VII domenica dopo Pentecoste

27 Luglio 2014 
Luca 13, 22-30
Riferimenti : Giosuè 4,1-9 - Salmo 77 - Romani 3, 29-31
La mia voce sale a Dio e grido aiuto; la mia voce sale a Dio, finché mi ascolti. Nel giorno dell'angoscia io cerco ilSignore, tutta la notte la mia mano è tesa e non si stanca; io rifiuto ogni conforto. Mi ricordo di Dio e gemo, medito e viene meno il mio spirito. Tu trattieni dal sonno i miei occhi, sono turbato e senza parole. Ripenso ai giorni passati, ricordo gli anni lontani.

 Giosuè 4,1-9

Quando tutta la gente ebbe finito di attraversare il Giordano, il Signore disse a Giosuè: "Sceglietevi dal popolo dodici uomini, un uomo per ogni tribù, e comandate loro: Prendetevi dodici pietre da qui, in mezzo al Giordano, dal luogo dove stanno immobili i piedi dei sacerdoti; trasportatele con voi e deponetele nel luogo, dove vi accamperete questa notte". Allora Giosuè convocò i dodici uomini, che aveva designati tra gli Israeliti, un uomo per ogni tribù,  e disse loro: "Passate davanti all'arca del Signore vostro Dio in mezzo al Giordano e caricatevi sulle spalle ciascuno una pietra, secondo il numero delle tribù degli Israeliti,  perché diventino un segno in mezzo a voi. Quando domani i vostri figli vi chiederanno: Che significano per voi queste pietre? risponderete loro: Perché si divisero le acque del Giordano dinanzi all'arca dell'alleanza del Signore; mentre essa attraversava il Giordano, le acque del Giordano si divisero e queste pietre dovranno essere un memoriale per gli Israeliti, per sempre".  Fecero dunque gli Israeliti come aveva comandato Giosuè, presero dodici pietre in mezzo al Giordano, secondo quanto aveva comandato il Signore a Giosuè, in base al numero delle tribù degli Israeliti, le trasportarono con sé verso l'accampamento e le deposero in quel luogo.  Giosuè fece collocare altre dodici pietre in mezzo al Giordano, nel luogo dove poggiavano i piedi dei sacerdoti che portavano l'arca dell'alleanza: esse si trovano là fino ad oggi.

Giosuè. 4, 1-9

Il popolo d'Israele ha ormai completato il suo itinerario nel deserto ed è alle soglie della terra promessa. Mosé è morto. Egli aveva sviluppato fino alla fine della sua vita il suo compito, e aveva intravisto la terra promessa da lontano, dal monte Nebo. Ora il popolo ha bisogno di un nuovo mediatore che conosca bene la fedeltà verso Dio, il ruolo di mediazione come l'ha saputo sviluppare Mosé, il compito di reggere le tribù che debbono affrontare situazioni completamente nuove. L'ingresso nella terra promessa è segnata dallo stesso miracolo che gli ebrei hanno intravisto nel passaggio del Mar Rosso: ciò che poteva fare sbarramento, per la forza di Dio, diventa strada per sviluppare i progetti e la liberazione di Dio. Così Iahvé ordina a Giosuè di scegliere 12 uomini, uno per tribù, perché portassero 12 pietre tolte dal Giordano per costituire insieme, sull'altra riva, un altare e offrire un sacrificio di lode e di ringraziamento al Signore. Un secondo comando viene dato sempre ai 12: portare le pietre nel letto del Giordano perché siano visibili, resistendo all'impeto della corrente. Anche qui, come in altre situazioni, c'è la preoccupazione di individuare la possibilità di compiere una catechesi per le nuove generazioni: così le pietre diventano occasione di interrogativi. E' dall'interrogativo che nasce l'occasione di una memoria che renda ogni volta il senso della vita attuale come opera di Dio. Tale opera è avvenuta nel proprio passato, ma continua attraverso la fede ancora oggi. Le pietre sono come il memoriale di una salvezza e conservano una propria validità perenne, allo stesso modo di una celebrazione liturgica. Il testo sottolinea la continuità di un progetto, fatto per il popolo, indipendentemente dagli attori che, di volta in volta, sentono la colpevolezza della mediazione. È molto chiaro qui il valore dell'ubbidienza, della responsabilità, della liberazione. Il testo riprende anche la preoccupazione educativa verso le nuove generazioni e dà dei suggerimenti interessanti: bisogna porre segni, fare segnali, provocare gesti che facciano nascere domande. Se c'è la domanda, esiste anche la possibilità di penetrare nella coscienza di ciascuno, ponendovi il significato religioso. In questo caso l'azione di liberazione che Dio ha compiuto per questo popolo diventa un'azione consapevole di grazia, di dono, di riconoscimento, di coesione di popolo.

Romani 3, 29-31

Forse Dio è Dio soltanto dei Giudei? Non lo è anche dei pagani? Certo, anche dei pagani!  Poiché non c'è che un solo Dio, il quale giustificherà per la fede i circoncisi, e per mezzo della fede anche i non circoncisi.  Togliamo dunque ogni valore alla legge mediante la fede? Nient'affatto, anzi confermiamo la legge.

