
IV DOMENICA di AVVENTO
(a Gerusalemme - L'ingresso del
Messia)
8 dicembre 2013
Matteo. 21, 1-9
Riferimenti:
Isaia 40, 1-11 - Slamo 71 -
Ebrei. 10, 5-9a |
| In te mi rifugio, Signore, ch'io non
resti confuso in eterno. Liberami, difendimi per la tua
giustizia, porgimi ascolto e salvami. Sii per me rupe di difesa,
baluardo inaccessibile, poiché tu sei mio rifugio e mia
fortezza. Mio Dio, salvami dalle mani dell'empio, dalle mani
dell'iniquo e dell'oppressore. Sei tu, Signore, la mia speranza,
la mia fiducia fin dalla mia giovinezza. Su di te mi appoggiai
fin dal grembo materno, dal seno di mia madre tu sei il mio
sostegno; a te la mia lode senza fine. |
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Isaia40, 1-11
«Consolate,
consolate il mio popolo
– dice il vostro Dio. Parlate al cuore
di Gerusalemme e gridatele che la
sua tribolazione è compiuta, la sua
colpa è scontata, perché ha ricevuto
dalla mano del Signore il doppio per
tutti i suoi peccati». Una voce grida:
«Nel deserto preparate la via al
Signore, spianate nella steppa la
strada per il nostro Dio. Ogni valle
sia innalzata, ogni monte e ogni colle
siano abbassati; il terreno accidentato
si trasformi in piano e quello
scosceso in vallata. Allora si rivelerà
la gloria del Signore e tutti gli uomini
insieme la vedranno, perché la bocca
del Signore ha parlato». Una voce
dice: «Grida», e io rispondo: «Che
cosa dovrò gridare?». Ogni uomo è
come l’erba e tutta la sua grazia è
come un fiore del campo. Secca
l’erba, il fiore appassisce quando
soffia su di essi il vento del Signore.
Veramente il popolo è come l’erba. Secca l’erba, appassisce
il fiore, ma
la parola del nostro Dio dura per
sempre. Sali su un alto monte, tu che
annunci liete notizie a Sion! Alza la
tua voce con forza, tu che annunci
liete notizie a Gerusalemme. Alza la
voce, non temere; annuncia alle città
di Giuda: «Ecco il vostro Dio! Ecco, il Signore Dio viene con
potenza, il suo braccio esercita il
dominio. Ecco, egli ha con sé il
premio e la sua ricompensa lo
precede. Come un pastore egli fa
pascolare il gregge e con il suo
braccio lo raduna; porta gli agnellini
sul petto e conduce dolcemente le pecore madri».
Con questo testo il profeta anonimo del VI secolo, che vive
con il popolo, deportato a Babilonia, e che
continua il libro delle profezie del grande e primo Isaia,
vuole garantire il suo popolo di una speranza
grande e nuova: c’è, in prospettiva, il ritorno a
Gerusalemme, Ma Dio sta prospettando, attraverso gli
avvenimenti della storia, la conclusione della”tribolazione”.
In pratica viene annunciata la sconfitta di
Babilonia da parte della potenza crescente di Ciro, re dei
Medi e dei Persiani. Ma la profezia non è molto
esplicita per timore di una reazione violenta da parte
dell’autorità babilonese. Così il futuro viene
raccontato riferendosi all’uscita dall’Egitto e alla
liberazione ottenuta al tempo dell’esodo con Mosè.
“Consolate” significa aiutate a cogliere la novità ed i
segni, ed è necessario parlare al cuore perché
sorgano pensieri e attese di speranza. Consolare rivela il
rigenerare le prospettive di vita che è fragile,
“come l’erba; secca l’erba, appassisce il fiore”(v 7).
