II domenica di Quaresima
(Signore,tu solo hai parole di vita eterna)
16 marzo 2014
Giovanni 4, 5-42
Riferimenti : Esodo 20, 2-24 - Salmo 18 - Efesini 1, 15-23
e dalla mano di Saul. Disse dunque: Ti amo, Signore, mia forza, Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore; mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo; mio scudo e baluardo, mia potente salvezza. Invoco il Signore, degno di lode, e sarò salvato dai miei nemici. Mi circondavano flutti di morte, mi travolgevano torrenti impetuosi; gia mi avvolgevano i lacci degli inferi, gia mi stringevano agguati mortali. Nel mio affanno invocai il Signore, nell'angoscia gridai al mio Dio: dal suo tempio ascoltò la mia voce, al suo orecchio pervenne il mio grido.

Esodo 20, 2-24

"Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso, che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per coloro che mi odiano, ma che dimostra il suo favore fino a mille generazioni, per quelli che mi amano e osservano i miei comandi. Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio, perché il Signore non lascerà impunito chi pronuncia il suo nome invano. Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo schiavo, né la tua schiava, né il tuo bestiame, né il forestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il mare e quanto è in essi, ma si è riposato il giorno settimo. Perciò il Signore ha benedetto il giorno di sabato e lo ha dichiarato sacro. Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio. Non uccidere. Non commettere adulterio. Non rubare. Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo". Tutto il popolo percepiva i tuoni e i lampi, il suono del corno e il monte fumante. Il popolo vide, fu preso da tremore e si tenne lontano. Allora dissero a Mosè: "Parla tu a noi e noi ascolteremo, ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo!". Mosè disse al popolo: "Non abbiate timore: Dio è venuto per mettervi alla prova e perché il suo timore vi sia sempre presente e non pecchiate". Il popolo si tenne dunque lontano, mentre Mosè avanzò verso la nube oscura, nella quale era Dio. Il Signore disse a Mosè: "Dirai agli Israeliti: Avete visto che vi ho parlato dal cielo! Non fate dei d'argento e dei d'oro accanto a me: non fatene per voi! Farai per me un altare di terra e, sopra, offrirai i tuoi olocausti e i tuoi sacrifici di comunione, le tue pecore e i tuoi buoi; in ogni luogo dove io vorrò ricordare il mio nome, verrò a te e ti benedirò.

