
Commemorazione di tutti i fedeli defunti
2 Ottobre 2014
Giovanni 5, 21-29
Riferimenti : 2 Maccabei 12, 43-46
- Salmo 129- 1 Corinzi 15, 51-57 |
| Dalla giovinezza molto mi hanno perseguitato, -
lo dica Israele - dalla giovinezza molto mi hanno perseguitato,
ma non hanno prevalso. Sul mio dorso hanno arato gli aratori,
hanno fatto lunghi solchi. Il Signore è giusto: ha spezzato il
giogo degli empi. Siano confusi e volgano le spalle quanti
odiano Sion. Siano come l'erba dei tetti: prima che sia
strappata, dissecca; non se ne riempie la mano il mietitore, né
il grembo chi raccoglie covoni. I passanti non possono dire: "La
benedizione del Signore sia su di voi, vi benediciamo nel nome
del Signore". |
|
2 Maccabei 12, 43-46
In quei
giorni. Il nobile Giuda, fatta una colletta, con
tanto a testa,per circa duemila dracme
d’argento,le inviò a Gerusalemme perché
fosse offerto un sacrificio per il peccato,
compiendo così un’azione molto buona e
nobile, suggerita dal pensiero della
risurrezione. Perché,se non avesse avuto
ferma fiducia che i caduti sarebbero
risuscitati,sarebbe stato superfluo e vano
pregare per i morti. Ma se egli pensava alla
magnifica ricompensa riservata a coloro che
si addormentano nella morte consentimenti
di pietà, la sua considerazione era santa e
devota. Perciò egli fece offrire il
sacrificio espiatorio per i morti, perché
fossero assolti dal peccato.
Il secondo
libro dei Maccabei è un seguito di lotte del
popolo d’Israele contro truppe nemiche e
contro città che depredano e ingannano la
popolazione del Signore mentre questo vuole
restare fedele alla fede dei padri. Qui si
parla, in particolare, di un combattimento
contro Gorgia, un generale siriano che poi
diventa Stratega della regione dell’Idumea
(12,22). Giuda Maccabeo ha raccolto le truppe
Israeliane e costringe alla fuga l’esercito
nemico. Ma muoiono anche dei soldati giudei. Nel
frattempo l’esercito ebreo trova ospitalità in
un città vicina: Odollam e vi si ferma per
riposarsi, tanto più che è sopraggiunto il
sabato. Ma il giorno dopo, tutti debbono
preoccuparsi di seppellire i morti poiché c’è
caldo; siamo dopo la festa della Pentecoste e
“necessità esige” (12, 39: i corpi cominciano ad
imputridirsi) che si provveda alle tombe. Ci
si rende conto,però, che sotto le tuniche di
quei soldati morti sono nascosti amuleti,
oggetti votivi e preziosi, offerti agli idoli
dai loro adoratori della città di Iamnia e che
questi guerrieri hanno vinto e depredato. Ai
giudei è vietato possederne e, tuttavia, non
sono segno di idolatria ma di cupidigia, cioè
bottino di oggetti preziosi per lucrare soldi.
Ma nella loro cultura religiosa concludono:
“Questa scoperta, dice il testo, fu a tutti
palese per quale causa costoro erano morti”
(12,40). Iniziano allora a fare una supplica
chiedendo che il peccato fosse cancellato: e
l’immagine che viene evocata è una pagina che
viene lavata facendo scomparire la scrittura.
Ci si rende conto che, in questo periodo, sia
già radicata la convinzione della risurrezione
per i morti. Il Signore è più forte della morte
e concede ai suoi amici di poter intercedere e
di influire a vantaggio dei defunti.
L’invio di 2000 dracme (circa 7 Kg d’argento),
per offrire sacrifici in espiazione e in
suffragio, rivela la convinzione della
risurrezione, legata però alla garanzia di
“addormentarsi nella morte con sentimenti di
pietà.” Anche questi soldati, lottando contro
eserciti nemici,nonostante la loro cupidigia
(il peccato per cui si prega), possono essere
stati animati dalla fede nel Dio d’Israele.
