
II DOMENICA DI AVVENTO
(figlio del regno)
24 novembre 2013
Luca 3, 1-18
Riferimenti :
Baruc 4, 36 - 5, 1-9 - Salmo 50 -
Romani 15, 1-13
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| Parla il Signore, Dio degli dei, convoca
la terra da oriente a occidente. Da Sion, splendore di bellezza,
Dio rifulge. Viene il nostro Dio e non sta in silenzio; davanti
a lui un fuoco divorante, intorno a lui si scatena la tempesta.
Convoca il cielo dall'alto e la terra al giudizio del suo
popolo: "Davanti a me riunite i miei fedeli, che hanno sancito
con me l'alleanza offrendo un sacrificio". |
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Baruc 4, 36 - 5, 1-9
Così dice il Signore Dio:Guarda a oriente,
Gerusalemme, osserva la gioia che ti viene da
Dio. Ecco, ritornano i figli che hai visto
partire, ritornano insieme riuniti, dal sorgere del
sole al suo tramonto, alla parola del Santo,
esultanti per la gloria di Dio. Deponi, o
Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione,
rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene
da Dio per sempre. Avvolgiti nel manto della
giustizia di Dio, metti sul tuo capo il diadema di
gloria dell’Eterno, perché Dio mostrerà il tuo
splendore a ogni creatura sotto il cielo. Sarai
chiamata da Dio per sempre: «Pace di giustizia»
e «Gloria di pietà». Sorgi, o Gerusalemme, sta’
in piedi sull’altura e guarda verso oriente; vedi i
tuoi figli riuniti, dal tramonto del sole fino al suo
sorgere, alla parola del Santo, esultanti per il
ricordo di Dio. Si sono allontanati da te a piedi,
incalzati dai nemici; ora Dio te li riconduce in
trionfo, come sopra un trono regale. Poiché Dio
ha deciso di spianare ogni alta montagna e le
rupi perenni, di colmare le valli livellando il
terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la
gloria di Dio. Anche le selve e ogni albero
odoroso hanno fatto ombra a Israele per
comando di Dio. Perché Dio ricondurrà Israele
con gioia alla luce della sua gloria, con la
misericordia e la giustizia che vengono da lui.
L’immagine di Gerusalemme, che ci viene data dal profeta, è
quella della vedova a cui sono stati
strappati anche i figli, oltre a quella dell’aver perso il
marito. Essa siede per terra, con gli abiti del lutto e
il velo sul capo. Non si alimenta più, non si lava, non mette
più profumi. E’ una donna disperata e senza
futuro. Gerusalemme è rimata sola a piangere e i figli sono
stati dispersi.
Ma l’invito, che viene fatto a Gerusalemme dal profeta, è
quello della sorprendente notizia: i figli
tornano dopo tanto tempo.
L’esilio a Babilonia è durato circa 50 anni e poi il dominio
di Babilonia si è concluso con la vittoria di
Ciro, re dei Medi e dei Persiani, che ha rimandato alle
proprie terre i deportati che desideravano tornare.
Così l’invito a Gerusalemme è quello di alzarsi e di correre
in cima al monte, di guardare verso oriente
da cui stanno arrivando i figli deportati e li sentirà
cantare come fanno i pellegrini alla vista di
Gerusalemme, lassù sul monte Sion. Perciò “deponi gli
abiti di afflizione e rivestiti dello splendore che ti
viene da Dio”. Gerusalemme è invitata a cambiare l'abito.
Il vestito dimostra, soprattutto nel mondo
ebraico, la dignità, la gloria, la grandezza e lo splendore
interiore di chi indossa abiti maestosi. Non
serve solo a ripararsi dal freddo o proteggere il pudore, ma
il vestito dimostra e qualifica nel proprio
mondo il significato e l’onore della persona stessa.
Gerusalemme diventa splendente e unica: si riveste
della gloria che viene da Dio, mostrando la sua bellezza
interiore a tutti i popoli, diventando attraente
perché è rivestita del "manto della giustizia di Dio». E la
giustizia, nel VT, è fedeltà, lealtà, solidarietà;
perciò la bellezza è costituita da interiore splendore e
coerenza di generosità.
Gerusalemme riceve un nome nuovo: «pace della giustizia e
gloria della pietà».
