
VII DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
12 ottobre 2014 Matteo 13, 3b-23
Riferimenti : Isaia 65, 8-12 - Salmo 80 -Prima lettera ai Corinzi 9, 7-12
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| Il popolo di Dio ascolta la sua voce. «Ascolta,
popolo mio: “Non ci sia in mezzo a te un dio estraneo e non
prostrarti a un dio straniero. Sono io il Signore, tuo Dio, che
ti ha fatto salire dal paese d’Egitto”. Ma il mio popolo non ha
ascoltato la mia voce,Israele non mi ha obbedito: l’ho
abbandonato alla durezza del suo cuore. Seguano pure i loro
progetti! Se il mio popolo mi ascoltasse! Se Israele camminasse
per le mie vie! Lo nutrirei con fiore di frumento, lo sazierei
con miele dalla roccia». |
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Isaia 65, 8-12
Dice
il Signore: «Come quando si trova succo in un
grappolo, si dice:“Non distruggetelo, perché
qui c’è una benedizione”, così io farò per
amore dei miei servi, per non distruggere
ogni cosa. Io farò uscire una discendenza da
Giacobbe, da Giuda un erede dei miei monti. I
miei eletti ne saranno i padroni e i miei
servi vi abiteranno. Saron diventerà un
pascolo di greggi, la valle di Acor un
recinto per armenti, per il mio popolo che mi
ricercherà. Ma voi,che avete abbandonato il
Signore,dimentichi del mio santo monte, che
preparate una tavola per Gad e riempite per
Menì la coppa di vino, io vi destino alla
spada; tutti vi curverete alla strage, perché
ho chiamato e non avete risposto, ho parlato
e non avete udito.Avete fatto ciò che è male
ai miei occhi,ciò che non gradisco, l’avete
scelto».
Tutto il capitolo 65 sviluppa il contrasto
religioso esistente sul territorio della
Palestina dopo ilritorno da Babilonia (siamo
dopo il 539 a.C.). I nuovi venuti dall’esilio
portano il loro bagaglio disofferenza, ma
insieme riscoprono il proprio entusiasmo e la
propria fiducia nel Signore.Perciò la
popolazione ora è composta da un popolo
residente, rimasta sul territorio durante i 70
anni di deportazione e dell’altra parte di una
popolazione più significativa: culturalmente,
religiosamente ed economicamente, deportato
eppure sempre vivo, mantenendo e alimentando la
propria lontananza da Gerusalemme nei ricordi e
in un notevole impegno religioso. Questa parte
sidistingue dai primi che si sono trovati
disorientati, senza strutture, senza sacerdoti e
senza tempio equindi hanno accettato
l’idolatria. I nuovi venuti rappresentano una
speranza forte e coraggiosa chenon li ha
fatti confondere con i vincitori. E con la
speranza, hanno mantenuto la loro fedeltà alla
Parola di Dio, ai riti e alle morale mosaica.
Tornando vogliono restaurare una nazione santa,
responsabile e fedele.Il profeta sa di dover
trasmettere due messaggi diversi, eppure ambedue
di grande novità perricostituire un futuro
per tutti. Il Signore garantisce: “Se in un
grappolo di uva ormai seccata, c’èancora
qualche acino col succo, il Signore non dice:
“Distruggetelo”. Egli benedice e continuerà la
fertilità e l’abbondanza, nasceranno da Giacobbe
la discendenza delle 12 tribù; non ci sarà
sterilitàma spazi e pascoli sui terreni che
diventeranno sempre più produttivi. Il terreno
coltivabile andràda Saron, l’occidente e il
nord della Palestina con i grandi pascoli, alla
valle di Acor, l’oriente e ilsud della terra
d’Israele che è deserto improduttivo. Il segno
di Dio, per il mondo ebraico, è la
produttività, il lavoro per tutti e il lavoro
che rende. Non bisogna mai dimenticare che uno
deidrammi di questo popolo, e spesso
sperimentato, è il piantare la vigna e il
seminare senza averepossibilità di raccolto
perché, nel frattempo, gli eserciti sono passati
ed hanno depredato edistrutto. Seminare e
raccogliere è il concreto segno della pace e
della fraternità che Dio benedice.Gad e Meni
sono divinità che molta parte del popolo
idolatra venera: Gad è la dea della Fortuna
(conosciuta anche da noi) e Meni (sconosciuto ma
etimologicamente significa “destino”),
probabilmente, è una divinità per propiziare il
futuro. Non a caso il versetto 12 comincia
propriocon “Io destino”.Questo testo fa
ricordare Abramo e la supplica coraggiosa e
carica di fiducia al Signore di frontealla
distruzione di Sodoma e Gomorra (Gen 18,22-33);
ci fa ricordare la più curiosa preghiera di
intercessione giocata sulla riduzione matematica
della presenza di giusti in un popolo. Abramo
iniziò da 50 e arrivò fino a 10: “Se ci fossero
50 giusti…se ci fossero 10 giusti, distruggerai
questopopolo malvagio?” E il Signore garantì
per 10 giusti. Ma, probabilmente non si
trovarono 10 giustie le città furono
distrutte.Qui i fedeli ritornati
rappresentano l’intercessione vivente di cui Dio
si fa protettore e garante.Finché giunge
Gesù, “il solo giusto” che si offre per tutti e
tutti noi continuiamo a ricevere lagaranzia
di Dio per amore del suo Figlio.Siamo tutti
disorientati della violenza che si sta
sviluppando ai confini dell’Europa mentre in
Europa la violenza è legata alle nostre coriacee
ideologie: il rifiuto dell’altro, il disprezzo e
losfruttamento delle donne e dei poveri, il
rigetto dell’immigrato, la denigrazione
dell’avversario.Per quanto piccoli, deboli o
vecchi possiamo essere, non dobbiamo dimenticare
che la nostrapreghiera di intercessione è
grande e potente sul cuore di Dio. Va ricordata
la parabola del giudiceiniquo (Lc 18,1-8).
