 IV DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
21 settembre 2014 Giovanni 6, 24-35 .Riferimenti : Isaia 63,
19b-64,10 - salmo 76 - Ebrei 9, 1-12. |
| Dio è conosciuto in Giuda, in Israele è grande il suo nome.
È in Gerusalemme la sua dimora, la sua abitazione, in Sion. Qui
spezzò le saette dell'arco, lo scudo, la spada, la guerra.
Splendido tu sei, o Potente, sui monti della preda; furono
spogliati i valorosi, furono colti dal sonno, nessun prode
ritrovava la sua mano. Dio di Giacobbe, alla tua minaccia, si
arrestarono carri e cavalli. |
Isaia 63, 19b - 64,10. In quei giorni. Isaia
pregò il Signore, dicendo: Se tu squarciassi i cieli e
scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti, come il
fuoco incendia le stoppie e fa bollire l’acqua, perché si
conosca il tuo nome fra i tuoi nemici, e le genti tremino
davanti a te. Quando tu compivi cose terribili che non
attendevamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i
monti. Mai si udì parlare da tempi lontani, orecchio non ha
sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te,abbia
fatto tanto per chi confida in lui. Tu vai incontro a quelli
che praticano con gioia la giustizia e si ricordano delle tue
vie. Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te
dal ungo tempo e siamo stati ribelli. Siamo divenuti tutti
come una cosa impura, e come panno immondo sono tutti i
nostri atti di giustizia; tutti siamo avvizziti come foglie,
le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento.
Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si risvegliava per
stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo
volto, ci avevi messo in balìa della nostra iniquità. Ma,
Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui
che ci plasma, tutti noi siamo opera delle tue mani. Signore,
non adirarti fino all’estremo, non ricordarti per sempre
dell’iniquità. Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo. Le tue
città sante sono un deserto, un deserto è diventata Sion,
Gerusalemme una desolazione. Il nostro tempio, santo e
magnifico, dove i nostri padri ti hanno lodato, è divenuto
preda del fuoco;tutte le nostre cose preziose sono
distrutte. Questo testo è una preghiera
liturgica-penitenziale ricca di riflessione e splendida nella
sua poesia. E’ una supplica collettiva di un popolo che ha alle
spalle lo splendore di una salvezza ottenuta dalla
misericordia e dalla libertà di un Dio che lo ha sostenuto
quando era povero e disarmato, e nelle sue traversie storiche lo ha condotto. Gli esuli, che stanno tentando di restaurare il
nuovo rapporto di popolo con Dio, continuano ad avere davanti
agli occhi una Gerusalemme distrutta, la discordia nel popolo
tornato e quello trovato sul posto. Non c’è pace nella
lacerazione e nella diffidenza reciproca. Pochi versetti sopra,
la preghiera si rivolge a Dio come Padre: “Tu sei nostro
padre, poiché Abramo non ci riconosce e Israele non si
ricorda di noi. Tu, Signore, sei nostro Padre, da sempre ti
chiami nostro Redentore”.“Solo tu sei il nostro Padre”
perché non ci sono più padri a cui rivolgersi. "Abramo non ci
riconosce e Israele (Giacobbe) non si ricorda di noi" (v 16).
Solo Dio è Padre. E questa è la prima volta che si applica a
Dio questo attributo nella Scrittura. Gli ebrei erano restii
a chiamare Dio Padre come, spesso, i popoli pagani chiamavano
i loro dei. Un tale linguaggio avrebbe facilmente equivocato su
ipotetici matrimoni con "le figlie degli uomini”, come la
mitologia pagana, invece, ricordava facilmente. I progenitori
del popolo, Abramo e Giacobbe, giacciono nella sceol
(gl’inferi: il luogo dei morti) e non sono in grado di
soccorrere i vivi. Il vero aiuto può venire solo da Dio che
si è mostrato Padre quando ha liberato il popolo dall’Egitto.