Per un semita il nome non è una designazione convenzionale
ma, particolarmente legato alla persona,
ridefinisce il ruolo, la vocazione e apre a progetti e
visioni nuove. Prima dell’esilio Gerusalemme
significa “città della pace”. Nel mondo il tema della pace
porta brividi di gioia, ma qui, dopo l’esilio, si
aggiungono due nomi: “giustizia e pietà”. La pace si
fonda sulla giustizia e non sulla soggezione o sulla
conquista che ha snervato ogni resistenza, La pietà indica
una vera religiosità profonda che si collega
alla bellezza ed alle scelte di Dio e rende un tutt’uno la
volontà di Dio e l’adesione a Lui.
Gli esuli si sono allontanati a piedi, con tutte le
deformazioni e i limiti della chiusura, gli odi e le
inimicizie, i rifiuti, deportati fisicamente e soprattutto
schiacciati e profondamente delusi nel cuore. Ora
ritornano con il volto dell'amicizia, pieni di energia,
accompagnati dal Signore che rende possibile una
speranza nuova di coesione, di pace e di responsabilità.Il
popolo si riunisce nella coerenza e nella gioia
di saper ricostruire un futuro con l’aiuto di Dio. Israele ha
riconosciuto il suo male nell’esperienza della
misericordia di Dio e Dio stesso gioisce nel ricostituire il
suo popolo.
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Romani 15, 1-13
Fratelli, noi, che siamo i forti, abbiamo il
dovere di portare le infermità dei deboli, senza
compiacere noi stessi. Ciascuno di noi cerchi di
piacere al prossimo nel bene, per edificarlo.
Anche Cristo, infatti, non cercò di piacere a se
stesso, ma, come sta scritto: Gli insulti di chi ti
insulta ricadano su di me. Tutto ciò che è stato
scritto prima di noi, è stato scritto per nostra
istruzione, perché, in virtù della perseveranza e
della consolazione che provengono dalle
Scritture, teniamo viva la speranza. E il Dio
della perseveranza e della consolazione vi
conceda di avere gli uni verso gli altri gli stessi
sentimenti, sull’esempio di Cristo Gesù, perché
con un solo animo e una voce sola rendiate
gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù
Cristo. Accoglietevi perciò gli uni gli altri come anche
Cristo accolse voi, per la gloria di Dio. Dico,
infatti, che Cristo è diventato servitore dei
circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel
compiere le promesse dei padri; le genti invece
glorificano Dio per la sua misericordia, come sta
scritto: Per questo ti loderò fra le genti e
canterò inni al tuo nome. E ancora: “Esultate,
o nazioni, insieme al suo popolo”. E di nuovo:
“Genti tutte, lodate il Signore; i popoli tutti lo
esaltino”. E a sua volta Isaia dice: “Spunterà ille
nazioni: in lui le nazioni spereranno.” Il Dio della
speranza vi riempia, nel credere, di ogni
gioia e pace, perché abbondiate nella speranza
per la virtù dello Spirito Santo. rampollo di Iesse, colui
che sorgerà a governare
Paolo è preoccupato che ci siano armonia e concordia, ma sa
che spesso si costituiscono gruppi che
creano tensioni e non permettono di costruire insieme una
casa (edificare). Si parla “di forti e di
deboli”. In questo caso i primi versetti sono un richiamo
ai forti, tra cui anche Paolo sente di
appartenere. I forti stanno sperimentando un cristianesimo di
libertà e di rigore allo stesso tempo, poiché
hanno davanti agli occhi lo stile di Gesù che continua ad
essere fedele al Padre, ma è insofferente delle
formalità o delle tradizioni degli antichi, scambiate come
volontà di Dio, e che invece risultano spesso
essere scelte umane. E ha riscontrato che ci si appella alle
formalità mentre si dimentica la volontà di
Dio e la sua misericordia.
I deboli, che sembrano una minoranza, sono persone che si
aggrappano alle tradizioni, alla lettera della
legge e questa loro fedeltà costa critiche, diffidenze ed
esasperazioni. Paolo è preoccupato che questo
popolo nuovo di Gesù non sappia vivere in coerenza e armonia
e quindi non sappia “edificare” con
buone fondamenta.
