
VI DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
5 ottobre 2014 Luca 17, 7-10.
Riferimenti : Giobbe 1, 13-212 - Salmo - Timoteo 2, 6-15. |
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Giobbe 1, 13-21.
Un giorno
accadde che, mentre i suoi figli e le sue
figlie stavano mangiando ebevendo vino in
casa del fratello maggiore, un messaggero
venne da Giobbe e gli disse: «I buoi stavano
arando e le asine pascolando vicino ad essi.
I Sabei hanno fatto irruzione, li hanno
portati via e hanno passato a fil di spada i
guardiani. Sono scampato soltanto io per
raccontartelo».Mentre egli ancora parlava,
entrò un altro e disse: «Un fuoco divino è
caduto dal cielo: si è appiccato alle pecore
e ai guardiani e li ha divorati. Sono
scampato soltanto io per raccontartelo».
Mentre egli ancora parlava, entrò un altro e
disse: «I Caldei hanno formato tre bande:
sono piombati sopra i cammelli eli hanno
portati via e hanno passato a fildi spada i
guardiani. Sono scampato soltanto io per
raccontartelo». Mentre egli ancora parlava,
entrò un altro e disse: «I tuoi figli e le
tue figlie stavano mangiando e bevendo vino
in casa del loro fratello maggiore,
quand’ecco un vento impetuoso si è scatenato
da oltre il deserto: ha investito i quattro
lati della casa, che è rovinata sui giovani e
sono morti. Sono scampato soltanto io per
raccontartelo». Allora Giobbe si alzò e si
stracciò il mantello; si rase il capo, cadde
a terra, si prostrò e disse: «Nudo uscii dal
grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il
Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia
benedetto il nome del Signore!».
Giobbe (ebr. Iob) è la
figura centrale del più profondo e del più
poetico dei libri sapienziali dell'AT. Esiste
un racconto in prosa, che inquadra il testo
poetico, e che ci trasporta a Uz, a sud di Edom.
Giobbe vi è descritto come un importante
pastore, ricco e credente in Dio, la cui fedeltà
è messa alla prova per istigazione di Satana
(vedi versetti precedenti). I suoi beni e la sua
stessa famiglia conosceranno le peggiori
catastrofi e infine egli sarà colpito da una
ripugnante malattia. Il nemico di Dio e
dell’uomo scommette con Dio su Giobbe. Egli è
fedele perché la sua fedeltà gli produce
benessere e ricchezza. Se Dio lo prova e gli
toglie questo benessere, anche Giobbe rifiuterà
Dio elo bestemmierà. Dio accetta e
permetterà tutto ciò perché si fida di Giobbe
mentre Satana pretende di essere sicuro che
Giobbe sarebbe rimasto fedele solo nella
prosperità (2,6).Ambientata in un paese
favoloso, anche per quel tempo, dell’Antico
Medio Oriente, il protagonista,Giobbe, un
fedele di Dio, non è ebreo perché è straniero.
La vicenda si svolge nella terra di Uz, che
non è territorio di Israele. In tal modo la
rivelazione al popolo d’Israele si completa
poiché si indica che Dio è attento e presente
in tutto il mondo e con tutti gli uomini. Perciò
Giobbe è una figura universale: la sua
esperienza appartiene ad ogni uomo, in ogni
tempo e luogo. Rappresenta l’uomo giusto,
prima ricco e felice, e poi improvvisamente
colpito dalla sventura. Perde i figli, i beni,
la salute. Sarà cacciato anche di casa dalla
moglie e si rifugerà su un mucchio di immondizie
e di cenere. La moglie, stanca di quest’uomo
per la sua fedeltà incrollabile, urlerà, alla
fine: “Rimani ancora saldo nella tua
integrità? Maledici Dio e muori!” (2,9).Lo
stesso nome del protagonista è drammaticamente
eloquente: Giobbe può significare: " dov'è il
padre? "; e anche si scrive nello stesso modo
della parola “nemico”. Tutto questo prefigura il
dramma e si potrebbe interpretare il suo nome
con la sua vita: "Sei tu per me un Dio padre
nemico?", oppure " Sarò io nemico per te?”
Oppure " Perché, Dio, mi tratti come un nemico?
