
PENULTIMA DOMENICA DOPO L’EPIFANIA
23 febbraio 2014
Giovanni. 8, 1-11
Riferimenti : Baruc. 2, 9-15a - Salmo 105 - Romani. 7, 1-6a
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| Lodate il Signore e invocate il suo nome, proclamate
tra i popoli le sue opere. Cantate a lui canti di gioia,
meditate tutti i suoi prodigi. Gloriatevi del suo santo nome:
gioisca il cuore di chi cerca il Signore. Cercate il Signore e
la sua potenza, cercate sempre il suo volto. Ricordate le
meraviglie che ha compiute, i suoi prodigi e i giudizi della sua
bocca: voi stirpe di Abramo, suo servo, figli di Giacobbe, suo
eletto. È lui il Signore, nostro Dio, su tutta la terra i suoi
giudizi. |
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Baruc. 2, 9-15a
In quei giorni. Il Signore ha vegliato su questi mali e li ha
mandati sopra di noi, poiché egli è giusto in tutte
le opere che ci ha comandato,mentre noi non
abbiamo dato ascolto alla sua voce, camminando
secondo i decreti che aveva posto davanti al
nostro volto.Ora, Signore, Dio d’Israele, che hai fatto uscire
il tuo popolo dall’Egitto con mano forte, con
segni e prodigi, con grande potenza e braccio
possente e ti sei fatto un nome, qual è oggi,noi
abbiamo peccato, siamo stati empi, siamo stati
ingiusti, Signore, nostro Dio, verso tutti i tuoi
comandamenti. Allontana da noi la tua collera,
perché siamo rimasti pochi in mezzo alle nazioni
fra le quali tu ci hai dispersi.Ascolta, Signore,
la nostra preghiera, la nostra supplica, liberaci per
il tuo amore e facci trovare grazia davanti a
coloro che ci hanno deportati,perché tutta la
terra sappia che tu sei il Signore, nostro Dio.
Il regno di Giuda è crollato in mano ai babilonesi. Il profeta Baruc scrive questo
testo a Babilonia, rivedendo le posizioni e le scelte che il
popolo ha compiuto, affrontando
una lunga complessa riflessione teologica che lo porta a sondare
i valori
di Dio, le scelte che egli fa, la raccomandazione delle leggi
che ha proposto, i risultati
di fronte a un comportamento irresponsabile di rifiuto e di
abbandono di Dio. Il
libro è attribuito a Baruc, noto come fedele segretario del
profeta Geremia. Il libro
contiene materiali diversi, sia per genere letterario che per
epoca di composizione.
Si può pensare ad un'antologia e il brano di oggi fa parte di
una Liturgia penitenziale
(1,15b-3,8). Questo popolo disperso e disperso, probabilmente
già da quattro
anni, sembra riunito nel 582 a.C.. Sta rendendosi conto del
proprio destino e dei
rivolgimenti che sono avvenuti nella propria storia. A questo
punto si è risvegliata in
ciascuno la consapevolezza della propria empietà e della propria
ingiustizia. Ritornano
in mente i prodigi che Dio ha fatto in passato per questo
popolo, liberandolo
dall’Egitto; ci si rende conto della pazzia della propria
ribellione che si è compiuta
con le proprie scelte e le proprie mani e che si sta pagando con
la propria sofferenza.
La preghiera, a questo punto, prende coscienza della propria
fragilità e della propria
pochezza: “Siamo rimasti pochi in mezzo alle nazioni fra le
quali tu ci hai dispersi”
(v 13). Sorprendentemente, le richieste sono due. Mentre si sta
chiedendo al Signore,
con la supplica, la propria liberazione, si chiede al Signore:
“Facci trovare grazia
davanti a coloro che ci hanno deportati, perché tutta la terra
sappia che tu sei il Signore,
nostro Dio”(v 14-15).Si chiedono, da una parte, le capacità e il
coraggio di
essere sottomessi al popolo che li ha conquistati, perché solo
così questo popolo può
reggere la fatica e l’umiliazione del castigo che si è
procurato. Ma, d’altra parte,
proprio in questa vita di responsabilità e di cambiamento, il
popolo diventa capace,
ancora una volta, di essere testimone della grandezza di Dio,
del Dio che ha creato il
mondo, che è il loro Signore, che li ha educati alla
responsabilità e che essi hanno,
per un certo tempo, abbandonato.
