IV DOMENICA DI PASQUA
11 Maggio 2014
Giovanni. 10, 11-18
Riferimenti : Atti degli Apostoli. 6, 1-7 - Salmo 134 - Romani. 10, 11-15

Ecco, benedite il Signore, voi tutti, servi del Signore; voi che state nella casa del Signore durante le notti. Alzate le mani verso il tempio e benedite il Signore. Da Sion ti benedica il Signore, che ha fatto cielo e terra.

Atti degli Apostoli. 6, 1-7.

In quei giorni, aumentando ilnumero dei discepoli, quelli di linguagreca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli,cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola». Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fedee di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro,Nicànore, Timone, Parmenàs e Nicola, un prosèlito di Antiòchia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani.E la parola di Dio si diffondeva e ilnumero dei discepoli a Gerusalemme si moltiplicava grandemente; anche una grande moltitudine di sacerdoti aderiva alla fede.

Nei primi cinque capitoli degli Atti degli Apostoli, l’evangelista Luca sviluppa in modo intelligente e coerente il cammino di questa nuova comunità cristiana alla luce di Gesù risorto e, ricca dello Spirito del Signore, vuole vivere a Gerusalemme le scelte di Gesù, sperimentando e mettendo in pratica proposte e valori che i primi discepoli raccontano e testimoniano, parlando di Gesù.Con il cap. 6 si segnala l’inizio della rapida espansione del Vangelo in Israele fino ad Antiochia e, insieme, il racconto dei fatti quotidiani della Comunità di Gerusalemme che rivelano le iniziali difficoltà interne che mettono in crisi la fiducia reciproca e la comunione. A Gerusalemme la comunità ebraica ècostituta da ebrei e da ellenisti. Gli ebrei erano nati e cresciuti in Palestina, parlano in aramaico e, nellesinagoghe, leggono la Bibbia in ebraico, sono molto attaccati alle tradizioni dei padri ed alla legge diMosè, considerano indiscutibili le interpretazioni dei rabbini. Gli ellenisti sono nati e cresciuti all’estero. Vivono una cultura molto più aperta per la conoscenza e la convivenza con altri popoli. Ora, aGerusalemme, hanno sinagoghe proprie (pare che a Gerusalemme si possono contare sul palmo di unamano) mentre le sinagoghe degli ebrei sono alcune centinaia.La Comunità cristiana è costituita, in maggioranza, da ebrei nati in Israele ma anche da ellenisti. Nell’assistenza quotidiana sorge una lamentela della minoranza, costituita da ellenisti, poichérimproverano una certa trascuratezza nel confronto delle vedove di questo gruppo. E’ interessanteverificare allora il metodo seguito per risolvere la tensione.Gli Apostoli riconoscono la situazione di difficoltà e decidono di sviluppare, diversificando, ruoli e compiti. Non accusano, non rivendicano un loro potere insindacabile, ma si preoccupano della elezionedei “sette”, tutti di origine greca (lo si vede dal nome), che si occupino dell’assistenza quotidiana e, inparticolare, delle mense. Ai poveri non si danno soldi, che, in questo mondo contadino, sono molto rari,ma ci si preoccupa di interventi per esigenze quotidiane. E’ sempre molto interessante scoprire la scelta coraggiosa di riconoscere alla minoranza dei cristiani ellenisti la responsabilizzare della gestione dellemense, oltre al lavoro pastorale nella comunità degli ellenisti stessi. In altri termini chi si lamenta diventail responsabile nuovo della gestione. Da notare che la gestione prevede anche un certo significativopotere economico: raccolta di fondi, gestione delle risorse, commercio per far funzionare ogni giorno le mense. In pratica tutti i problemi economici passano ai laici di minoranza.Tra i “sette” almeno due, Stefano e Filippo, svolgono anche un prezioso lavoro di predicazione, aperto ai pagani e una riflessione biblica nuova: interpretare il Vecchio Testamento alla luce dei fatti e delle paroledi Gesù.Il numero 7 può derivare dal poter dedicare un giorno la settimana per un volontariato che non puòeliminare il proprio lavoro nel resto della settimana.Nel brano sorgono anche le linee fondamentali di questa piccola comunità in crescita e si profilano lescelte essenziali (o ministeri) della Chiesa: il servizio della Parola, il servizio liturgico della preghiera e ilservizio dell’assistenza ai poveri. Viene usata la parola “diaconia”(servizio) e si parla della “imposizionedelle mani”. Da questa parola verrà più tardi la parola “diacono” che identificherà questo compito diservizio nella Comunità cristiana. Il Concilio Vaticano II ha lungamente discusso la riproposta del“diaconato permanente”, scelto nel popolo di Dio. Da secoli il diaconato è rimasto ormai solo come un momento di passaggio al sacerdozio. Ora, il “diacono permanente” fa parte del clero, non è un anticipodel sacerdozio. Dopo molte discussioni, è stato accettato che fosse sposato. La prospettiva del diaconatopermanente è possibile, però, solo se la moglie accetta per il marito questa responsabilità e servizio. E icompiti sono legati ai tre funzioni della Chiesa a cui il diacono partecipa: il servizio della Parola, il servizio liturgico della preghiera e il servizio dell’assistenza ai poveri.Ma l’ufficio corrispondente al diaconato si definirà più tardi. E’ interessante notare che la Chiesa articolale sue funzioni, non solo ancorandosi al suo inizio ma anche cercando di dare risposte varie a secondodei problemi che man mano si affacciano nel proprio cammino storico. Essa si struttura, infatti, ancheper le necessità concrete che emergono, al fine di vivere in comunione. E’ anche una comunità senzapregiudizi, coraggiosa e fiduciosa, che affronta i disagi, rileggendoli in positivo come richiamo ad una responsabilità comune e ad una efficiente collaborazione.