Le immagini e i significati si ripetono per rinvigorire la
speranza. E soprattutto viene presentata la
presenza del Dio consolatore. E se la divisione del testo si
sviluppa in diversi segni e parti, il volto di Dio
si manifesta nel suo splendore. Troviamo così 4 parti: “la
consolazione e la sua causa (1-2), il nuovo
esodo (3-5), la parola di Dio è efficace (6-8),
il Signore è re e pastore (9-11)”; esse manifestano la
premura che ci sia una Parola nuova e incoraggiante:
“Consolate. Parlate al cuore”. E il Signore desidera
che ci siano fiducia, speranza, novità ed entusiasmo verso
questa nuova prospettiva. E’ il nuovo che si
affaccia e bisogna dare sicurezza: “Gridate”. “La Gloria di
Dio è garantita ma viene sulle strade che
avrete preparato voi”. (v 3). Il cammino da Babilonia a
Gerusalemme non è stato mai diritto, dovendo
superare il deserto. Sarebbe la strada più corta ma
impossibile; quella possibile è di aggirare il deserto
da Nord e quindi ridiscendere: circa 1000 Km , lo stesso
tragitto che aveva percorso Abramo più di un
millennio prima. Ma il Signore garantisce: “Una strada
diritta vi sarà possibile: agevole, veloce”. Ci si
renderà conto di essere fragili e inconsistenti, poveri di
risorse e di progetti? “Non spaventatevi”. E se il
Signore è “vento di dissecca”, è anche gloria che accompagna
verso la liberazione, “è braccio che
esercita il dominio” (10), “è pastore” (11). Per il popolo
d’Israele il Dio Pastore fa balzare
immediatamente il richiamo all’autorità politica, ai cattivi
pastori di cui si lamentano lo stesso Isaia
(56,11), Geremia (2,8;10,12;12,10; 23,1; 50,6), Ezechiele (
34 2-10). Il Signore si offre come Pastore,
garantisce l’unità del suo popolo (“con il suo braccio lo
raduna”) e si prende cura amorevole del suo
gregge. In particolare, è attento alla vita fragile degli
agnellini incapaci ancora di camminare e alle
pecore che faticano a stare al passo delle altre pecore
perché hanno da poco partorito.
Quando viene Gesù, questo testo rimanda a Giovanni Battista,
nuovo profeta, che apre una strada
accessibile, nel deserto. E però il braccio del Signore e la
sua liberazione sono affidati al nuovo pastore
che è Gesù. Le splendide pagine del Vangelo di Giovanni ci
ricordano che Gesù è il buon pastore che dà
la vita per le pecore (10,11); con Lui sorgono reciproca
attenzione, amore e conoscenza (Gv 10,14: “Io
sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore
conoscono me”).
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Ebrei. 10, 5-9a
Fratelli,
entrando nel mondo, Cristo dice: “Tu non hai voluto né
sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai
gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho
detto: «Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del
libro - per fare, o Dio, la tua volontà». Dopo aver detto:
Tu non hai voluto e
non hai gradito né sacrifici né offerte, né olocausti né
sacrifici per il peccato, cose che vengono offerte secondo
la Legge, soggiunge: Ecco, io vengo a fare la tua volontà.
Questo testo vuole valorizzare il sacrificio di Gesù rispetto
alle offerte del Primo Testamento. E lo fa con
la preghiera del salmista (Sal 40,7) che ha maturato nel suo
cuore la consapevolezza che il vero modo di
onorare Dio è accogliere la sua volontà. “Sacrificio
e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto, non
hai chiesto olocausto né sacrificio per il peccato” .Tutto
il mondo antico ritiene che l’offerta al tempio di
animali: di tori e capri, con il loro sangue elimini il
peccato ( Eb 10,4).
Ma questo è impossibile. La
legge infatti rappresenta solo l’ombra , una prefigurazione
della salvezza ma non ha una propria efficacia
di liberazione di fronte a Dio. Questi sacrifici non tolgono
il peccato e non permettono l’accesso a Dio.
Né perfezionano colui che li offre. Così l’autore della
lettera richiama il valore unico del sacrificio di
Gesù: il fatto che sia unico ha un grande valore poiché
elimina il significato del sacrificio di espiazione
(Lev 16) che, in Israele, almeno annualmente, si offre per
tutti i peccati d’Israele. Questo fa solo
ricordare di avere peccato, ma non è rimesso il peccato né
può purificare la coscienza.
L’autore biblico applica a Gesù, nella sua realtà
preesistente presso Dio, il suo “Eccomi”, prendendo dal
salmo 40: “Allora ho
detto: «Ecco, io vengo. Nel rotolo del libro su di me è scritto
di fare la tua volontà:
mio Dio, questo io desidero; la tua legge è nel mio intimo».