Il Signore ha mantenuto la sua parola e perciò ha liberato il suo popolo. L'appuntamento nel deserto segue le grandi tragedie dello scontro con la potenza del Faraone e le 10 piaghe in Egitto, la paura di essere travolti dall'esercito inseguitore, la scoperta che Dio ha fatto vincere il suo popolo disarmato e l'ha condotto in salvo. Nell'appuntamento si doveva concludere il patto d'amicizia e le scelte di vita. In tal modo il Signore sul monte detta le 10 parole. Esse non sono norme giuridiche o ordini che vengono da un monarca assoluto. Sono le raccomandazioni di stile e di vita che permetteranno a questo popolo di sopravvivere a se stesso e al male del mondo e a mantenere quella libertà che il Signore ha procurato loro. Le 10 parole sono anche riportate in un'altra versione, nel libro del Deuteronomio (5,6-21): esse costituiscono così la legge fondamentale dell'Alleanza. E per intenderne il significato profondo è importante rifarsi alla introduzione e alla presentazione che Dio fa di sé all'inizio di questa proclamazione solenne: "Io sono il Signore tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù". Le 10 parole, che sono i criteri morali della vita personale e di convivenza tra popoli, corrispondono alle 10 parole della creazione attraverso cui Dio crea il mondo per poterne fare poi, un giorno, un dono all'umanità che ne sarà signora, padrona, ospite, responsabile. Ad essa spetterà il compito di continuare e sviluppare questo dono che ha ricevuto. In un mondo bello, segno dello splendore dell'intelligenza di Dio (Gn1,1-2,4) l'umanità è chiamata a lavorare e quindi a incrementare le risorse infinite poste nella realtà. I 10 comandamenti corrispondono alla stessa sapienza creatrice del creatore sul versante delle regole morali, nel rispetto e nello sviluppo della vita, della socialità e quindi dell'armonia e della pace. Quando viene Gesù, come ogni buon ebreo, Egli rispetta e valorizza la legge anche se nei Vangeli una sola volta viene ricordato un elenco incompleto (Marco 10,19) in cui comunque si garantisce che, chi rispetta la legge, è nella linea di Dio. Così i 10 comandamenti esprimono le esigenze fondamentali di una condotta autenticamente umana.
Gli avvenimenti successivi richiamati in questo brano: il timore, il richiamo della potenza dall'alto, il divieto di idoli (che vengono dalla terra), il culto e le offerte come riconoscimento del Signore, unico protettore e liberatore, aiutano ad impostare una comunità organizzata con ruoli e compiti distinti e quindi capace di ordine e non anarchica. Ma Gesù è ben consapevole che la legge ha ancor più bisogno di una sua forza propositiva che la unifichi, altrimenti c'è il rischio di un suo rispetto formale, senza capirne il senso e quindi senza aderirvi con intelligenza e con il cuore. Perciò Gesù sintetizza la legge in due parole: "Ama Dio e ama il prossimo tuo" (Mt 22 34-40); e poi, in fondo, riduce la radice della legge ad una sola dimensione interiore: "Ama il tuo fratello" (Gv 13,34-35). Paolo riporterà questa convinzione ai nuovi cristiani dell'impero: "Tutti i precetti... si riassumono in queste parole: "ama il prossimo tuo come te stesso" (Rom 13,8-9). Mentre la legge (che per gli ebrei arrivava a 613 precetti) si poteva prestare a formalismi e a comportamenti ambigui, il valore dell'amore, in fondo sempre sotteso anche nell'Antico Testamento nel rispetto della legge, viene da Gesù particolarmente enfatizzato per aprire orizzonti che non si possono mai sufficientemente chiudere né restringere, se si mette a radice del comportamento morale l'amore. Non a caso Gesù, proprio su questo, impostò il significato della sua vita e il cammino verso la croce.

Efesini 1, 15-23

Perciò anch'io, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell'amore che avete verso tutti i santi, non cesso di render grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui. Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità fra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l'efficacia della sua forza che egli manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose.
 
S. Paolo, nella lettera agli Efesini (1,15-23), svela il significato del suo ringraziamento a Dio, presentato come Padre di Gesù ( Messia glorificato) e Padre della gloria. Infatti, la gloria appartiene a Dio, anzi da lui emana e ne è la fonte. Gloria (in ebraico "pesantezza, gravità, pienezza") significa stabilità e ricchezza e quindi caratteristica fondamentale di Dio che sa ascoltare ed accogliere senza tradire mai. "L'illuminazione degli occhi" è espressione battesimale: gli Israeliti pregano Jahvé perché dia loro occhi illuminati (Salmo 13,3; 19,8) e sappia aprire la mente allo Spirito della sapienza per conoscere la speranza racchiusa nella divina chiamata, la ricchezza dell'eredità celeste promessa, la straordinaria grandezza della potenza di Dio. Viene qui ripreso il mistero di Gesù nei suoi diversi aspetti: risurrezione, ascensione, regalità universale, misteriosa e operante presenza nella Chiesa. La potenza di Dio sottomette a Gesù gli esseri celesti, le potenze, le autorità presenti e future (Col 1,16). Con Cristo sta la Chiesa, la comunità dei chiamati. Essa si sviluppa e vive sulla terra, destinata ad essere ricolma della presenza dell'amore di Dio. Nella dimora di Dio che ospita Gesù risorto e lo vede seduto alla destra dell'Onnipotente si impostano rapporti nuovi in tutta la creazione. Come re orientale, vince e mette tutto sotto i suoi piedi: niente nell'universo gli si sottrae ma tutto è alle sue dipendenze. La Chiesa. che è corpo di Gesù, spazio della pienezza di Dio e di Cristo che tutto include, ha un grande compito che si sviluppa nel tempo attraverso i credenti. Rassicurati di fronte al male e alle potenze, sono invitati a vivere con amore e senza paura questa novità che Gesù porta nel mondo e che desidera sia conosciuta e amata, diventando speranza per tutti.