".Il dramma di Giobbe è l’immagine che ci si
fa di Dio. I tre amici teologi di Giobbe -
Elifaz, Bildad, Sofar - hanno una
incrollabile certezza che Dio, il Potentissimo,
è sempre giusto. Perciò, di fronte a Giobbe,
non sanno decidere altrimenti: Giobbe è punito
per qualche peccato nascosto. Se Giobbe fosse
giusto, non soffrirebbe. Giobbe sa che questa
conclusione è falsa, ma, nello scompiglio del
suo stato, vede ovunque segni dell'arbitrio di
Dio, con cui si lamenta, ma a cui, nello stesso
tempo,s'appella per il giudizio finale.
ll giusto invece, dice il libro di Giobbe,
sopporta la prova e ritrova prosperità e
felicità (42,10).Secondo l'opinione più
diffusa tra gli studiosi, il libro di Giobbe
potrebbe avere avuto origine tra ilV e il
III secolo a. C..Nelle due prime sezioni
della Bibbia, la Legge e i Profeti, Dio è al
centro della storia; egli infatti interviene
nella storia del suo popolo, dona la sua
alleanza, stringe il suo patto / promessa, si
rivela nella sua legge. Il profeta parla a
nome di Dio e proclama la sua Parola. Nei
libri sapienziali, al contrario, è l'essere
umano al centro. Dio dà alla persona umana piena
responsabilità sul mondo e sulla sua vita e il
libro di Giobbe, nel suo contesto sapienziale,
si rivela come riflessione critica dell'uomo
sull'uomo, sulla sua ricerca della felicità e
sulla sofferenza, sui suoi giudizi su Dio e
il senso della propria giustizia. Egli pretende
di misurare la potenza assoluta di Colui che
è il mistero stesso, con il metro umano. Se Dio
è onnipotente e giusto, si pensa, deve
premiare il bene e castigare il male. E
invece ci si imbatte in un destino crudele dove
l’uomo, per quanto giusto, viene travolto dal
male e dalla sofferenza, entrambe lette
all'interno del disegno di Dio riguardo gli
uomini. E solo quando Giobbe cesserà di
pretendere giustizia (40,1ss), (42,1ss), la
misericordia del Signore farà giustizia. La
Sua giustizia si compirà finalmente in Giobbe
che avrà ritrovato l'illuminata e piena fede
con un'abbondanza che sorpassa di nuovo ogni
misura umana (42,10). Nonostante le 4
disgrazie (notare il numero 4 che è l’orizzonte
terrestre), Giobbe reagisce, mostrando che la
sua religiosità non è interessata: “Nudo sono
venuto al mondo e nudo ne uscirò. il Signore dà,
il Signore toglie, il Signore sia benedetto".
La scommessa finirà, alla fine, con una
benedizione. Non bisogna infatti dimenticare
che il Signore, nonostante le apparenze, se
crediamo, non ci abbandona mai.
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Carissimo, Il
contadino, che lavora duramente,dev’essere il primo a
raccogliere i frutti della terra. Cerca di capire quello che
dico, e il Signore ti aiuterà a comprendere ogni cosa.
Ricordati di Gesù Cristo, risorto dai morti, discendente di
Davide, come io annuncio nel mio Vangelo, per il quale
soffro fino a portare le catene come un malfattore. Ma la
parola di Dio non è incatenata! Perciò io sopporto ogni cosa per
quelli che Dio ha scelto, perché anch’essi raggiungano la
salvezza che è in Cristo Gesù, insieme alla gloria eterna.
Questa parola è degna di fede: Se moriamo con lui, con lui
anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo;
se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà; se siamo infedeli,
lui rimane fedele, perché non può rinnegare se stesso.
Richiama alla memoria queste cose,scongiurando davanti a Dio
che si evitino le vane discussioni, le quali non giovano a
nulla se non alla rovina di chi le ascolta. Sforzati di
presentarti a Dio come una persona degna, un lavoratore
che non deve vergognarsi e che dispensa rettamente la parola
della verità.2
Questa
lettera viene considerata “Il testamento spirituale di Paolo”
(sebbene tale espressione venga usata anche per il discorso
di addio agli anziani di Efeso: At 20,18-35; e il Card Martini,
prima di lasciare Milano, ce la commentò diverse volte).
