
V DOMENICA DOPO L'EPIFANIA
9 FEBBRAIO 2014
Giovanni 4,46-54
Riferimenti
: Isaia 66,18-22 - salmo 32
- Romani 4,13-17
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| Beato l'uomo a cui è rimessa la colpa, e
perdonato il peccato. Beato l'uomo a cui Dio non imputa alcun
male e nel cui spirito non è inganno. Tacevo e si logoravano le
mie ossa, mentre gemevo tutto il giorno. Giorno e notte pesava
su di me la tua mano, come per arsura d'estate inaridiva il mio
vigore. Ti ho manifestato il mio peccato, non ho tenuto nascosto
il mio errore. Ho detto: "Confesserò al Signore le mie colpe" e
tu hai rimesso la malizia del mio peccato. |
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Isaia 66,18-22 con le loro
opere e i loro propositi. Io verrò a radunare
tutti i popoli e tutte le lingue; essi verranno
e vedranno la mia gloria. Io porrò in essi un
segno e manderò i loro superstiti alle genti di
Tarsis, Put, Lud, Mesech, Ros, Tubal e di
Grecia, ai lidi lontani che non hanno udito
parlare di me e non hanno visto la mia gloria;
essi annunzieranno la mia gloria alle nazioni.
Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutti i
popoli come offerta al Signore, su cavalli, su
carri, su portantine, su muli, su dromedari al
mio santo monte di Gerusalemme, dice il Signore,
come i figli di Israele portano l'offerta su
vasi puri nel tempio del Signore. Anche tra essi
mi prenderò sacerdoti e leviti, dice il Signore.
Sì, come i nuovi cieli e la nuova terra, che io
farò, dureranno per sempre davanti a me -
oracolo del Signore - così dureranno la vostra
discendenza e il vostro nome
Siamo alla conclusione del libro di Isaia che
delinea il futuro della storia con un linguaggio
proprio, detto apocalittico: è la prospettiva di
un progetto a cui Dio mette mano nei tempi nuovi
che verranno. Nel racconto mitologico della
torre di Babele (Gen 11), agli inizi della
civiltà, si scopre un avvenimento drammatico,
inimmaginabile e voluto da Dio come la divisione
dei popoli, conseguenza dell'arroganza
dell'umanità che si voleva innalzare al livello
di Dio stesso. E per tale motivo Dio ha confuso
la potenza dell'unità di linguaggio, pericolosa
perché fondamento di potenza, e ha reso
indecifrabile il dialogo, svelando l'incapacità
di comprensione diventata presto caos,
lacerazione e guerra. Sembrava un'atroce
reazione di Dio che non accettava il peccato di
insubordinazione e quindi sembrò castigo, e lo
fu; ma fu anche il tentativo di salvare
l'umanità dalla china dell'ubriacatura e dal
delirio che avrebbe portato tutti alla morte. Se
l'uomo si fa Dio, si autodistrugge e tutte le
dittature lo dimostrano. Quando il popolo
d'Israele sperimenta la sua stessa dispersione,
scopre anche la parola di Dio che interviene
alla fine del doloroso cammino. Sarà Dio che si
affaccerà alla soglia della dispersione dicendo:
" Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le
lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria"
(v 18). Nella sua umiliazione l'umanità potrà
finalmente costruire una sua unità e ritornare a
capirsi. Viene così formulato l'annuncio del
pellegrinaggio dei popoli a Gerusalemme. Con
loro torna anche il popolo di Dio, disperso
dalle guerre e dalle deportazioni. Esso sarà
offerto al Signore come un dono purificato,
portato sul monte di Gerusalemme "in vasi puri".
I superstiti delle nazioni (v.19) sono i
convertiti che saranno inviati a predicare la
fede fino ai confini del mondo, ed è curioso
scoprire che qui si parli di pagani convertiti
che diventano i primi missionari. Addirittura il
Signore chiama al sacerdozio non solo gli ebrei
dispersi senza passare dalla discendenza di
Levi, la tribù sacerdotale per eccellenza, ma
addirittura chiama stranieri convertiti perché
anch'essi possano offrire un culto al Signore.
Tutto il testo è un annuncio delle nazioni
(da notare il numero sette) che si
convertiranno.
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Romani 4,13-17 Non infatti in
virtù della legge fu data ad Abramo o alla sua
discendenza la promessa di diventare erede del
mondo, ma in virtù della giustizia che viene
dalla fede; poiché se diventassero eredi coloro
che provengono dalla legge, sarebbe resa vana la
fede e nulla la promessa. La legge infatti
provoca l'ira; al contrario, dove non c'è legge,
non c'è nemmeno trasgressione. Eredi quindi si
diventa per la fede, perché ciò sia per grazia e
così la promessa sia sicura per tutta la
discendenza, non soltanto per quella che deriva
dalla legge, ma anche per quella che deriva
dalla fede di Abramo, il quale è padre di tutti
noi. Infatti sta scritto: Ti ho costituito padre
di molti popoli; (è nostro padre) davanti al Dio
nel quale credette, che dà vita ai morti e
chiama all'esistenza le cose che ancora non
esistono.