Ma Dio è anche Redentore come il parente stretto che riusciva a
raccogliere una somma sufficiente per liberare lo schiavo,
proprio parente, o addirittura accettava di sostituire lo
schiavo per liberarlo e prendere il suo posto. Ora,
purtroppo, pensa il popolo pentito, non ci sono padri e non ci
sono possibili redentori: resta solo Dio che è l'unica
speranza nuova. Il testo riassume la memoria riconquistata
della potenza di Dio liberante, del proprio abbandono, e rilegge
la desolazione della città deserta e del Tempio distrutto
come prova del male avvenuto e quindi come prova del castigo
di Dio. “Se tu scendessi…” La speranza porta il popolo a
sperare una nuova manifestazione di Dio mentre riconosce i
propri peccati e i propri tradimenti. Il testo, che ci
accompagna, apre anche ai grandi interrogativi della vita, spesso inquietanti. Perché il dolore, perché il male, perché
le distruzioni, perché la morte,perché una sofferenza così
drammatica a un popolo, se Dio gli è Padre ed unico
Redentore? L'interrogativo fondamentale tocca anche noi tutti, e
prospetta il mistero della libertà dell'uomo: Dio continua ad
essere attento e misericordioso, ma si è autolimitato nella
sua potenza. Si scontra, nella storia, con la tragedia che il
male provoca nel cuore e nel mondo. Nell’oscurità della
nostra storia, e nel dramma della nostra vita è necessario
che continuiamo a fidarci di Dio e a chiamarlo Padre come
Gesù sulla sua croce |
Ebrei 9, 1-12. Fratelli,
anche la prima alleanza aveva norme per il culto e un
santuario terreno. Fu costruita infatti una tenda,la prima,
nella quale vi erano il candelabro, la tavola e i pani
dell’offerta; essa veniva chiamata il Santo. Dietro il
secondo velo, poi, c’era la tenda chiamata Santo dei Santi,
con l’altare d’oro per i profumi e l’arca dell’alleanza tutta
ricoperta d’oro,nella quale si trovavano un’urna d’oro
contenente la manna, la verga di Aronne, che era fiorita, e
le tavole dell’alleanza. E sopra l’arca stavano i
cherubini della gloria, che stendevano la loro ombra sul
propiziatorio. Di queste cose non è necessario ora parlare
nei particolari. Disposte in tal modo le cose, nella prima
tenda entrano sempre i sacerdoti per celebrare il culto;
nella seconda invece entra solamente il sommo sacerdote, una
volta all’anno, e non senza portarvi del sangue, che egli
offre per se stesso e per quanto commesso dal popolo per
ignoranza. Lo Spirito Santo intendeva così mostrare che non
era stata ancora manifestata la via del santuario, finché
restava la prima tenda. Essa infatti è figura del tempo presente
e secondo essa vengono offerti doni e sacrifici che non
possono rendere perfetto,nella sua coscienza, colui che
offre: si tratta soltanto di cibi, di bevande e di varie
abluzioni,tutte prescrizioni carnali, valide fino al tempo
in cui sarebbero state riformate. Cristo, invece, è venuto
come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda
più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè
non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per
sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di
vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una
redenzione eterna. Il Figlio è il sommo
sacerdote. Così il cap.8 ci presenta Gesù: “Noi abbiamo un
sommo sacerdote così grande che si è assiso alla destra del
trono della Maestà nei cieli, 2ministro del santuario e della
vera tenda, che il Signore, e non un uomo, ha costruito”.
E quindi, oggi, leggiamo il confronto tra la liturgia del sommo
sacerdote della Prima Alleanza e quella di Gesù, confronto
tra la purificazione del popolo d’Israele e quella unica e
completa, portata da Gesù per tutta l’umanità. Ora, nel capitolo
successivo, ritornano a delinearsi, con molta attenzione e molti
particolari, le prescrizioni che legavano l'Alleanza al culto
del Tempio. La particolareggiata e minuziosa descrizione fa
memoria delle prescrizioni dell’Esodo (capp 25; 36) e
manifesta la competenza e l'esperienza ebraica sacerdotale. Si
parla di una prima tenda e ed una seconda tenda (il Santo dei
Santi) e il richiamo è per il santuario del deserto.
L’essenziale della riflessione non è stato il culto dei
sacerdoti ma il servizio compiuto, in prima persona, dal
sommo sacerdote nella seconda tenda, richiamando,insieme, il
giorno del Kippur. Solo in quell’unico giorno, e in nessun altro
moment o circostanza, poteva accedere per purificare il
luogo che, per sua forza, l’impurità poteva contaminare tutto
e rendere impresentabile l’offerta, anche se ciò avveniva
inconsapevolmente. Quei riti dovevano garantire che da quel
giorno tutte le contaminazioni erano dissolte e il Santo dei
Santi veniva decontaminato in modo da poter ricevere ed
accogliere il Dio Santo, il grande ospite del Tempio d’Israele.
