ULTIMA DOMENICA DOPO L'EPIFANIA
(DEL PERDONO)
2 marzo 2014
Luca 15,11-32
Riferimenti : Osea 1,9;2,710-16-18-21-22 - salmo 102 - Romani 8,1-4
Preghiera di un afflitto che è stanco e sfoga dinanzi a Dio la sua angoscia. Signore, ascolta la mia preghiera, a te giunga il mio grido. Non nascondermi il tuo volto; nel giorno della mia angoscia piega verso di me l'orecchio. Quando ti invoco: presto, rispondimi. Si dissolvono in fumo i miei giorni e come brace ardono le mie ossa. Il mio cuore abbattuto come erba inaridisce, dimentico di mangiare il mio pane. Per il lungo mio gemere aderisce la mia pelle alle mie ossa.

Osea 1, 9a; 2, 7b-10. 16-18. 21-22

Il Signore disse a Osea: «La loro madre ha detto: “Seguirò i miei amanti, / che mi danno il mio pane e la mia acqua, / la mia lana, il mio lino, / il mio olio e le mie bevande”. / Perciò ecco, ti chiuderò la strada con spine, / la sbarrerò con barriere / e non ritroverà i suoi sentieri. / Inseguirà i suoi amanti, / ma non li raggiungerà, / li cercherà senza trovarli. / Allora dirà: “Ritornerò al mio marito di prima, / perché stavo meglio di adesso”. Non capì che io le davo / grano, vino nuovo e olio, / e la coprivo d’argento e d’oro, / che hanno usato per Baal. / Perciò, ecco, io la sedurrò, / la condurrò nel deserto / e parlerò al suo cuore. / Le renderò le sue vigne / e trasformerò la valle di Acor / in porta di speranza. / Là mi risponderà / come nei giorni della sua giovinezza, / come quando uscì dal paese d’Egitto. / E avverrà, in quel giorno / – oracolo del Signore – / mi chiamerai: “Marito mio”, / e non mi chiamerai più: “Baal, mio padrone”. / Ti farò mia sposa per sempre, / ti farò mia sposa / nella giustizia e nel diritto, / nell’amore e nella benevolenza, / ti farò mia sposa nella fedeltà / e tu conoscerai il Signore».
Osea è il profeta che apre la serie detta dei «Profeti Minori». Predicò nell'VIII sec. a.C. in Israele, poco dopo il profeta Amos, mentre matura la rovina di quel regno scismatico del nord (721 a.C.) che si era separato dal regno di Giuda dopo la morte di Salomone (931 a.C.). Il contesto storico vive mutamenti drammatici: le minacce assire, l'assedio e la presa di Samaria, quindi l'insicurezza e la paura, l'instabilità e il senso di abbandono. Il profeta rifiuta il culto degli dei della natura (Baal), e vive questo abbandono come un adulterio che viene fatto verso Dio. La sua predicazione attinge all'esperienza esasperante delle proprie relazioni familiari burrascose. Si è innamorato di Gomer, una prostituta sacra del tempio di Baal. Nonostante i precedenti, egli la sposa. Nascono tre figli, ma, passati alcuni anni, essa riprende la sua vita depravata, tornando agli antichi amori. Osea, angosciato, sente di essere diventato l'immagine concreta ed evidente del Dio d'Israele, tradito dal suo popolo. Così quel Dio che è stato chiamato il Liberatore, il Pastore, l'Alleato, per la prima volta è chiamato Sposo. È un'immagine ardita, che obbliga a ripensare a rapporti nuovi, di profonda intimità e amore. Il profeta rilegge la storia di Israele: la solitudine dell'Egitto, l'innamoramento gratuito della sposa disprezzata e schiava, il fidanzamento nel deserto. Così si intrecciano storia e simboli mentre la sposa fiorisce in bellezza e riceve infiniti doni dalla terra su cui è stata collocata. E tuttavia non sa riconoscere colui che è veramente innamorato di lei e si allontana, perdendo la testa dietro alle altre divinità del territorio. Osea vive la sua tragedia e immagina che l'unico modo per superare l'angoscia sia quello di dimenticare: cacciare di casa la moglie infedele, farle mancare tutto il necessario, abbandonarla a se stessa e perciò liberarsene. Ma Osea si rende conto che è impossibile dimenticare e insieme scopre quanto sia impossibile a Dio dimenticare Israele. La tattica del castigo non porta a nulla e Osea decide di umiliarsi davanti a Gomer per riconquistarla. Così i versetti dal 16 al 22 raccontano i progetti del nuovo fidanzamento sia di Osea sia di Dio. Il verbo che viene usato per annunciare le nuove nozze con Israele (usato nella Bibbia 11 volte) è riferito alle ragazze vergini. Dio è capace di dimenticare il male e restituisce lo splendore della verginità alla prostituta. E il regalo di nozze di Dio è costituito da cinque doni: la giustizia, il comportamento corretto, l'accoglienza che porta misericordia, l'amore e la fermezza nella fedeltà allo sposo. Quando verrà Gesù, Egli si dirà lo sposo che porterà i doni preziosi e unici della fedeltà di Dio fino alla morte. Egli è l'Agnello e la Chiesa sarà la sua sposa (Ap 21,9).