Paolo è in carcere a Roma e scrive a Timoteo,mentre lamenta
la sua solitudine, che ha comportato la totale mancanza di ogni
difesa. Così i pagani lo considerano un malfattore e gli
ebrei un traditore mentre nessuno lo ha difeso. Tuttavia
Paolo non si rammarica poiché sente di vivere una grande
comunione con Gesù. E’ anzi preoccupato del “mio Vangelo” che
è quello genuino di Gesù che egli fedelmente ed umilmente ha
cercato di interpretare e di comunicare. Si rivolge a Timoteo
poiché si fida della sua formazione e gli raccomanda di
insegnare ad altri perché a loro volta insegnino: “Tu dunque,
figlio mio, attingi sempre forza nella grazia che è in Cristo
Gesù e le cose che hai udito da me in presenza di molti
testimoni, trasmettile a persone fidate, le quali siano in
grado di ammaestrare a loro volta anche altri” (2,1-2).Da
queste preoccupazioni rivelate perché diventino direttive per il
tempo che verrà, e in cui Paolosa di non poter essere
presente, l’attenzione non è istituzionale o di potere da
trasmettere, ma è per una successione didattica: Trasmettere
un messaggio che sia un insegnamento genuino e coerente:è
questo il primo compito dell’autorità, della Comunità cristiana,
di ogni fedele adulto. Per aiutare Timoteo a capire che ad
ogni investimento devono accompagnarsi sforzo, perseveranza e
sacrificio, Paolo ricorda tre condizioni adulte di vita: il
soldato, che non si lascia distrarre dal suo compito,
l’atleta che lotta con correttezza secondo le regole, e il
coltivatore che raccoglie in abbondanza a secondo dei suoi
sforzi (2,3-7).Il vero modello, tuttavia, è Gesù: “Ricordati
di Gesù Cristo” che lottò fino alla morte e, passando
attraverso la morte, è risorto. E dopo Gesù, che è il vero
modello, Paolo, in amicizia, osa proporsi come secondo testimone
da imitare. E a Timoteo svela anche il significato della
sofferenza vissuta con Gesù: essa è carica di forza ed è
sostegno e intercessione a favore di chi si ama: “Perciò io
sopporto ogni cosa per quelli che Dio ha scelto, perché
anch’essi raggiungano la salvezza che è in Cristo Gesù, insieme
alla gloria eterna” (2,10).Ci sono quattro parallelismi:
corrispondono alle scelte che facciamo. Alla morte con Lui
incontriamo la risurrezione, alla sofferenza di chi è fedele
viene data la gloria, al rinnegamento dell’uomo Cristo ci
prende sul serio e giudica; ma al quarto si rompe il
parallelismo: “se siamo infedeli” Cristo rimane fedele ed è
sempre misericordioso. Il testo di oggi si chiude con un
richiamo eccezionalmente prezioso poiché ha fatto soffrire molto
anche Paolo nella sua esperienza Pastorale: “Si evitino le vane
discussioni”. Infatti la parola di coloro che vogliono
spingere verso l’empietà, attraverso le chiacchiere vuote e
perverse, si propaga come una cancrena” (2,16-17). Il vero
antidoto e la vera fiducia nascono dalla forza della Parola di
Dio. La Parola di Dio non è incatenata” (v 9). Il cristiano si
intravede nel suo servizio gratuito e nella sua fiducia. |
Luca 17, 7-10.
In quel tempo.
Il Signore Gesù disse: “ Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il
gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”?
Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stringiti le vesti ai fianchi e
servimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse
gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche
voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo
serviinutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
Con tanto parlare della dignità dell’uomo e del lavoro, della
preziosità dell’uomo agli occhi e al cuore di Dio, di Gesù che serve, anzi,
addirittura lava i piedi ai discepoli, le parole di questo vangelo sembrano
contraddittorie e persino insensibili. Bisogna leggerle nel contesto: il cap.
17 si apre con alcune parole di Gesù molto rigorose sullo‘scandalo’ e sul
‘perdono; gli apostoli sono smarriti -“Signore, aumenta la nostra fede”- poi c’è
ilnostro brano per continuare con l’episodio dei dieci lebbrosi di cui solo
uno, samaritano, torna a ringraziare, e con l’esortazione a pregare sempre
‘senza stancarsi mai’, e infine con l’annuncio della sua passione. “Quando
avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato dite: “Siamo servi
inutili.
Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”.L’esempio è preso dalla vita: il padrone
pretende dal suo servo quello che il servo è tenuto a fare. Ma qui che cosa
vuol dire Gesù?E noi siamo servi o siamo liberi (‘voi siete stati chiamati a
libertà!’).A me pare che l’idea sia quella del servizio e non della
schiavitù; dello stesso servizio che Gesù prestò lavando i piedi ai
discepoli, ma con la sottolineatura che “in servizio” siamo sempre e che
questo non deve farci credere di essere bravi o presumere di fare qualcosa di
straordinario. Infatti siamo akreioi, parola che viene tradotta dal greco in
modo inesatto, perché la lingua greca antica è estremamente duttile ed ogni
parola ha una vasta gamma di significati e di sfumature. Qui potrebbe
semplicemente voler dire ‘siamo sempre in servizio’ ‘siamo semplicemente
servì,
senza presumere per questo di aver fatto chissà che cosa. Certo, siamo utili
nella misura in cui nonne approfittiamo per il nostro personale interesse o
per accampare chissà quali diritti. Siamo ‘servi del Signore’, esattamente
come Gesù, il Servo di Yahveh, che nella vita realizza il progetto d’amore di
Dio. Così anche noi non siamo ‘inutili’ perché espressione di un pensiero
d’amore di Dio, ma siamo ‘gratuiti’ perché il nostro vanto non è quello di
portare avanti noi stessi,ma di contribuire a spianare la via al Regno di
Dio, cioè al Suo Amore. Allora si diceva “siamo servi inutili”; oggi possiamo
ugualmente dire “siamo gocce che riflettono,se siamo fedeli alla nostra
vocazione cristiana, l’infinito splendore dell’amore di Dio”.Certo, dobbiamo
rendercene conto, senza nasconderci dietro false modestie o malcelate
presunzioni |