“Insistendo, anche l’ingiusto giudice è mosso a
fare giustizia. Ancor più Dioche sa
ascoltare la preghiera insistente e continua:
essa dimostra coraggio, fedeltà e fiducia nella
sua generosità”.
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Prima lettera ai Corinzi 9, 7-12
Fratelli, E chi mai presta servizio militare a proprie spese?
Chi pianta una vigna senza mangiarne il frutto? Chi fa
pascolare un gregge senza cibarsi del latte del gregge? Io
non dico questo da un punto di vista umano; è la Legge che
dice così. Nella legge di Mosè infatti sta scritto: Non
metterai la museruola al bue che trebbia. Forse Dio si prende
cura dei buoi? Oppure lo dice proprio per noi? Certamente fu
scritto per noi.Poiché colui che ara, deve arare
sperando, e colui che trebbia, trebbiare nella speranza di
avere la sua parte. Se noi abbiamo seminato in voi beni
spirituali, è forse gran cosa se raccoglieremo beni
materiali? Se altri hanno tale diritto su di voi, noi non
l’abbiamo di più? Noi però non abbiamo voluto servirci di
questo diritto, ma tutto sopportiamo per non mettere
ostacoli al vangelo di Cristo. Il capitolo 9, da cui sono tratti i versetti di questa
liturgia, svolge una pesante polemica con molticristiani che
non vogliono riconoscere Paolo come apostolo e quindi non lo
ritengono in diritto dialcune attenzioni e offerte per la
vita propria e del proprio seguito, compreso la moglie o una
collaboratrice, se non c’è una moglie, come per Paolo (9,5).
Paolo sa di potersi fidare della Comunità che lo ha accolto e
quindi per loro sviluppa la suariflessione sui diritti e i
doveri di un buon apostolo. Prende esempio “dal soldato, dal
contadino edal pastore” ai quali si riconoscono una paga per
il compito che svolgono. Essi si nutrono dei fruttidel
proprio lavoro. E Paolo lo dice per una normale ragione umana e
però sente di essere sostenutoanche dalla Legge del Signore
che “vieta di mettere la museruola al bue che trebbia”. Da buon
rabbino, ricorda che tutta la legge è un richiamo, diretto o
indiretto, al comportamento del popolod’Israele.Nel
nostro tempo, tuttavia, tale comando si può leggere anche come
attenzione al bisogno di unanimale: è un richiamo ad una
corretta responsabilità su tutto il creato vivente.Paolo è
consapevole che con la conoscenza e il dono dei beni spirituali
si offrono beniincommensurabili, con un valore molto più
alto dei beni materiali. Ma questo può essere valutatosolo
da chi ne apprezza il significato (e il confronto si ritrova
anche nella lettera ai Romani.15,27). Comunque beni materiali
sono solo quei beni necessari alla vita: con la missione non ci
si puòarricchire.Chiarito questo diritto, ed è una
riflessione educativa che andrebbe sempre fatta nella nostra
società rispetto ai molti che ci creano benefici: dagli
insegnanti ai magistrati, dai meccanici ailavoratori
pubblici, siano essi impiegati, postini o operatori ecologici
(spazzini) e i tanti altri chelavorano per noi. Tutti
contribuiscono a rendere il nostro mondo più umano e più
vivibile.Nella Scrittura più volte vengono ricordati
l’impegno della povertà e il diritto all’essenziale per
vivere: Mt 10,10: “né sacca da viaggio, né due tuniche, né
sandali, né bastone, perché chi lavora hadiritto al suo
nutrimento”. Precisi suggerimenti incoraggiano i missionari ad
inserirsi nella famigliache li ospita, comportandosi come
persone della famiglia stessa: e se insegnano, debbono pure
lavorare insieme a tutti gli altri senza pretendere un salario.