Paolo sta sviluppando una sua convinzione assai
chiara, confermata dalla Scrittura: la fede è la
sola condizione richiesta da Dio per
giustificare l'uomo. E Abramo ne è il vero
esempio che garantisce il dono di Dio. Abramo e
Sara, anziani, ricevono da Dio più promesse: la
promessa del figlio, la promessa della terra, la
promessa di una discendenza numerosa come le
stelle del cielo e come la sabbia della spiaggia
del mare, la promessa di una benedizione per
tutti i popoli della terra, sua discendenza.
Nella fede di Abramo sono figli il popolo
d'Israele, quindi i cristiani, a sua volta,
inviati a tutte le gente e infine tutti i popoli
della terra: Sara, incredula si sente
ricordare da Dio attraverso Abramo: "Non c'è
nulla di impossibile per il Signore" (Gn 18,14).
Così Abramo, che si fida di Dio, realizzerà la
vita anche dove c'è il deserto e diventerà, da
pastore errante, proprietario di una terra e
capo di popoli, anche se poi, lui stesso, prima
di morire, resterà proprietario solo di un pezzo
di terra che aveva comperato per seppellirvi
Sara .Le promesse di Dio valicano millenni.
Abramo lo scoperse e continuò a fidarsi del
Signore. Abramo non ha compiuto nulla per
meritarsi la benedizione di Dio, ma il suo
merito è stata la fede incondizionata. Così
Paolo ricorda che non è il legame di sangue con
la stirpe di Abramo che dà diritto alle
benedizioni di Dio, ma è la fede simile a quella
del patriarca. A conclusione, in questo
brano, Paolo ricorda alla comunità dei cristiani
di Roma che la potenza di Dio non solo è capace
di ribaltare la morte offrendo la vita (Paolo è
annunciatore della risurrezione di Gesù), ma
addirittura è capace di riportare all'esistenza
ciò che non esiste.
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Giovanni
4,46-54 Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua
in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafarnao.
Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e lo
pregò di scendere a guarire suo figlio poiché stava per morire. Gesù gli disse:
"Se non vedete segni e prodigi, voi non credete". Ma il funzionario del re
insistette: "Signore, scendi prima che il mio bambino muoia". Gesù gli risponde:
"Và, tuo figlio vive". Quell'uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù
e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i servi a
dirgli: "Tuo figlio vive!". S'informò poi a che ora avesse cominciato a star
meglio. Gli dissero: "Ieri, un'ora dopo mezzogiorno la febbre lo ha lasciato".
Il padre riconobbe che proprio in quell'ora Gesù gli aveva detto: "Tuo figlio
vive" e credette lui con tutta la sua famiglia. Questo fu il secondo miracolo
che Gesù fece tornando dalla Giudea in Galilea.
Mai come oggi il vangelo entra nelle pieghe
tragiche, e normali, della nostra esistenza di uomini: il figlio morente, un
papà disperato, il grido verso Dio che sembra sempre latitante, che sentiamo
lontano soprattutto nel momento della prova. Ho pregato tanto, ma il miracolo
non è venuto! Allora: delusione, magari imprecazione, rifiuto della fede.
Molto dell'ateismo nasce dal percepire che Dio non è immediatamente utile.
Dio non serve! Ma la ribellione è l'unica strada? O c'è altro? Qual è la
fede che sa rispondere nella prova, nel dolore e di fronte alla morte? Oggi
il vangelo ci parla di una fede che ha ottenuto la vita: "Va', tuo figlio
vive!". Una fede a due scadenze, sempre buone per Gesù. "Signore, scendi
prima che il mio bambino muoia". Il primo atto di fede è sentire la propria
insufficienza e alzare il grido a Dio nella certezza di avere come
interlocutore un Padre. Anzi, un Dio che è venuto come Salvatore, cioè a dare
una mano e ad aggiustare qualcosa di rotto che da noi siamo incapaci di
risolvere. La preghiera di domanda è la prima anche nel vangelo: "Chiedete e
vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto, .. Se voi, che
siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre
vostro che è nei cieli darà cose buone quelli che gliele chiedono" (Mt
7,7-11). Mai Gesù si rifiuta di esprimere la compassione e dare la guarigione
quando si trova davanti un cuore semplice che chiede il suo intervento. Anche
di fronte ad una fede "interessata" come questa di un papà forse pagano!