La cosa curiosa, che Baruc dice all’inizio del libro, è che
questo testo è stato letto
alla presenza del re di Giuda, dei figli del re e di tutto il
popolo: tutti sono intervenuti
alla lettura del testo di Baruc, alla presenza di tutti i
deportati che abitano in Babilonia
(1,3-4). Tale assemblea “presso il fiume Sud” (v 4 ) indica che
sia l’ex re e sia
il popolo deportato godono di una certa libertà per cui è
possibile fare questi incontri
senza suscitare sospetto o senza rifiuti preventivi.
Sia la parola del profeta sia la consapevolezza della propria
condizione e lontananza
da Gerusalemme rendono possibile la comprensione del proprio
male e il pentimento
per le proprie colpe. Questo dice il significato e il valore
degli incontri delle minoranze
che fanno prendere coscienza della propria condizione e, se c’è
volontà di
pace, possono fare arrivare il proprio popolo ad una presenza
costruttiva nel luogo
dove stanno vivendo.
Romani. 7, 1-6a
O forse ignorate, fratelli – parlo a gente che
conosce la legge – che la legge ha potere
sull’uomo solo per il tempo in cui egli vive?La
donna sposata, infatti, per legge è legata al marito
finché egli vive; ma se il marito muore, è liberata
dalla legge che la lega al marito.Ella sarà
dunque considerata adultera se passa a un altro
uomo mentre il marito vive; ma se il marito
muore ella è libera dalla legge, tanto che non è
più adultera se passa a un altro uomo.Alla stessa
maniera, fratelli miei, anche voi, mediante il
corpo di Cristo, siete stati messi a morte quanto
alla Legge per appartenere a un altro, cioè a colui
che fu risuscitato dai morti, affinché noi portiamo
frutti per Dio.Quando, infatti, eravamo nella
debolezza della carne, le passioni peccaminose,
stimolate dalla Legge, si scatenavano nelle nostre
membra al fine di portare frutti per la morte.Ora
invece, morti a ciò che ci teneva prigionieri,
siamo stati liberati dalla Legge per servire
secondo lo Spirito, che è nuovo.
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Romani. 7, 1-6a
O forse ignorate, fratelli – parlo a gente che
conosce la legge – che la legge ha potere
sull’uomo solo per il tempo in cui egli vive?La
donna sposata, infatti, per legge è legata al marito
finché egli vive; ma se il marito muore, è liberata
dalla legge che la lega al marito.Ella sarà
dunque considerata adultera se passa a un altro
uomo mentre il marito vive; ma se il marito
muore ella è libera dalla legge, tanto che non è
più adultera se passa a un altro uomo.Alla stessa
maniera, fratelli miei, anche voi, mediante il
corpo di Cristo, siete stati messi a morte quanto
alla Legge per appartenere a un altro, cioè a colui
che fu risuscitato dai morti, affinché noi portiamo
frutti per Dio. Quando, infatti, eravamo nella
debolezza della carne, le passioni peccaminose,
stimolate dalla Legge, si scatenavano nelle nostre
membra al fine di portare frutti per la morte. Ora
invece, morti a ciò che ci teneva prigionieri,
siamo stati liberati dalla Legge per servire
secondo lo Spirito, che è nuovo.
Paolo, da buon ebreo, si sente impegnato a far sempre
riferimento alla legge per
poter poi ricordare che con il battesimo siamo stati liberati
non solo dal peccato
(cap 6), ma anche dalla legge stessa (cap 7). Per illustrare la
liberazione dalla legge
viene ripreso un esempio, molto evidente, della donna vedova, e
quindi senza marito
e della donna sposata con il marito vivente. La legge regola i
rapporti solo tra i
vivi. La morte li sospende come dimostra la legge matrimoniale (vv
2-3). Quando
una donna sposa un altro uomo, è legata a lui dal dovere di
fedeltà: ma se poi muore
il marito, resta libera dalla legge del marito cioè dalla legge
che riguarda ciò che
dice la legge ebraica. Così il credente è sottratto alla legge
mediante il corpo di Cristo.
