbandonare: "Forti di tale speranza, ci comportiamo con molta
franchezza" (3,12). |
Marco. 2, 1-12. In quel tempo. Il
Signore Gesù entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che
era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche
davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola. Si recarono da lui
portando un paralitico,sorretto da quattro persone. Non potendo
però
portarglielo innanzi, a causa della folla,scoperchiarono il tetto nel
punto dove egli si
trovava e, fatta un’apertura, calarono la
barella su
cui era adagiato il paralitico. Gesù,
vedendo la loro fede, disse al
paralitico:«Figlio, ti sono perdonati i peccati». Erano seduti là alcuni
scribi e pensavano in
cuor loro: «Perché costui parla così?Bestemmia!
Chi può perdonare i peccati, se
non Dio solo?». E subito Gesù, conoscendo
nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse
loro: «Perché pensate
queste cose nel vostro
cuore? Che cosa è più facile: dire al
paralitico
“Ti sono perdonati i peccati”,oppure dire “Àlzati, prendi la tua barella
e
cammina”? Ora, perché sappiate che il
Figlio dell’uomo ha il potere
di perdonare i
peccati sulla terra, dico a te – disse al
paralitico –:
alzati, prendi la tua barella e va’ a
casa tua». Quello si alzò e subito
presa la
sua barella, sotto gli occhi di tutti se ne andò,e tutti si
meravigliarono e lodavano Dio,dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di
simile!».
Questo racconto di Marco collega una prima
parte, costituita da interventi di liberazione
e di guarigione e le
polemiche successive sulla presenza e l’opera di Gesù. Perciò
bisogna
stare attenti al messaggio teologico che trasforma situazioni di vita in
avvenimenti paradossali.
Siamo all’inizio del Vangelo di Marco. C’è, in
apertura, il “lieto annuncio” della
presenza della liberazione da parte
del Signore e quindi la preparazione di un tempo
nuovo. E Marco si
preoccupa subito di dare concretezza e ricorda che Gesù interviene
sulle
emarginazioni del suo tempo: guarisce l’indemoniato (lotta contro
l’alienazione),guarisce una donna, la suocera di Pietro (lotta contro la
discriminazione femminile) e
guarisce il lebbroso (lotta contro
l’esclusione sociale). Tutti e tre sono rimessi al centro
dell’attenzione
e riaccolti nella convivenza umana della comunità (1,21-45). Il secondo
capitolo, al suo inizio (che leggiamo oggi) va alla radice: il mondo ha
bisogno di essere
liberato dal male, altrimenti è incapace di lottare e di
sradicarlo: ci vuole la forza del
Signore. Ci troviamo a Cafarnao, in una
casa affollata, con gli scribi, attenti cultori della
legge ma incapaci di
liberare dal male, cultori inermi di giudizi morali. Gesù insegna in
questa casa: rappresenta la “Casa d’Israele” entro cui si trova e si discute.
Nessuno può entrare e sembra che nessuno abbia bisogno di liberarsi. Ma fuori
c’è
tensione e movimento. Quattro persone vogliono entrare ma non senza
aver introdotto un
paralitico. I quattro portatori rappresentano l’umanità
(numero 4) e il paralitico
rappresenta l’impotenza a portare soluzione e a
migliorare il mondo. Solo Gesù è una
speranza, ma come raggiungerlo?
Bisogna sfondare le reti, le mura, “aprire le porte” ma
nessuno è disposto
e nessuno è capace. L’idea geniale di calare il paralitico dal tetto
permette di fare spazio e di portare il malato davanti a Gesù. Non sembra
essere agevole,ma è più possibile di oggi per le case palestinesi ad un
solo piano, poiché hanno una
scala esterna che sale sul tetto, costruito
con materiale leggero e facilmente asportabile.
Ci riescono. Quando sono
davanti a Gesù, dopo un ovvio scompiglio generale di
spostamenti e di
commenti, a Gesù nessuno chiede niente, neppure il paralitico, basta che
ci si trovi, faccia a faccia, con Lui perché Egli accetti di entrare nel
merito di questa
povertà e va alle radici. E la radice del male è il
peccato. Ci è sforzati di combatterlo in
vari modi: se è una macchia da
lavare o da espiare, ci si è impegnati da secoli con i bagni
rituali e con
cerimonie dove si utilizza fuoco, sangue e animali in sacrificio; se è una
danno al prossimo bisogna almeno riconoscere il danno ed offrire un
risarcimento, per
quanto possibile; se non c’è speranza da parte nostra,
Dio giudice verrà finalmente, e
distruggerà i malvagi.
Il paralitico è
accolto da Gesù con tenerezza: “Figliolo” poiché è il povero, incapace di
operare, reagire, lottare, liberarsi. E’ l’immagine della umanità a cui Gesù
si rivolge e per
cui è venuto. Ogni uomo, anche peccatore, è figlio di Dio
e fratello di Gesù. E questo
messaggio sta alla base di ciò che sta a
cuore a Gesù: liberare dal male, dal peccato, dalla
lontananza e dalla
disperazione, dalla sfiducia e dalla rassegnazione. Possono finalmente
essere offerte liberazioni impossibili. Far camminare un paralitico e rendere
amico uno
che ha rifiutato Dio. Gesù ci tiene a questa trasformazione, a
questa libertà di cuore, a
questa speranza e vicinanza impensabili. Il
nostro compito non è giudicare, ma aiutare a
capire e a liberarsi dal
male, insieme, nel dono e nella fiducia dello Spirito. |