Una fede che chiede con insistenza. Come quella vedova che andava dal giudice
a chiedere giustizia con tale insistenza che alla fine costui disse: "Le farò
giustizia perché non venga continuamente a importunarmi... E Dio non farà
forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?" (Lc
18,1-8). Anche con la Cananea (Mt 15,21-28) Gesù sembra porre ostacoli e
pareti quasi a far crescere l'attesa e la domanda della donna. Forse anche
questo spiega a volte i ritardi di Dio nel soccorrere. La pazienza e la
perseveranza è la prima purificazione della nostra fede. Il tutto e subito
tradisce più una pretesa che l'accoglienza di un dono. E' la magia che vuol
piegare Dio a fare quel che vogliamo noi. Gesù aveva condannato questo facile
miracolismo quando disse: "Non metterai alla prova il Signore Dio tuo" (Mt
4,7). E quanta fede sbagliata è l'enfasi che anche oggi si pone su una
religione dei miracoli e delle guarigioni carismatiche! Chiedere infine
con riserva. Riserva a lasciar fare da Dio, che vede e vuole il mio bene più
di quello che io non veda e voglia di me. A Cana di Galilea, fu la Madre di
Gesù ad accorgersi che mancava qualcosa di decisivo per la festa di cui
nessun altro si era accorto. Allora: chiedere ma con la riserva che Dio sa
meglio di noi ciò di cui abbiamo vero bisogno! Del mangiare, del bere, del
vestire.. "il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno. Cercate anzitutto
il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in
aggiunta" (Mt 6,32). D'altra parte Dio non entra in casa di nessuno se uno
non gli apre la porta. La preghiera è dare libera agibilità di Dio in casa
nostra. Agire libero di Dio, che ha fantasia di fare sorprese. Ma "noi
sappiamo che tutto concorre al bene per quelli che amano Dio" (Rm 8,28).
Gesù oggi esce in un rimprovero: "Se non vedete segni e prodigi, voi non
credete". Un richiamo per dire che forse la fede ha bisogno di uno stadio
ulteriore. Altra volta Gesù ebbe a lamentarsi: "Una generazione malvagia e
adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno se non il segno
di Giona il profeta" (Mt 12,39). Segno più che convincente è la sua
risurrezione. Su questa si deve basare una fiducia piena che sa credere a
lui.. anche senza aver visto (cf. Gv 20,29). L'esempio è Gesù al Getsemani.
Lì sembra toccare la disperazione davanti al silenzio di Dio: "Padre, se
vuoi, allontana da me questo calice!". Ma ha la forza cieca di dire:
"Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà" (Lc 22,42). Per questo sì
al Padre, Paolo chiama Gesù l'obbediente.., "facendosi obbediente fino alla
morte e alla morte di croce" (Fil 2,8). Per essere capaci di questa fede
matura è necessaria la preghiera: "Entrato nella lotta, pregava più
intensamente" (Lc 22,44). Allora "gli apparve un angelo dal cielo per
confortarlo" (Lc 22,43). Cosa che ha più volte ripetuto di fronte alle nostre
prove: "Pregate per non entrare in tentazione" (Lc 22,40). Quando la pelle
brucia, noi siamo solo capaci di ribellarci: "Lo spirito è pronto, ma la
carne è debole" (Mt 26,41). Ad ogni messa è appunto reso presente quell'atto
di Gesù per venire a sostenere ogni giorno anche in noi quella volontà di
abbandono fiducioso in Dio. Ecco, la fede alla fine è abbandono! E' il
vertice della fede matura. L'ultima parola di Gesù fu: "Padre, nelle tue mani
consegno il mio spirito" (Lc 23,46). Senza segni, senza alcuna rete di
sicurezza razionale, c'è spazio solo per il salto di fiducia che nasce
dall'amore, dal rischio della fiducia piena, quel margine che sta al di là
d'ogni calcolo. Così pregava il beato Carlo de Foucauld: "Padre mio, io mi
abbandono a te fa di me ciò che ti piace! Qualunque cosa tu faccia di me, ti
ringrazio. Sono pronto a tutto, accetto tutto, purché la tua volontà si
compia in me e in tutte le tue creature. Non desidero niente altro, mio Dio.
Rimetto la mia anima nelle tue mani, te la dono, mio Dio, con tutto l'amore
del mio cuore, perché ti amo. Ed è per me una esigenza d'amore il donarmi, il
rimettermi nelle tue mani senza misura, con una confidenza infinita, poiché
tu sei il Padre mio". "Eredi dunque si diventa in virtù della fede,
perché sia secondo la grazia" (Epist.). Cioè sia sentito come dono gratuito
dato da Dio e non propria conquista. Forse per questo la fede ultima richiede
rischio e spogliazione. E' l'unico modo per avere la vita dal Dio della
vita. "Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Gv
10,10). La nostra è vita che ci sfugge. Solo ancorata in Gesù trova senso e
consistenza, oltre che sbocco d'eternità. Stimiamo questo modo unico di
garantirci la vita piena! |