Romani. 3, 29-31

Una grande consapevolezza ed una quotidiana esperienza di Paolo nella propria vita è la coscienza di non poter pensare la legge come fonte di giustificazione. Paolo non toglie il valore obiettivo della fedeltà ai comandamenti, ma diventa critico sull'atteggiamento soggettivo di autosufficienza dell'osservante della legge. Non è la legge che salva, ma è la fede in Gesù che porta il dono di grazia di Dio. È Dio che libera in una pienezza di accoglienza e non è l'uomo che diventa fonte di salvezza di se stesso. Non è l'atteggiamento di vanto per le opere compiute della legge che merita una salvezza, mentre ci si appoggia su di loro; né è possibile realizzare il proprio destino raggiungendo Dio con le proprie forze. Solo nella fede l'uomo attesta la propria radicale insufficienza e quindi, mettendosi nelle mani di Dio, riceve il suo dono. In questo caso la fede apre gli occhi sulle esigenze dell'amore e incoraggia ad operare per mezzo della carità (Galati 5,6), producendo una operosità secondo lo Spirito (8,2), esso stesso dono di grazia. L'unico Dio che è di tutti, offre a tutti la strada di novità e di accoglienza al di fuori della legge mosaica. "Giudei e Greci sono tutti sotto il dominio del peccato": è la coscienza che Paolo ribadisce nei primi due capitoli della "Lettera ai romani". Ma il fatto di essere consapevoli non significa perciò essere capaci di potersi liberare dal male. E' la giustizia di Dio che ci salva, e Dio la compie attraverso un nuovo strumento di espiazione" (3,25: viene ricordato che l'arca, segno della presenza di Dio, aveva un coperchio d'oro ("propiziatorio") che il sommo sacerdote, nel giorno dell'espiazione, aspergeva con il sangue delle vittime sacrificate per ristabilire l'alleanza con Israele). In Gesù c'è una nuova presenza di Dio e il sangue di Gesù, offerto con amore sulla croce, è lo strumento di perdono per la riconciliazione con Dio. La croce di Gesù ci apre orizzonti inimmaginabili di accoglienza che Dio fa per tutti e la fede in Gesù porta a questa speranza di amore che Gesù ha per tutti gli uomini. Sono allargati fino all'inverosimile gli orizzonti del paradiso per cui incontriamo un'umanità passata e presente che non ha conosciuto Dio attraverso Gesù, ma lo ha atteso, cercato, sperato. Il Signore, con sorpresa di tutti, anche nostra, apre al mondo la pienezza della sua gioia

   Luca 13, 22-30
In quel tempo. Il Signore Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: "Signore, aprici!". Ma egli vi risponderà: "Non so di dove siete". Allora comincerete a dire: "Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze". Ma egli vi dichiarerà: "Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!". Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Con queste parole piuttosto ruvide, Gesù ci avverte di non giustificarci per i nostri peccati, facendo leva scaltramente sulla misericordia illimitata di Dio. Per questo il Signore afferma che la porta del paradiso è "stretta".
La via di Dio che conduce alla vita eterna con lui è "angusta", dice altrove. Non è un viale in discesa, su cui basta seguire la folla, comportandosi come fanno tutti... Ciò che "fanno tutti" spesso non è conforme al Vangelo, per cui alla fine, non può portarci ad una autentica felicità. E proprio per evitarci di finire in un vicolo cieco, Gesù ci avverte in anticipo che la porta del paradiso è stretta. Notiamo che il Vangelo di questa domenica inizia precisando che il Signore stava camminando verso Gerusalemme, dove sarebbe stato ucciso. Pure per lui quindi la porta d'ingresso alla risurrezione sarebbe stata stretta. Ma allora ci chiediamo: ci pare giusto che il Signore sia morto crocifisso e noi ci accontentiamo di "tirare avanti"? E' forse il cammino aspro e stretto di cui parlava Gesù? Se vogliamo seguire Cristo ogni giorno, vivendo nella fedeltà a Dio e facendo del bene agli altri, primo o poi ci troveremo anche noi a percorrere la via crucis. Ma a sostenere il nostro impegno a proseguire sulle sue orme, è la speranza che dalla croce, affrontata con i sentimenti di Gesù, sgorghi la risurrezione, come egli stesso ci ha promesso.
Mi pare anche che il Signore ci mette in guardia dal sentirsi i "primi della classe"! E' fuori luogo qualsiasi logica d'orgoglio e d'ambizione, visto che nel regno di Dio non entreranno solo i cristiani! Anzi, come insegna il Vangelo, a rischiare di più sono proprio quelli che si illudono di essere migliori degli altri! Applicando a noi questo Vangelo, dovremmo riconoscere che non basta aver ricevuto il battesimo, la prima comunione e la cresima per aver la coscienza a posto con Dio! Una cosa è sicura: è vero che la porta del paradiso è stretta, ma non è che il Padre eterno si diverta a chiuderla in faccia ai suoi figli!.