
IV DOMENICA di Quaresima DEL CIECO
30.03.2014
Giovanni 9, 1-38b
Riferimenti -
Esodo 34,27-35 - Salmo 35 - 2 Corinzi 3, 7-18 |
Signore, giudica chi mi accusa, combatti chi mi
combatte. Afferra i tuoi scudi
e sorgi in mio aiuto. Vibra la lancia e la scure contro chi mi
insegue, dimmi: "Sono io la tua salvezza". Siano confusi e
coperti di ignominia quelli che attentano alla mia vita;
retrocedano e siano umiliati quelli che tramano la mia sventura.
Siano come pula al vento e l'angelo del Signore li incalzi; la
loro strada sia buia e scivolosa quando li insegue l'angelo del
Signore. |
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Esodo 34,27-35
In quei giorni. Il Signore disse a Mosè: «Scrivi
queste parole, perché sulla
base di queste parole io ho stabilito
un’alleanza con te e con
Israele». Mosè rimase con il Signore quaranta
giorni e quaranta notti,
senza mangiar pane e senza bere acqua. Egli
scrisse sulle
tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole.
Quando Mosè scese dal monte Sinai – le due
tavole della Testimonianza si trovavano nelle
mani di Mosè mentre egli
scendeva dal monte – non sapeva che la pelle del
suo viso era
diventata raggiante, poiché aveva conversato con
lui. Ma
Aronne e tutti gli Israeliti, vedendo che la
pelle del suo viso
era raggiante, ebbero timore di avvicinarsi a
lui. Mosè allora
li chiamò, e Aronne, con tutti i capi della
comunità, tornò da
lui. Mosè parlò a loro. Si avvicinarono dopo di
loro tutti gli
Israeliti ed egli ingiunse loro ciò che il
Signore gli aveva
ordinato sul monte Sinai. Quando Mosè ebbe
finito di parlare a loro, si pose un velo sul
viso. Quando entrava davanti al Signore per
parlare con
lui, Mosè si toglieva il velo, fin quando non
fosse uscito. Una
volta uscito, riferiva agli Israeliti ciò che
gli era stato ordinato. Gli Israeliti, guardando
in faccia Mosè, vedevano che la
pelle del suo viso era raggiante. Poi egli si
rimetteva il velo
sul viso, fin quando non fosse di nuovo entrato
a parlare con il Signore.
Nella tragedia del tradimento il popolo, che ha
abbandonato il Dio misterioso che lo ha
liberato, costruendosi un vitello d’oro, ha
identificato Dio con un idolo visibile. In
questa
operazione, è stato coinvolto anche Aronne che
ha ricevuto “ i pendenti delle orecchie delle
donne e figlie ebree”. E’ il bottino prezioso
che gli egiziani hanno dato agli ebrei perché se
ne andassero dalla loro terra, facendo finire i
castighi del loro Dio: “(Aronne) li ricevette
dalle loro mani, li fece fondere in una forma e
ne modellò un vitello di metallo fuso. Allora
dissero: «Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che
ti ha fatto uscire dalla terra d'Egitto!» (Es
32,4). Mosè resta sconcertato, disperato e
deluso. Ma quando ormai è convinto del
fallimento totale, viene richiamato sul monte
dal Signore dopo la sconfitta dell'idolatria nel
suo popolo alle falde del monte e la distruzione
del vitello d'oro. Il Signore lo rincuora. Così
la scoperta e la verifica dell’amicizia di Dio
hanno suscitato in Mosè, ancora una volta, il
coraggio della mediazione: è tornato così il
dialogo per il popolo che avrebbe finalmente
ricevuto la Legge. Il v 27 non fa riferimento
alla seconda edizione delle 10 parole ma
all’Alleanza a ed alle clausole che il Signore
ha dettato a Mosè e che Mosè deve scrivere (il
testo inizia al v. 34,10 e termina al v. 27).
Al v.28 riprende invece il racconto della
seconda consegna della Legge e il soggetto è
sempre il Signore (Egli scrisse…). Nel mondo
antico spesso gli dei sono garanti delle leggi e
delle consuetudini, ma agli dei non è mai
attribuita la paternità delle leggi stesse. In
Israele
invece Jahve è insieme il legislatore e lo
scrittore di ciò che è essenziale nella Legge.
Con la Legge del Signore anche la persona
acquista uno splendore di cui non è neppure
consapevole ma gli altri intravedono una nuova
luminosità ed uno splendore che possono
venire solo dalla bellezza di Dio e dai suoi
doni. E il dono, che Mosè porta, è la Legge: la
sapienza del Signore che imposta la vita e le
azioni quotidiane di conoscenza e di bellezza.