Si fa riferimento ad un rotolo che, secondo il
credo ebraico, esiste presso Dio e su cui sono scritte tutte
le azioni prima che siano compiute. Ma,
mentre nel salmo si parla di”le orecchie mi hai aperto”
(40,7), la stessa citazione, ripresa dal greco,
nella lettera agli Ebrei sostituisce con “un corpo mi hai
preparato” (10,5). In tal modo si chiarisce la
prospettiva teologica della Incarnazione di Gesù.
Questo brano della lettera agli Ebrei ci ripropone una
profonda rivoluzione religiosa che tocca tutte le
fedi del mondo, compresa la fede cattolica. Siamo richiamati
ad aprire gli occhi sulla strada che il
Signore ci indica, siamo incoraggiati alla ricerca della
presenza del Signore nella storia di ciascuno di
noi, ogni giorno; siamo aiutati a intravedere il tempo che il
Signore sa darci, aprendo con lucidità, sulla
nostra vita, gli occhi della fede. E, insieme con la
rilettura della Parola di Gesù, la storia che viviamo ci
apre quotidianamente ad intuizioni e suggerimenti. Sarebbe un
grande segno di testimonianza se ci
aiutassimo a riflettere, a scoprire e a raccontare i segni
che intravediamo della presenza del Signore nella
storia. Magari riprendendo i “segni dei tempi”, riproposti da
Giovanni XXIII nella Pacem in terris (PT:
1963) e nella Gaudium et spes del Concilio Vaticano II
(GS: 1965)
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Betfage,(probabilmente significa “casa dei fichi
primaticci”). piccolo villaggio tra Betania e Gerusalemme,
sul monte degli ulivi, ove Gesù mandò a prendere l'ASINO ED IL PULEDRO. |
Matteo. 21, 1-9
In quel tempo. Quando furono vicini
a Gerusalemme e giunsero presso
Bètfage, verso il monte degli Ulivi,
Gesù mandò due discepoli, dicendo
loro: «Andate nel villaggio di fronte
a voi e subito troverete un’asina,
legata, e con essa un puledro.
Slegateli e conduceteli da me. E se
qualcuno vi dirà qualcosa,
rispondete: “Il Signore ne ha
bisogno, ma li rimanderà indietro
subito”». Ora questo avvenne perché
si compisse ciò che era stato detto
per mezzo del profeta: Dite alla
figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo
re, mite, seduto su un’asina e su un
puledro, figlio di una bestia da soma. I discepoli andarono e fecero
quello
che aveva ordinato loro Gesù: condussero l’asina e il puledro,
misero su di essi i mantelli ed egli vi
si pose a sedere. La folla,
numerosissima, stese i propri
mantelli sulla strada, mentre altri
tagliavano rami dagli alberi e li
stendevano sulla strada. La folla che
lo precedeva e quella che lo seguiva,
gridava: «Osanna al figlio di
Davide! Benedetto colui che viene
nel nome del Signore! Osanna nel più
alto dei cieli!».
Gesù prende possesso della città santa e, immediatamente, si scontra con la
classe dirigente
del popolo d’Israele. Essa è costituita dai dotti teologi, dalla classe
sacerdotale che, insieme,
sviluppa la politica e custodisce il tempio, e dai più appassionati devoti
della legge. Stiamo
parlando degli scribi, dei sacerdoti, e dei farisei. Tutti attendono il
Messia e tutti questi sono
ferocemente oppositori di Gesù.
Infatti Gesù il Messia non viene come l’hanno aspettato o immaginato. Non
porta potere e
grandezza, non dà spazio ai progetti di rivincita, ignora ogni prospettiva di
vittoria, giunge
disarmato con una proposta di pace e di novità a cui solo le persone
semplici, i credenti in Lui,
rispondono fiduciosi.
Egli non garantisce niente di ciò che si sarebbero aspettato. Un trionfo a
Gerusalemme c’è, ma
chiede in prestito le piccole cose di tutti i giorni: l’asino, la festa, i
mantelli, i rami degli alberi,
le grida di acclamazione, la fiducia. Egli non manifesta esigenze di potere,
né forze
combattenti, né desideri di trionfo.