Lc,10,7-8:“Restate in quella casamangiando e bevendo di
quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua
ricompensa. Nonpassate da una casa all'altra. 8Quando
entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che
vi sarà offerto”.E nella lettera ai Galati (6,6), Paolo
riprende: “Chi viene istruito nella Parola, condivida tutti i
suoibeni con chi lo istruisce”. Così nella 1 Tim 5,17-18,
riprende la stessa argomentazione utilizzatasopra: “I
presbìteri che esercitano bene la presidenza siano considerati
meritevoli di un duplicericonoscimento, soprattutto quelli
che si affaticano nella predicazione e nell'insegnamento. Dice
infatti la Scrittura: Non metterai la museruola al bue che
trebbia, e:Chi lavora ha diritto alla suaricompensa”.Ma,
a questo punto, però Paolo ritorna sulle sue scelte di gratuità,
a cui tiene sopra ogni cosa: “ Noiperò non abbiamo voluto
servirci di questo diritto, ma tutto sopportiamo per non mettere
ostacoli alVangelo di Cristo.” (9,12).La gratuità è la
migliore presentazione del Vangelo, il cui elemento fondamentale
è esattamente ildono: da parte di Dio al mondo, da parte di
Gesù all’umanità violenta e omicida, da parte deicristiani
ad un contesto chiuso ed egoista, da parte degli innocenti a
coloro che li perseguitano. E’difficile la gratuità ed è
difficile credervi. La si capisce e la si riconosce nella
continuità, nellafedeltà, nella fiducia, spesso nella
dolcezza anche se non sempre si sa reggere con gratuità di
frontealla malvagità. Eppure con la gratuità si sa
riconoscere la ricchezza di cuore di colui o colei che,
diversi da noi, sono lontani dalle nostre scelte. |
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Tratto di terreno palestinese che richiama la parabola del
seminatore. In primo piano è visibile una strada; più in su una zona di
terreno misto a pietre, al cui centro è visibile un cespuglio di cardi
spinosi; più in su ancora una striscia di buon terreno ove la semina è
cresciuta. |
Matteo 13, 3b-23
In quel tempo. Il Signore Gesù disse:«Ecco, il seminatore uscì a seminare.
Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la
mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta
terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò
il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde
sui
rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono
e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi,
ascolti».Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a
loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i
misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha,
verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche
quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole:perché guardando non
vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Così si
compie per loro la
profezia di Isaia che dice:Udrete, sì, ma non comprenderete,guarderete,
sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato
insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché
non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchie non comprendano
con il cuore e non si convertano e io li guarisca! Beati invece i vostri
occhi perché vedono e i vostri orecchi perché
ascoltano. In verità io vi
dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato
vedere ciò che voi
guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate,ma non lo
ascoltarono! Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore.Ogni volta che
uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il
Maligno e
ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato
lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che
ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è
incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa
della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che
ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della
ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul
terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto
e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».
Parabola notissima, seguita da spiegazione. Tanto nota che non ci fa
più problema. Caso mai cisoffermiamo ad analizzare i terreni e a cercare di
collocarci (in quale?).Mi fanno pensare le prime parole: “Ecco, il
seminatore uscì a seminare”-Il seminatore, come tutti sappiamo, è Dio e
l’immagine è presa dal mondo contadino: è unseminatore un po’ strano perché
sembra che non si preoccupi dove cada la semente.Difatti per Dio
l’importante è seminare ovunque, senza linee di demarcazione e senza limiti. Il
suogesto è ampio, sovrabbondante, generoso.Ma per ‘seminare’ esce:
sembrerebbe ovvio, ma, se andiamo al di là del significato letterale e ne
cerchiamo uno più profondo viene da pensare a questa ‘uscita’ di Dio, che è poi
una suaprerogativa di sempre: Dio si dona e dona sempre. E dona qualcosa che
fa crescere, che non lasciacome prima. E’ appunto ‘semente’.Gesù ci viene ad
insegnare ad uscire per seminare l’amore diDio nel mondo; uscire da noi
stessi, dalle nostre idee, dai nostri rifugi e dalle nostre cautele, senza
aspettare le stagioni opportune o rispettare le regole o metterci in un
cantuccio (tanto c’è semprequalcun altro, non tocca a me). Occorre che il
cuore diventi sensibile, capace di ascoltare, al di làdelle ristrette ed
egoistiche vedute che ci caratterizzano, anche se pensiamo che non ci
riguardino.Allora, desiderare di vedere e di ascoltare la Parola e l’Amore
di Dio, anche se vengono presentatecome cose risapute e forse anche un po’
noiose, ci fa rientrare nella beatitudine degli occhi chevedono e degli
orecchi che ascoltano, perché alla fine, aguzzando la vista e acuendo l’udito,
sigiunge a percepire la novità e il significato profondo di ogni “parola”
pur ascoltata infinite volte,che sembra non dirci più niente. Non importa se
non abbiamo tutti gli attrezzi o se siamoincompetenti, se utilizziamo mezzi
spettacolari o palcoscenici e piazze. L’amore nasce dal cuore edalla nostra
apertura all’Amore infinito. Credendoci. |