Ma la sapienza non è mai capita una volta per
sempre. La conoscenza di Dio va maturata
giorno per giorno. Per questo Mosè, spesso,
ritorna al popolo ad incoraggiare, a parlare, ad
insegnare. Il velo, che continuamente mette e
smette, ci ricorda che vanno rispettate la
fragilità e la debolezza degli altri. Non per
questo si deve abbandonarli, anzi vanno
sostenuti
mentre Mosè è continuamente in rapporto con il
Signore nella tenda del convegno.
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2 Corinzi 3, 7-18 Fratelli, Se il ministero della morte, inciso in lettere su
pietre,
fu avvolto di gloria al punto che i figli d’Israele non potevano
fissare il volto di Mosè a causa dello splendore effimero del
suo volto, quanto più sarà glorioso il ministero dello Spirito?
Se già il ministero che porta alla condanna fu glorioso, molto
di più abbonda di gloria il ministero che porta alla giustizia.
Anzi, ciò che fu glorioso sotto quell’aspetto, non lo è più, a
causa di questa gloria incomparabile. Se dunque ciò che era
effimero fu glorioso, molto più lo sarà ciò che è duraturo.
Forti di tale speranza, ci comportiamo con molta franchezza
e non facciamo come Mosè che poneva un velo sul suo
volto, perché i figli d’Israele non vedessero la fine di ciò che
era solo effimero. Ma le loro menti furono indurite; infatti
fino ad oggi quel medesimo velo rimane, non rimosso,
quando si Legge l’Antico Testamento, perché è in Cristo che
esso viene eliminato. Fino ad oggi, quando si Legge Mosè,
un velo è steso sul loro cuore; ma quando vi sarà la
conversione al Signore, il velo sarà tolto. Il Signore è lo
Spirito e, dove c’è lo Spirito del Signore, c’è libertà. E noi
tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la
gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima
immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito
del Signore.
Paolo, con questo brano, non vuole disprezzare la Prima Alleanza
perché essa ha avuto un
grande valore educativo per il suo popolo e continua ad avere un
rapporto particolare con il
Signore del Patto. Tuttavia, da apostolo fedele, è sconcertato
della resistenza che il suo
popolo oppone a Gesù, inviato dal Padre. Da buon rabbino,
utilizza un esempio interessante
di “midrash”, composizione ebraica di studiosi che interpretano
liberamente, attualizzando
in chiave cristiana, un testo biblico su Mosé: egli rappresenta
una immagine anticipatoria
dello splendore del volto di Gesù come del volto dei cristiani.
La lettura della Prima Alleanza non conduce alla vita, dice
Paolo, ma alla morte perché la
Legge non offre la salvezza ma solo la coscienza del male. E’
Gesù che restituisce la
salvezza a coloro che credono. E tuttavia anche il ministero di
Mosé è un ministero glorioso.
Ancor più, dice Paolo, sarà glorioso il ministero dello Spirito.
Paolo utilizza la parola “gloria” che può essere, in pienezza,
rivolta solo a Dio e tuttavia dice
che negli anni del Primo Testamento il ministero di Mosé è
circondato dalla gloria di Dio.
Quanto più c’è, dunque, ricchezza di gloria nei nuovi ministri
di Gesù. A questo testo fa eco
un brano del Vangelo di Giovanni (pronunciato da Gesù
nell’ultima cena come preghiera
finale al Padre): “E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho
data a loro, perché siano una sola
cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché
siano perfetti nell'unità e il
mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai
amato me”. (vv 17,22-
23). La gloria di Gesù, che i credenti vedono nella fede, può
incoraggiare gli apostoli e i
cristiani a comportarsi con franchezza e a viso aperto. Questo
testo ci aiuta a ripensare al
compito della evangelizzazione così come ci viene proposta nella
nostra vita e che ci viene
indicata nella enciclica di Papa Francesco: "Evangelii Gaudium”.
Tutti noi abbiamo la
vocazione di diventare “Evangelizzatori con Spirito”.
“Evangelizzatori con Spirito vuol dire
evangelizzatori che si aprono senza paura all’azione dello
Spirito Santo. A Pentecoste, lo
Spirito fa uscire gli Apostoli da se stessi e li trasforma in
annunciatori delle grandezze di
Dio, che ciascuno incomincia a comprendere nella propria lingua.
Lo Spirito Santo, inoltre,
infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con
audacia (parresia), a voce alta e in
ogni tempo e luogo, anche controcorrente. Invochiamolo oggi, ben
fondati sulla preghiera,
senza la quale ogni azione corre il rischio di rimanere vuota e
l’annuncio alla fine è privo di
anima. Gesù vuole evangelizzatori che annuncino la Buona Notizia
non solo con le parole,
ma soprattutto con una vita trasfigurata dalla presenza di
Dio”(259).