L’esempio di Gesù è di grande conforto poiché ha mantenuto
l’Alleanza e quindi, sulla Parola, che Dio
ha dato, ha costituito un Popolo privilegiato nella
appartenenza e nelle conoscenze. E i pagani scoprono,
nella misericordia, di cui Gesù si è fatto garante con il suo
sacrificio e la sua non violenza (Sal 18,50),
l’accoglienza e l’adesione al mondo del Dio della creazione e
della salvezza.
Paolo raccomanda a tutti la concordia e il reciproco
rispetto, a somiglianza di Gesù che non si è
preoccupato di sé, anzi di sé si è dimenticato e si è messo a
disposizione di tutti. E, in questo caso, Paolo
insiste su citazioni di universalismo e di carità poiché
istintivamente gli ebrei portano nel cuore il disagio
di dover condividere coi pagani la stessa fede a Gesù. La
Scrittura ci ripete di ricordare l’impegno della
perseveranza che ci viene dall’essere stati istruiti dai
profeti e da Gesù stesso, perseveranza che porta
consolazione e chiarezza alle nostre stesse esigenze. Senza
riferimento alla Scrittura, infatti rischiamo di
costruirci un cristianesimo legato all'emotività, alla
sensibilità delle nostre ideologie, ai mezzi di
comunicazione sociale, alle ambiguità di comportamento che
noi credenti esprimiamo nella nostra vita.
Paolo fa intendere che le critiche più dure e le insofferenze
resistono per abitudini acquisite nel tempo
per forme di diffidenza, di discriminazione, di intolleranza,
sorte per eredità culturali e formazioni
ideologiche: esse deformano ogni rapporto intenso e ogni
stima reciproca.
Nella Comunità cristiana queste diffidenze sono disastrose e
inquinano ogni testimonianza. Esse sono
alla base delle ingiustizie, dei privilegi e dei gruppi di
potere.
L’ultimo versetto richiama le parole chiave del messaggio di
Paolo: “Speranza, gioia, pace fede”. Sono iniziate la
testimonianza e la salvezza di Gesù che ci ha consegnato la
speranza di un cammino, protetto
dalla forza delle Spirito.
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fiume
Giordano, ove Giovanni battezzò Gesù |
Luca 3, 1-18
Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio
Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore
della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e
Filippo, suo fratello, tetrarca dell’ Iturea e della
Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene,
sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola
di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel
deserto. Egli percorse tutta la regione del
Giordano, predicando un battesimo di
conversione per il perdono dei peccati, com’è
scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la
via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni
colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno
diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo
vedrà la salvezza di Dio! Alle folle che andavano a farsi battezzare da
lui, Giovanni diceva: «Razza di vipere, chi vi ha
fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque frutti degni
della conversione e non cominciate a dire fra voi: “Abbiamo
Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da
queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Anzi, già la scure è posta
alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto
viene tagliato e gettato nel fuoco». Le folle lo
interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due
tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia
altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a
farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che
cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro:
«Non esigete nulla di più di quanto vi è stato
fissato». Lo interrogavano anche alcuni
soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?».
Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete
niente a nessuno; accontentatevi delle vostre
paghe». Poiché il popolo era in attesa e tutti,
riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor
loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose
a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma
viene colui che è più forte di me, a cui non sono
degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi
battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in
mano la pala per pulire la sua aia e per
raccogliere il frumento nel suo granaio; ma
brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Con molte altre esortazioni
Giovanni evangelizzava il popolo.
Con questo testo Luca inizia il capovolgimento della realtà umana: è la
rivoluzione di Dio che si fa
Parola e presenza, iniziando da un profeta finora anonimo che la gente sta
incominciando a conoscere:
Giovanni Battista. L’evangelista vuole identificare il momento esatto della
novità che cambierà la terra e
quindi colloca in un riferimento cronologico l’avventura di Giovanni, colui
che precede il Messia. Ci
troviamo tra il 1° ottobre del 27 a.C. al 30 settembre del 28 a.C., “
nell’anno quindicesimo dell’impero di
Tiberio Cesare” ( in Palestina l’anno inizia dal 1° ottobre). Vengono
segnalati 7 personaggi per
sintetizzare tutto l’arco delle istituzioni civili e religiose, e viene
ricordato anche il sommo sacerdote
Anna che da 13 anni non è più in carica, ma continua con le sue interferenze
ad essere presente nella vita
di Israele. Cosi Luca raggiunge il numero 7 che segna la totalità.