Romani 8,1-4
Non c'è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù. Poiché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte. Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito.

San Paolo, sviluppando nel capitolo 8 una riflessione sulla vita cristiana: "La vita secondo lo Spirito" (Rom 8,1-39), lo divide in tre parti: 8,1-13 "La vita secondo la carne e la vita secondo lo Spirito" ( da qui i versetti del testo); 8,14-30 "Figliolanza divina e gloria futura"; 8,31-39 "Inno all'amore di Dio". L'apostolo vuole approfondire il significato della fede in Gesù che ci dona lo Spirito. In ciascuno di noi afferma, appartenendo al corpo morto e risorto di Gesù, (7,4). avviene una trasformazione.
La legge di Mosé è, di per sé, giusta, santa; educa al bene. Ma in noi scopriamo più forte la legge del peccato che ci conduce verso il male: "Vedo ciò che è giusto, lo voglio eppure faccio il male che detesto" (7,15). "Chi mi libererà da questo corpo di morte?" (7,24). Sarà Gesù che libera. Egli ci fa passare al dominio di Dio e lo Spirito offre la sua legge (8,2). Questa trasformazione è possibile poiché Gesù ha preso la nostra stessa carne mortale. Le nostre debolezza e peccaminosità sono state, esse stesse, come la nostra carne, trasferite in Lui, il Giusto, il Santo.
Morendo, la sua carne e il male che ha preso su di sé sono stati distrutti nella morte. In lui prende possesso, come in noi, lo Spirito del risorto. Così da Gesù ereditiamo nuovi stili e valori che inglobano ancora, e insieme superano, l'eccezionale sapienza della Prima Alleanza, "la giustizia della legge" (8,4). Il superamento, per l'unione a Cristo, mediante la fede, si riassume nel comandamento dell'amore. "La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge infatti è la carità" (13,10 vedi anche Gal 5,14 e già Mt 22,40.). Ora viviamo nella pienezza della maturità e accogliamo, nello Spirito, la ricchezza finale di Gesù che completa ciò che Dio, lungo i secoli, aveva detto, educando il suo popolo. Come cristiani, siamo continuamente richiamati a vivere la forza della presenza dello Spirito che abita ogni giorno in noi e stabilisce alleanza e comunione con Dio e con Gesù. Perciò nella quotidianità dovrebbero sparire, o almeno ridimensionarsi, la paura, il pessimismo, la rassegnazione.

 
immagine figliol prodigo (Rembrandt)

Luca 15,11-32
Disse ancora: "Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno gliene dava. Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre. Quando era ancora lontano il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato".