Così Giuda, il comandante e il responsabile di
questo popolo, sente di poter aiutare i
soldati che hanno dato la vita per la causa
d’Israele ed ha la convinzione che il
Signore
non avrebbe fatto mancare il giusto premio della
risurrezione eterna. Secondo la riflessione
che nasce dal libro dei Maccabei, si suppone che
ci sia un periodo di stato intermedio, dopo
la morte, per cui alle anime è permesso di
purificarsi dai loro peccati, per virtù delle
opere buone compiute dai viventi che credono e
si fidano del Signore. Proprio questo crede
la Chiesa quando incoraggia a pregare per i
defunti e pensa al tempo della purificazione
nel Purgatorio: tempo di attesa, di solidarietà,
di aiuto reciproco, di sostegno nella fede,
di richiamo reciproco a ciò che è stato
esemplare. Dovremmo fare l’inventario dei
desideri che i nostri defunti avevano e volevano
realizzare e li dovremmo rileggere alla luce
del Signore per purificarli ed esaltarli. Quindi
dovremmo capire che quella è veramente
l’eredità che ci lasciano da completare,
valorizzare, sviluppare. Il vero modo di onorare
i nostri defunti non sono i monumenti o i
mazzi di fiori al cimitero, ma la preghiera e lo
sviluppo delle loro speranze autentiche che
hanno iniziato e non hanno condotto a termine.
Ce le hanno lasciate per il nostro cammino e ci
sono grati se sviluppiamo quello che ai loro
occhi, nelle luce del Signore, hanno ora capito
veramente. |
1 Corinzi 15, 51-57 Fratelli, io
vi annuncio un mistero: noi tutti non moriremo, ma tutti
saremo trasformati, in un istante, in un batter d’occhio, al
suono dell’ultima tromba. Essa infatti suonerà e i morti
risorgeranno incorruttibili e noi saremo trasformati. È
necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta
d’incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta
d’immortalità. Quando poi questo corpo corruttibile si
sarà vestito d’incorruttibilità e questo corpo mortale
d’immortalità, si compirà la parola della Scrittura: La
morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov’è, o morte, la
tua vittoria? Dov’è, o morte, il tuo pungiglione? Il
pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è
la Legge. Siano rese grazie a Dio, che ci dà la vittoria
per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!1
Paolo ha particolarmente insistito, sulla resurrezione
in questo capitolo 15 con i cristiani di Corinto, che sono
greci e che, per questo, la loro cultura rifiuta la prospettiva
del ritorno alla vita poiché ritengono che il corpo è molto
più prigione che non grazia per giungere a Dio. Quindi
l’abbandonare il corpo sarebbe un primo dono che il Signore Gesù
offre loro. Ma la riflessione di Paolo attinge dalla
coscienza ebraica della risurrezione e soprattutto dalla fede
in Gesù che garantisce di essere risurrezione e vita. Egli ha
lottato e vinto la morte per sé e per tutti gli uomini e le
donne del mondo poiché la morte è il retaggio del peccato
nell’umanità. Paolo qui osa lanciare lo sguardo oltre il velo
della materia e oltre il tempo della storia. Non ha ricevuto
dalla dottrina degli apostoli particolari sulla risurrezione e
quindi si affida ad una rivelazione personale del Signore.
Perciò parla di mistero, cioè di rivelazione non pubblica ma
intuizione di ciò che avverrebbe alla fine. Tutti si
trasformeranno, sia i morti e sia quelli che ancora saranno
stati risparmiati dalla morte: tutti entreranno nella gloria.