Egli non vuole vincere nessuno, e questo dovrebbe essere ben chiaro anche
nella sensibilità
del nostro mondo credente.
In favore c’è una profezia, quella di Zaccaria, ma nel vangelo di Matteo è
addolcita, ripulita,
corretta. Secondo la lettura di Matteo si svolge una acclamazione modesta. La
citazione di
Zaccaria ricorda, in particolare, la mitezza e l'umiltà. Infatti, dal testo
citato di Zaccaria,
vengono tolti due aggettivi: "Egli è giusto e vittorioso" (Zac
9,9) così come vengono sostituite
le parole, "Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di
Gerusalemme" con "Dite alla
figlia di Sìon" di Isaia (62,11). Matteo concentra l'attenzione su Gesù
"mite" (umile). Questi,
infatti, non entra vittorioso su un focoso destriero, ma su un umile
asinello, come annunciatore
di pace (Zac 9,10). Nel trionfo improvvisato, che Gesù stesso ha provocato,
prenderà poi
possesso della città santa e ne scaccerà i profanatori (21,12-17).
Di quella festa, però, che cosa resta? I vestiti distesi e i mantelli che
sono serviti come tappeto,
i rami di alberi e le acclamazioni. A dire il vero, “Osanna” significa: “O
Dio, vieni in aiuto” e
“Signore donaci vittoria”. Diventeranno acclamazioni di gioia degne per la
gioia di una
vittoria. Ma Gesù porta altri segni. Accetta l’entusiasmo e la festa, ma poi,
alla resa dei conti,
alla gente offre la sua parola, la sua persona, il suo esempio, la sua pace ,
la sua adesione al
Padre. E insieme offre la sua condivisione con la sofferenza e le attese
della gente. Nel poco
tempo che resta, in una settimana, tutto l’entusiasmo si trasforma in
delusione poiché il popolo
continua a restare sottomesso al mondo romano. Non essere diventati
trionfatori, restando
soggetti ad un popolo pagano, farà capovolgere ogni attesa in fallimento. La
festa si smorzerà
nel silenzio, nel cammino pubblico con una croce fuori della città, con
l’ovvia sconfitta di
ogni regalità e di ogni pace.
Nessuno alzerà la voce a difendere Gesù, salvo un condannato crocifisso che
oserà farfugliare
parole di fiducia e di speranza mentre muore: “Ricordati di me quando
entrerai nel tuo Regno”
(Luca 23,42-43). E Gesù, proprio sulla croce, garantisce che entra finalmente
nel Regno ed ha
potere di aprirne le porte: “Oggi stesso sarai con me”.
L’ultima immagine pubblica, sancita dal procuratore Pilato e sintesi della
condanna a morte, è
l’iscrizione sulla croce: “Gesù il Nazareno, il re dei giudei”, scritta in
ebraico, latino e greco.
Essa dà fastidio ai capi religiosi di Gerusalemme e vogliono che sia
corretta. “Essi dissero a
Pilato: “Non scrivere il re dei Giudei” ma “Costui ha detto: Io sono il re
dei giudei”. Pilato
rifiuta, probabilmente con una smorfia di scherno verso di loro: “Quello che
ho scritto, ho
scritto” (Gv19,17-22).
Gesù ha fondato la Chiesa e il Card Scola (“il campo è il mondo”, p.46) ci
ricorda che “i
cristiani non cercano la vittoria della propria parte….Possono essere
maggioranza costruttiva
o minoranza perseguitata, ciò cui sono chiamati è solo l’essere presi a
servizio del disegno
buono con cui Dio accompagna la libertà degli uomini”
La conversione è a Cristo e non alla Chiesa e la Chiesa è la madre che
conduce a Cristo. Nella
Chiesa ci debbono essere fraternità e comunione.
Se ognuno di noi ha desiderio e pretese di vittoria per poter dimostrare di
essere superiore, lo
stile di Gesù porta invece verso la verità più profonda che va sempre
cercata. Noi non la
possediamo, ma, se cerchiamo con umiltà, ne siamo posseduti. Modello è Gesù
che si fa
piccolo, nascosto, fratello con gli ultimi. |