 
Vallata, al centro il pozzo gi Giacobbe.
Chiesetta con il pozzo di Giacobbe
 Giovanni 4, 5-42
Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c'era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: "Dammi da bere". I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: "Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?". I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: "Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: "Dammi da bere!", tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva". Gli disse la donna: "Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?". Rispose Gesù: "Chiunque beve di quest'acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna". "Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua". Le disse: "Và a chiamare tuo marito e poi ritorna qui". Rispose la donna: "Non ho marito". Le disse Gesù: "Hai detto bene "non ho marito"; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero". Gli replicò la donna: "Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare". Gesù le dice: "Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità". Gli rispose la donna: "So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa". Le disse Gesù: "Sono io, che ti parlo". In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: "Che desideri?", o: "Perché parli con lei?". La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: "Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?". Uscirono allora dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: "Rabbì, mangia". Ma egli rispose: "Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete". E i discepoli si domandavano l'un l'altro: "Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?". Gesù disse loro: "Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete. Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro". Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: "Mi ha detto tutto quello che ho fatto". E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: "Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo".

 
Giovanni (4,5-42) racconta l'episodio della samaritana, richiamando il viaggio che Gesù compie dalla Giudea alla Galilea (v 3): vuole sviluppare la conoscenza di Gesù, ricordando la rivelazione fatta alla Samaritana, ai discepoli e ai Samaritani tutti. Vi è una introduzione storico-geografica (vv 4-6) e una conclusione storico-teologica (vv 39-42). Il racconto si svolge in due grandi scene: il dialogo di Gesù con la Samaritana (vv 7-26) e quello con i discepoli (vv 31-38) in un itinerario in cui ritornano i discepoli mentre la Samaritana va in città ad annunciare (vv 27-30). Il colloquio con la Samaritana è diviso in due parti (vv 31-34 e 35-38). In tutto il testo si sviluppa la conoscenza progressiva dì Gesù: un giudeo (v 9), uno più grande di Giacobbe (v 12), un Signore, capace di compiere un prodigio (v 15), un profeta (v 19), il Messia che viene alla fine della storia (vv 25-26,29), l'inviato del Padre che, a sua volta, invia (vv 34-38) il Salvatore del mondo ( v 42). In un incontro che va oltre le regole, tra una donna samaritana, eretica ed un maestro giudeo, Gesù, si assiste ad una sconcertante rivelazione di Gesù stesso, apparentemente piena di fraintesi e tuttavia mantenuta viva da una donna con una attenzione coraggiosa e profonda. La samaritana prende coscienza del suo bisogno e della esigenza di chiarezza interiore e Gesù capisce che, al di là delle apparenze, la donna è desiderosa di capire e di ricevere. La domanda predominante: "Chi è colui che ti parla?" (v 10) ha due risposte. Gesù è Messia (v 26) e Gesù è Salvatore del mondo (v42), proclamato solennemente. Varie riflessioni sì profilano: Gesù è acqua viva, rivelazione e Spirito, esigente di una conversione del cuore. Egli propone un culto genuino, invia nel mondo chi crede in Lui per la salvezza di tutti. La Samaritana, donna disincantata, lontana da Dio ma coraggiosa, intenta a deviare i tentativi di Gesù di farla riflettere su se stessa, e tuttavia non fugge davanti a Lui. Con tutte le sue perplessità, alla fine accetta di fare un cammino di ricerca e di fedeltà per arrivare alla verità. E' colei che scopre veramente l'acqua viva. Ma è anche colei che per prima, avendo accolto la novità di Gesù, si fa missionaria presso i suoi concittadini. Si dimentica addirittura del suo bisogno di acqua. Abbandona la brocca e corre in città ad invitare i suoi ad un incontro con il Messia. E d'altra parte, il messaggio che viene proposto è ancora oggi difficile da intravedere. "Vivere e adorare il Padre in spirito e verità" è davvero più esigente delle nostre preoccupazioni di culto, pur importante? Sappiamo davvero declinare tale messaggio nella vita quotidiana, nel lavoro e in famiglia?