Si intravede che Paolo immagina di assistere personalmente agli
avvenimenti finali. Ma non si sa nulla del “quando”. Ogni
persona riceverà un corpo glorioso e incorruttibile. Tutto il
male ed il corredo del male: morte, odio, sofferenza, fame,
violenza, malattia e vendetta saranno sconfitti: la vittoria
di Cristo sarà definitiva e completa. Qui viene anche
accennata una problematica sulla legge che sarà poi sviluppata
nella lettera ai Galati ed ai Romani. Al v.56 sono uniti
insieme la morte, il peccato e la legge. E’ il dramma della
legge ebraica, riflette Paolo: essa parla di peccato e ci svela
la bruttura e la indegnità a cui il peccato porta; però la
legge di Mosè non dà la forza di superare il peccato: la legge
svela e ci travolge con la sua debolezza che non sa sostenere la
lotta contro il male. Ci aspetteremmo, in questo splendore di
speranza, un invito non solo al ringraziamento ma anche a
sollevare gli occhi verso il traguardo dei cieli ed invece il
testo continua: “Perciò,fratelli miei carissimi, rimanete
saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del
Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (v
58). Paolo incoraggia a lavorare, ad impegnarsi poiché questo
mondo, fatto da Dio con amore e da lui salvato, ha bisogno di
amore da parte dei suoi amici perché il bene sa vincere il male
e può liberare ogni persona che viene o può essere travolta
dal male. Tutto il bene, nel nostro tempo, diventa speranza e
riscatto e vince: siamo nel dramma di guerre e di malattie, di
tensioni e di povertà. Il Signore chiede a noi e ci dà grazia
e forza per portare speranza, qui, nel nostro mondo intero, e
non solo tra noi occidentali, o alla sola nazione, o al nostro
gruppo, al nostro clan, o ai nostri familiari. Ci sono
sempre almeno 200 ragazze nigeriane fatte schiave sei mesi fa
dai miliziani diBoko Haram e sempre lontane da casa; E ci
sono migliaia di malati di Ebola in Africa per cui è
necessaria la ricerca sulla malattia. Non è possibile che ci si
muova solo quando c’è in Europa qualche ammalato infetto. E’
solo allora il tempo in cui ci si deve sentire sconvolti? E
se proprio non possiamo fare molto, resta sempre fondamentale la
preghiera di intercessione ed il parlarne con una certa
continuità con le persone che incontriamo fino alle soluzioni.
Se i nostri morti, che abbiamo amato, potessero venire ad
offrici messaggi essenziali,che essi hanno colto nella vita
ed ora ne sperimentano il valore alla luce del Signore, ci
direbbero esattamente di non scoraggiarci, di continuare ad
osare, di cercare e sperimentare nel bene, nel meglio, nel
nuovo con la speranza di diffondere la novità del Signore, la
gioia del vivere, la forza dell’accoglienza e della generosità,
la solidarietà a cominciare da chi non ha risorse. |
Giovanni 5, 21-29
In quel
tempo. Il Signore Gesù diceva alle folle dei Giudei: «Comeil Padre
risuscita i morti e dà la vita,così anche il Figlio dà la vita a chi
egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni
giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il
Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha
mandato. In
verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui
che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è
passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene
l’ora– ed è questa – in cui i morti udranno
la voce del Figlio di Dio
e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno. Come infatti il Padre ha la
vita in se stesso, così ha concesso anche al
Figlio di avere la vita in
se stesso, egli ha dato il potere di giudicare,perché è Figlio
dell’uomo. Non meravigliatevi di questo: viene l’ora
in cui tutti
coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e
usciranno, quanti
fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti
fecero il male per
una risurrezione di condanna»
Il
testo del vangelo di Giovanni è molto consolante: “In verità, in verità io vi
dico:chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato ha la
vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla
vita.”E altrove ripete che non è venuto per giudicare e condannare, ma
per dare la vita e darla in abbondanza. Bisogna ascoltare la sua
Parola. Sembrerebbe facile. Ma ascoltare la Sua Parola significa
fidarsi di Lui e affidarsi completamente al suo messaggio evangelico.
Vuol dire, cioè, cambiare mentalità, capovolgere il modo di vivere che
normalmente è incentrato su se stessi, guardare l’umanità e il mondo con gli
occhi di Dio. Sono parole che ci mettono in crisi.
A sentirle o
leggerle così superficialmente sembra tutto semplice: ma sì, che cosa
costa credere in questo Gesù di cui si parla da più di duemila anni? E’ stato
un profeta sfortunato, è finito male, anche se era buono con tutti; e ha
detto e fatto delle cose che sembrano inverosimili, ma si può anche
credergli; tutt’al più non sarà vero. Il fatto è che “ascoltare” è
molto più che ‘udire’; ascoltare significa aderire, capire,mettere in
gioco se stessi. In questo caso vuol dire credere che la vita è più forte
della morte (e non è facile con tutto quello cui assistiamo), perché il
Dio che ci rivela Gesù è il Dio che è Amore, Vita, Relazione: il
Dio-con-noi. Il Dio dell’incontro, il Dio che non ci vuole perdere.
Come una mamma, come un papà. Per questo è possibile che Gesù dica: COME
il Padre risuscita (cioè, comunica la sua vita) i morti, COSI’ anche il
Figlio dà la vita-Pensiamoci a fondo.
|