Romani. 10, 11-15

Fratelli,dice la Scrittura: Chiunque crede in lui non sarà deluso. Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come invocheranno colui nel quale non hanno creduto? Come crederanno in colui del quale non hanno sentito parlare? Come ne sentiranno parlare senza qualcuno che lo annunci? E come lo annunceranno, se non sono stati inviati? Come sta scritto: Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annuncio di bene!

Paolo si preoccupa di aiutare a scoprire che il centro della fede: è Gesù. Tale centralità deve essere nel cuore e sulla labbra di ciascuno: “Perché se con la tua bocca proclamerai: «Gesù è il Signore!», e con iltuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede perottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza”. Accogliere Gesùrichiede un profondo e coraggioso atto di fede per cui con la bocca e con il cuore crediamo e accettiamo che Gesù è il Signore, vissuto tra noi, crocifisso e risorto. La bocca e il cuore sono due vie importanti peresprimere la fede (10,8).Il cuore è il luogo delle scelte, delle decisioni, delle appartenenze. Nel cuore matura e si sviluppa la fedenel Signore Gesù morto e risorto e quindi una coerente coscienza morale. In questo caso il cuoreproclama la signoria di Gesù sulla nostra vita e quindi la sua unicità e il suo valore per poterci unire inpienezza. La bocca proclama ed offre la novità gioiosa che il Signore ci ha offerto gratuitamente e perquesto ci elegge messaggeri per tutto il mondo. Attraverso noi, che crediamo, scopriamo le scelte di Gesù che sono scelte per tutti gli uomini, senza distinzione. “Poiché non c’è distinzione fra Giudeo eGreco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano” (v 12). Paolo ciricorda allora la fondamentale parità di dignità agli occhi di Dio per ogni uomo e donna e, insieme, ciricorda quel desiderio che il Signore ha di aiutare e salvare ogni persona. Così ci ha “inviati”. Come battezzati stiamo scoprendo la vocazione di essere fondamentalmente missionari, vivendo in noil’urgenza ed esprimendo attorno a noi questa notizia portentosa della scelta che Dio fa di ciascuno. E’una scelta di dignità e di valore, scelta di accoglienza e privilegiata, scelta che si sviluppa ogni giornonella concretezza di quotidiana operosità, nel lavoro e nelle amicizie, nella politica e negli affetti familiari. Nulla è escluso dalla testimonianza che non suppone cose eccezionali, ma responsabilità,attenzione, competenza, accoglienza. In tal modo si manifesta che Gesù è risorto per tutti.

   Giovanni. 10, 11-18
In quel tempo.Il Signore Gesù disse ai farisei: « Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono –vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenarioe non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E hoaltre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama:perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno mela toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere diriprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Ci si è mai domandati come mai nella liturgia delle domeniche pasquali, i passi del vangelo presentatisi preoccupino di mettere in evidenza la sollecitudine di Gesù a rendersi presente e Vivo, nelleconsuetudini abituali dei discepoli ?Giovanni scrive per la sua comunità di Efeso, che evidentemente si sente minacciata: siamo alla fine delI secolo, in una grande città cosmopolita dell’Asia Minore, dove i discepoli per lo più sono ormai diorigine ellenica. E Giovanni utilizza un’immagine del mondo semitico, quella del pastore. Un’immagine ambigua, perchè, se da una parte richiama la figura biblica di Dio come pastore del suopopolo che guida in mezzo alle difficoltà e ai travagli del deserto, dall’altra sa che i ‘pastori’nell’immaginario cittadino non godono di buona fama, ma sono considerate figure un po’ losche. Gesù afferma di essere il”pastore” vero (questo è il più esatto significato della parola greca kalòs), coluiche non abbandona mai le pecore che gli sono affidate, che le conosce ad una ad una, anzi è pronto adare la vita per esse.E’ una persona vera, del popolo, che vuole dimostrare di esserci (la Pasqua è un non venir meno dellapresenza del Dio Vivo). Anzi di continuare a stabilire e a mantenere un rapporto: pastore e pecore si riconoscono alla voce, in modo così profondo e vero dall’essere paragonati al “come” del Padre e delFiglio.Ecco: vivere la Pasqua, credere nel Vivente qui ed ora, richiede di riconoscere la voce del pastore e ditutte le pecore, perché ci possa essere un ovile simile all’Eden, dove appunto tutti si conoscono, sicomprendono e si amano.Ma per noi che cosa vuol dire riconoscere la voce del pastore, in mezzo ai rumori dilatati delle piazze edelle chiese?Credo che si debba ripartire dalla Galilea degli alfabeti, là dove si cominciano a recuperare i suonifondanti le parole, l’uso sapiente di esse, il valore che esse assumono nello spessore del silenzio, il sensoche porta a conoscere e riconoscere.Davvero crediamo di riconoscere la voce di Gesù e di sapere che tipo di rapporto vuole stabilire conciascuno di noi?