Cristo, nel battesimo, libera dal dominio della legge poiché fa
morire il credente
con sé e quindi lo fa morire alla legge.Ora che siamo stati
liberati dalla legge siamo
chiamati a servire in novità di Spirito” (v 6). Siamo così
liberati dalla legge, dalla
lettura dei codici, dalla preoccupazione dei vecchi statuti, per
l’ossessione di doverci
misurare sulla lettera. Siamo chiamati a servire secondo lo
Spirito.Servire secondo
lo Spirito significa aprire orizzonti: un’obbedienza interiore
attiva a cui segue la
creatività e la freschezza del dono di Dio ogni giorno. Egli
apre ad una vita fruttuosa,
ad una conversione attenta di comunione alle persone e ci fa
consapevoli
dell’amore del dono di Dio, fiduciosi e ricchi di libertà. Così,
noi entriamo nel "regime
nuovo dello Spirito” che non si regola più sulla norma scritta,
imposta a ciascuno
dall'esterno, capace solo di richiedere fatica e sforzi
infruttuosi di adesione.
Lo Spirito anima il credente dell'interno e lo muove verso una
fecondità spontanea e
gioiosa. Così servire nello Spirito è mettersi a disposizione,
essere attenti al vivere
di qualcuno, scoprire le esigenze e le possibilità e le
potenzialità. E servire nello Spirito è ricerca di creatività,
di bellezza, di novità e di valori nascosti
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Giovanni. 8, 1-11
L'adultera
In quel tempo. Il Signore Gesù si avviò verso il monte degli
Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio
e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si
mise a insegnare loro.Allora gli scribi e i farisei
gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la
posero in mezzo egli dissero: «Maestro, questa
donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora
Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare
donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano
questo per metterlo alla prova e per avere motivo
di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a
scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché
insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro:
«Chi di voi è senza peccato, getti per primo la
pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo,
scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne
andarono uno per uno, cominciando dai più
anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in
mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna,
dove sono? Nessuno ti ha condannata?» . Ed ella
rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse:
« Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non
peccare più».
L'adultera
Ci troviamo di fronte ad un testo che ha tutte le caratteristiche del Vangelo di
Luca,
che si gioca sulla misericordiosa credenza in Dio ma è un testo che ritroviamo
in
Giovanni, collocato in una particolare situazione nel suo Vangelo. Gesù è in
polemica
continua con i conoscitori della Scrittura e con i maestri d’Israele: “La mia
dottrina
non è mia ma di colui che mi ha mandato” (7,16). E la discussione si sviluppa
nel capitolo 7 sulla legge di Mosé: “Chi è il vero e autentico rivelatore di
Dio?”. E’
Mosé che detta la legge perché sia rispettata. Certamente verrà il Cristo, il
nuovo
Mosè, e Lui ci dirà. E invece: “Chi è quest’uomo? Sappiamo di dove viene mentre
del Cristo, quando verrà, nessuno saprà di dove sia” (7,27). È un susseguirsi di
provocazioni, di attenzioni, di risposte che Gesù propone sino a quella: “Se
qualcuno
ha sete venga a me e beva chi crede in me” (7,37-38). Irritati dalla forza della
predicazione e convinti che Gesù non viene da Dio, scribi e farisei organizzano
una
specie di tribunale pubblico all’aperto, una sfida che ritengono insuperabile.