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Ingresso
alla fonte di Gihon,scavato da Ezechia, da l'acqua alla piscina di Siloe |
Piscina
di Siloe |
Immagine
del cieco |
Giovanni 9, 1-38b
In quel tempo. Passando, vide un uomo cieco dalla nascita e
i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o
i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né
lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano
manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le
opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la
notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo,
sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece
del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’
a lavarti nella piscina di Sìloe» – che significa Inviato. Quegli andò, si lavò
e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima,
perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a
chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri
dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora
gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose:
«L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha
detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e
ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un
sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva
aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di
nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi
ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei
farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato».
Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?».
E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco:
«Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli
occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che
fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i
genitori di
colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È
questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?».
I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato
cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi,
noi non
lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i
suoi genitori, perché avevano paura dei
Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo
avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla
sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età:
chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli
dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è
un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo
so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti
ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non
avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche
voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo
discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha
parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo:
«Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto
gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che,
se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che
mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia
aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da
Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei
nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che
l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò,
gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore,
perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con
te». Ed egli disse: «Credo, Signore!».
Il miracolo del cieco dalla nascita, nella riflessione di Giovanni, diventa un
prezioso
itinerario per identificare il cammino che ogni persona compie, quando,
illuminata da Gesù,
accetta di diventare suo discepola e credente in lui. Il testo fa riferimento
alla Festa delle
Capanne (Gv 7,2): una festa popolare molto importante, dove si uniscono insieme
grandi
esplosioni di gioia con le liturgie dell’acqua e della luce. In questa festa
Gesù dice: “Se
qualcuno ha sete venga a me, e beva chi crede in me (Gv 7,37). E sempre in
questa festa
Gesù pronuncia apertamente: “Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina
nelle
tenebre ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12).
Di fronte all’incontro di un cieco dalla nascita, che suscita sempre compassione
e disagio,
nasce nei discepoli la domanda: “Perché è nato cieco?”. E la normale teologia di
tutti i tempi
risponde: “ Dio ha voluto così”; il mondo ebraico aggiunge: “Perché quest’uomo
ha
peccato”. Ma Gesù garantisce: non c’è castigo e non c’è peccato. Il problema,
quando ci si
trova di fronte al male, non è chiedersi di chi è la colpa, ma impegnarsi per
eliminare il male
dalla persona, come ha fatto Gesù. In fondo il cieco non chiede niente perché
non sa che cosa
è la luce. Ma Gesù sa che per lui è importante poter vedere poiché cambierà
totalmente la sua
vita. C’è una specie di liturgia in cui ci si immagina che la saliva sia un
insieme di alito, di
spirito e di potere di una persona. In fondo c’è il richiamo alla creazione (Gen
2,7): l’alito,
lo spirito di Gesù, il fango. Ma il cieco, per vedere, ha bisogno anche di
lavarsi nell’acqua
dell’Inviato: questo è il nome della piscina di Siloe. Qui il cieco scopre la
luce e qui
comincia l’interrogatorio. Il cieco, che si è così trasformato da non riuscire
più a riconoscerlo
con sicurezza: “E’ lui o non è lui?”, sta iniziando il cammino verso la luce,
come ogni
credente: cambia stile, diventa un uomo nuovo. Quando gli chiedono: “Come mai
vedi?”,
risponde che l’uomo Gesù ha fatto questo ma: ”Non lo conosco e non so dov’è”. E
quando
intervengono le autorità, hanno già idee precise di condanna, e quindi non si
preoccupano di
capire ciò che è accaduto: la loro autorità oscura l’intelligenza e crea persone
di pregiudizio.
Ritengono di essere nel giusto, ritengono di capire tutto, ritengono di essere
sicuri dei loro
giudizi. Ma il cieco, guarito, incomincia a ripensare con profondità: “E’ un
profeta” (v 17).
Nuovo interrogatorio con i genitori perché l’autorità spera di trovare delle
persone impaurite
o delle persone conniventi con la menzogna. I genitori si sottraggono al
giudizio, seriamente
preoccupati di ciò che potrebbe avvenire e restano silenziosi. A questo punto il
nuovo
vedente mostra il suo cammino di persona libera, coraggiosa, sincera, semplice,
preoccupato
di capire, in ricerca, superiore alle pressioni perché non vuole rinunciare né
al mondo nuovo
che gli si prospetta davanti né alla grandezza di colui che lo ha amato e
salvato. Alla fine
ritorna Gesù, che lo ha lasciato solo, ma lo ha accompagnato con lo Spirito di
sapienza. Ora
Gesù compie il dono più grande che è la sua rivelazione.
Infatti, durante il suo cammino, colui che finalmente vede ha intravisto Gesù
come “un
uomo”, quindi come “ un profeta”, “un uomo di Dio”, ma ora conclude con “Gesù
Signore”:
“Credi tu?” “Credi nel Figlio dell’uomo?” “Credo, Signore” e si prostrò”. Nelle
mani di
Giovanni quest’episodio delinea il cammino di ogni credente che raggiunge la
luce vera sul
mondo e la luce piena su Gesù. |