La Parola di Dio sorge nel deserto, dove c’è aridità, ma anche il ricordo
della liberazione. E’ il luogo
della fiducia di Dio e della tentazione, del coraggio di fidarsi e luogo
della disperazione. Giovanni riceve
e corre. La Parola di Dio esige che sia comunicata poiché non è una proprietà
privata, né un tesoro da
custodire in cassaforte ma un fuoco che deve purificare e cambiare. Questa
Parola che nasce nel deserto
deve poter essere accolta nel cuore per ridimensionare il mondo e renderlo
luogo della non violenza,
della fedeltà e della fiducia al Padre, luogo di perdono e di condivisione.
Il profeta Baruc, che abbiamo letto nella prima lettura, ha citato lo
splendore di una strada che Dio
costruisce per aiutare il popolo al ritorno, Giovanni cita lo stesso testo
dicendo che è responsabilità
dell’uomo costruire una strada su cui Dio passa. Non sono in contraddizione,
ma spetta all’uomo togliere
gli ostacoli perché il Signore venga da noi: e gli ostacoli sono 4,
l’orizzonte della terra. Per fortuna il
testo greco elenca tutto al futuro, restituendoci la gioia di una novità: “Ogni
burrone sarà riempito: fa
riferimento alle diseguaglianze economiche ed agli sfruttamenti; ogni
monte e ogni colle sarà abbassato:
superbia, alterigia arroganza nel proprio stile di vita ma servizio; le
vie tortuose diverranno diritte:
astuzie, scelte insensate ed egoiste ma pulizia di rapporti; e quelle
impervie, spianate: egoismi e
individualismi che rinchiudono le persone in blocchi e gruppi contrapposti”.
IL v 6 in greco non dice “uomo” ma dice: “ogni carne: “Ogni uomo vedrà la
salvezza di Dio”: è l’uomo
nella sua debolezza, fragilità, povertà, malattia, decadenza di vecchiaia. In
ogni debolezza si manifesterà
la salvezza: e questo viene detto all’inizio del vangelo di Luca.
Ma alle folle vengono tolte le garanzie di salvataggio, le vie di fuga, le
soluzioni segrete, gli espedienti, i
trucchi, le scappatoie: “Fate dunque frutti degni della conversione e non
cominciate a dire fra voi:
“Abbiamo Abramo per padre!”. E le folle incominciano a domandarsi: “Che
cosa dobbiamo fare?” E’ un
buon segno quando qualcuno pone questa domanda. Sta incominciando a pensare
ad un cambiamento,
sta facendo sgretolare le proprie difese che gli garantivano la fuga. Quali
risposte? Non sono di tipo
religioso: “prega, confessati, va a messa”. Giovanni pone scelte che
ridimensionano e fanno rivedere
atteggiamenti legati all’attenzione e all’amore del prossimo. E si rivolge a
situazioni particolari di adulti:
le persone impegnate nel proprio normale lavoro, i pubblicani che si
arricchiscono alle dipendenze dei
conquistatori, esigendo le tasse anche per loro e arricchendosi, i soldati.
A tutti chiede il rispetto del prossimo: chi possiede deve condividere con
chi è povero, e questo per tutti,
chi maneggia il danaro deve restaurare un rapporto di giustizia e non
prevaricazione o raggiro, chi è
soldato non può approfittare della sua forza per derubare un altro, prendendo
le scuse di avere salari
troppo bassi.
A conclusione, Luca dice che Giovanni “evangelizza il popolo”, e
significa che Giovanni offre parole di
consolazione (“buone notizie”) poiché apre speranze, attesa di novità
a chi di noi inizia a mettere mano
ad una conversione, mentre è in attesa della novità di Dio. Siamo al vero
inizio dell’attesa e alla
prospettiva di riconoscerci un popolo, visitato da Dio.
Papa Francesco non dice cose tranquille eppure ci aiuta a sperare e ci
consola con il proporre le esigenze
del credente nei confronti del Padre e del nostro prossimo, a riguardo del
danaro e del rispetto degli altri. |