Gesù è
arrivato nel tempio di mattina, presto. Egli siede e insegna. Gli portano una
donna
sorpresa in adulterio. La pongono nel mezzo e sfidano Gesù perché dia la sua
sentenza,
ricordando la legge di Mosé: “Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di
lapidare donne come questa. Tu che ne dici?” (8,5).L’evangelista parla del
mattino,
il tempo nuovo, il tempo della luce. E come se si dovesse attendere il tempo
nuovo
della creazione, il rinnovamento di un mondo malato che sa solo porsi col
giudizio e
con la condanna. E qui c’è ancora di più: si vuole strumentalizzare il male che
dicono
d’aver trovato per poter accusare anche Gesù. Gesù si china e comincia a
scrivere col dito per terra. Nella Scrittura, nel libro dell’Esodo, si ricorda
che Mosé
sul Sinai ha ricevuto le due tavole della testimonianza, tavole di pietra,
scritte dal
dito di Dio” (31,18) e lo stesso si dice nel Deuteronomio (9,10). Ma se sul
Sinai,
Dio scrive sulla pietra, a Gerusalemme Gesù scrive sulla terra, sul mondo in cui
viviamo, perché tutti lo possano leggere, ripensare, reinterpretare, maturare
nella
coscienza la misericordia di Dio. In fondo Gesù non rifiuta la legge di Mosé,
anzi
non entra neppure nel merito, ma di fronte al peccato ricorda a coloro che
accusano
che lo possono denunciare e cancellare con la loro giustizia solo se accettano
di
misurarsi in coscienza con la stessa legge. Non basta rispettare alla lettera le
parole
di Mosé. Bisogna essere consapevoli del peccato di tutti e bisogna aprire gli
occhi e
il cuore ad ogni persona che sbaglia, concedendole un progetto nuovo per il
futuro:
questo è il senso del perdono e della misericordia. A questo punto ognuno che ha
in
mano una pietra e vuole giudicare e condannare, è chiamato ad una verifica: «chi
di
voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (8,7). Per
procedere nella
lapidazione, in caso di sentenza pronunciata dal giudice, è necessario che
qualcuno,
per primo, cominci a scagliare una prima pietra. E’ il diritto-dovere che spetta
al
testimone sulla cui testimonianza si sono basati processo e condanna. Così Gesù,
che fa appello a chi ritiene di avere diritto di iniziare l’esecuzione della
sentenza di
morte, richiama un'altra verità, ancora più importante, che è quella della
coscienza
di ciascuno e che nessuno conosce, tranne Dio. Poiché una testimonianza
bugiarda,
in coscienza, avrebbe reso omicida il testimone. Tutto è iniziato con la folla
urlante,
tutto finisce nella solitudine di un dialogo a due tra Gesù e la donna: gli
altri sono
spariti, forse anche la folla e i discepoli. A questo punto Gesù manifesta il
significato
della sua presenza nel mondo: è venuto a perdonare, consapevole del male che
esiste nel cuore di ciascuno, ma solo il perdono può aprire prospettive sul
futuro.
Non si minimizza il male fatto, ma si ci si gioca sulla speranza. Si spezza il
cerchio
di morte che si stringe attorno alla donna. Sembra che di fronte al male non
debbano
esserci se non il giudizio, la condanna e il rifiuto della persona. Gesù,
invece, apre
orizzonti nuovi per il mondo, in cui tutti sono chiamati a camminare per
cambiare e
rendere migliore la terra. Qui dovrebbe iniziare una seria riflessione del come
noi
affrontiamo le persone che sbagliano e il male che incontriamo nel mondo. C’è
troppa violenza che si giustifica con la giustizia e c’è poco perdono che si
qualifica
come debolezza. Per quanto Gesù, in 2000 anni, ci abbia richiamato al perdono,
non
abbiamo ancora capito e non abbiamo neppure iniziato un allenamento ed un
apprendistato
per maturarlo. Ma la storia degli ultimi 60 anni dovrebbe averci insegnato
che si ricomincia la pace solo se si smette la vendetta, se si accetta il
perdono, se
si ricomincia a lavorare insieme. E’ stato il nostro cammino con l’unità
Europea, è
stata l’esperienza di alcune guerre fratricide in Africa, è stato il cammino
faticoso
del crollo dell’impero Sovietico, l’indipendenza indiana, la pacificazione in
Sud
Africa. Non si studia abbastanza il significato della riconciliazione nella
nostra
storia. |