Luca 15,11-13: La decisione del figlio più giovane. Un uomo aveva due figli. Il più giovane chiede una parte dell'eredità che gli spetta. Il padre divide tutto tra i due e tutti e due ricevono la loro parte. Ricevere l'eredità non è un merito. É un dono gratuito. L'eredità dei doni di Dio è distribuita tra tutti gli esseri umani, sia giudei che pagani, sia cristiani che non cristiani. Tutti ricevono qualcosa dall'eredità del Padre. Ma non tutti la curano allo stesso modo. Così, il figlio più giovane parte e va lontano e sperpera la sua eredità in una vita dissipata, allontanandosi dal Padre. Al tempo di Luca, il più anziano rappresentava le comunità venute dal giudaismo, e il più giovane, le comunità venute dal paganesimo. Ed oggi chi è il più giovane ed il meno giovane?
• Luca 15,14-19: La delusione e la volontà di tornare a casa del Padre. La necessità di procurarsi il cibo fa sì che il giovane perda la sua libertà e diventi schiavo per occuparsi di porci. Riceve un trattamento peggiore dei porci. Questa era la condizione di vita di milioni di schiavi nell'impero romano al tempo di Luca. La situazione in cui si trova fa sì che il giovane ricordi come si trovava nella casa di suo padre. Fa una revisione di vita e decide di tornare a casa. Prepara perfino le parole che dirà al Padre: "Non merito di essere tuo figlio! Trattami come uno dei tuoi impiegati!" L'impiegato esegue ordini, adempie la legge della servitù. Il figlio più giovane vuole adempiere la legge, come lo volevano i farisei e gli scribi nel tempo di Gesù (Lc 15,1). Di questo i missionari dei farisei accusavano i pagani che si convertivano al Dio di Abramo (Mt 23,15). Al tempo di Luca, alcuni cristiani venuti dal giudaismo, si sottomisero al giogo della legge (Gal 1,6-10).
• Luca 15,20-24: La gioia del Padre quando incontra il figlio più giovane. La parabola dice che il figlio più giovane era ancora lontano di casa, ma il Padre lo vede, gli corre incontro e lo riempie di baci. L'impressione che ci è data da Gesù è che il Padre rimase tutto il tempo alla finestra per vedere spuntare il figlio dietro l'angolo! Secondo la nostra maniera umana di sentire e di pensare, l'allegria del Padre sembra esagerata. Non lascia nemmeno finire al figlio di dire le parole che ha in bocca. Nessuno ascolta! Il Padre non vuole che il figlio sia suo schiavo. Vuole che sia figlio! Questa è la grande Buona Novella che Gesù ci porta! Tunica nuova, sandali nuovi, anello al dito, vitello, festa! Nell'immensa gioia dell'incontro, Gesù lascia trasparire com'era grande la tristezza del Padre per la perdita del figlio. Dio era molto triste e di questo la gente si rende conto ora, vedendo l'immensa gioia del Padre per l'incontro con il figlio! E' una gioia condivisa con tutti nella festa che fa preparare.
• Luca 15,25-28b: La reazione del figlio maggiore. Il figlio maggiore ritorna dal lavoro nel campo e trova la casa in festa. Non entra. Vuole sapere cosa succede. Quando gli viene detto il motivo della festa, si arrabbia e non vuole entrare. Rinchiuso in se stesso, pensa avere il suo diritto. Non gli piace la festa e non capisce il perché della gioia del Padre. Segno questo che non aveva molta intimità con il Padre, malgrado vivesse nella stessa casa. Infatti, se l'avesse avuta, avrebbe notato l'immensa tristezza del Padre per la perdita del figlio minore ed avrebbe capito la sua gioia per il ritorno del figlio. Chi vive molto preoccupato nell'osservanza della legge di Dio, corre il pericolo di dimenticare Dio stesso! Il figlio più giovane, pur essendo lontano da casa, sembrava conoscere il Padre meglio del figlio maggiore che viveva con lui! Perché il più giovane ebbe il coraggio di tornare a casa dal Padre, mentre il maggiore non vuole entrare più in casa del Padre! Non si rende conto che il Padre, senza di lui, perderà la gioia. Poiché anche lui, il figlio maggiore, è figlio così come il minore!
• Luca 15,28a-30: L'atteggiamento del Padre e la risposta del figlio maggiore. Il padre esce dalla casa e supplica il figlio maggiore di entrare in casa. Ma costui risponde: "Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso." Anche il figlio maggiore vuole festa ed allegria, ma solo con i suoi amici. Non con il fratello e nemmeno con il padre, e non chiama nemmeno fratello, suo fratello minore, bensì "questo tuo figlio", come se non fosse più suo fratello. E lui, il figlio maggiore, parla di prostitute. E' la sua malizia che gli fa interpretare così la vita del fratello più giovane. Quante volte il fratello maggiore interpreta male la vita del fratello più giovane! Quante volte noi cattolici interpretiamo male la vita e la religione degli altri! L'atteggiamento del Padre è aperto. Lui accoglie il figlio più giovane, ma non vuole nemmeno perdere il figlio maggiore. I due fanno parte della famiglia. L'uno non può escludere l'altro!
• Luca 15,31-32: La risposta finale del Padre. Nello stesso modo, come il Padre non fece attenzione agli argomenti del figlio minore, così neanche fa attenzione a quelli del figlio maggiore e dice: "Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato!" Il maggiore era veramente consapevole di stare sempre con il Padre e di trovare in questa presenza la ragione della sua gioia? L'espressione del Padre "Tutto ciò che è mio, è tuo!" include anche il figlio minore che è ritornato! Il maggiore non ha diritto a fare distinzioni, e se vuole essere figlio del Padre, deve accettarlo com'è e non come gli piacerebbe che il Padre fosse! La parabola non dice quale fu la risposta finale del fratello maggiore. Resta a carico del figlio maggiore, che siamo noi!
• Chi sperimenta l'irruzione gratuita e sorprendente dell'amore di Dio nella sua vita diventa gioioso e vuole comunicare questa gioia agli altri. L'azione salvatrice di Dio è fonte di gioia: "Rallegratevi con me!" (Lc 15,6.9) E da questa esperienza della gratuità di Dio nasce il senso di festa e di gioia (Lc 15,32). Al termine della parabola, il Padre chiede di essere contenti e di fare festa. La gioia è minacciata dal figlio maggiore, che non vuole entrare. Pensa di aver diritto ad una gioia solo con i suoi amici e non vuole condividere la gioia con tutti i membri della stessa famiglia umana. Rappresenta coloro che si considerano giusti ed osservanti, e pensano di non avere bisogno di conversione.