L’autore vuole così sottolineare l’unicità del rito annuale di
purificazione per preparare l’unico sacrificio da parte di
Gesù. E introduce il tema del sangue. Ci si rifà alle origini,
al tempo dell'uscita dall’Egitto, quando, ovviamente, non si
parlava del Tempio, anche se è continuamente sottinteso. La
tenda è espressione del tempo presente, dice l'autore, con
offerte di doni e abluzioni e il sommo sacerdote purificava
con il sangue degli animali. Valgono per il tempo dell'attesa.
Ma “lo Spirito Santo intendeva mostrare che non era ancora
aperta la via del santuario definitivo”. "È Gesù colui che viene
nella tenda perfetta, non costruita damano d'uomo, non
appartenente alla creazione, e vi entra una volta per sempre con
il suo sangue “. In tal modo ottiene una redenzione eterna.
L'antico culto provvisorio ha svolto la sua missione e funzione
per il tempo di attesa, ma solo Gesù porta "i beni futuri", la
pienezza della comunione con Dio che sono la salvezza, la
vita e la felicità eterna nella casa di Dio, ormai aperta a
tutti. Non ci sono più veli, non ci sono doni da offrire, non
c'è selezione: Gesù porta la salvezza a tutti per sempre.
Il vero dono, ora, è custodire e accogliere ciò che Dio ci dà.
Per esempio, la vita,che è il dono di Dio, non può diventare
possesso di nessuno. Se diventa possesso e proprietà, si
ritiene di poterla profanare, vendere, deturpare e uccidere,
credendosi in diritto di poterlo fare per vendetta, per
sfregio, per castigo, per interesse. È il significato delle
morti, omicidi e suicidi, che ci vengono quotidianamente
annunciati dove ci si gioca anche sul significato del figlio
ucciso per vendicarsi delconiuge. La vita è di Dio e diventa
sacrilegio intaccarla o sopprimerla, sempre.Perfino molte
nazioni, fortunatamente, hanno maturato questa dignità e
sacralità intermini laici, eliminando la pena di morte. |
La
"sinagoga bianca" di Cafarnao, costruzione di età bizantina sulle
fondamenta della sinagoga di Gv6 |
Giovanni 6, 24-35.
In quel
tempo. Quando dunque la folla vide che Gesù non era
più là e nemmeno i suoi
discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla
ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero:
«Rabbì,
quando sei venuto qua?».Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico:
voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato
di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non
dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio
dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo
sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le
opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa èl’opera di Dio: che crediate
in colui che egli ha mandato».Allora gli dissero: «Quale segno tu compi
perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri
padri hanno
mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da un pane dal
cielo».Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico:non è Mosè
che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal
cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal
cielo e dà
la vita al mondo». Allora gli dissero:«Signore, dacci sempre questo
pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a
me
non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!
Oggi, generalmente, nel nostro mondo occidentale anche nell’ambito del pane
vi sono molte sofisticazioni; addirittura si sostituisce spesso e
volentieri il pane con qualcosa di più solleticante e ricercato. Si è
perso il senso del pane come cibo necessario per l’esistenza, come
elemento primario per la fame di tutti. Qui, nel vangelo di questa
domenica, viene proposto l’equivoco: siamo nel contesto
della condivisione
del pane con la folla del giorno prima, quando tutti poterono
sfamarsi a
sazietà e gratuitamente. Un personaggio così non è da lasciar perdere.
Naturalmente non hanno capito niente e Gesù spiega: bisogna darsi da fare non
per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna.
Il Pane vero è quello disceso dal cielo, cioè Lui, e la caratteristica di
questo pane è di dare la vita al mondo. Torna il discorso del vero senso
del segno del pane: la condivisione.
Ma è una condivisione che passa
attraverso il Signore con una finalità precisa: dare la vita.
Dire e
ascoltare queste parole con serietà implica una trasformazione di mentalità:
non si tratta, in effetti e necessariamente, di offrirsi per la morte (Dio è
il Dio dei viventi), ma di spendere la propria vita e il proprio pane con
gli altri; non gli altri lontani, ma quelli che hai vicino e di cui
faresti, a volte, volentieri a meno. Ecco perché bisogna purificare il
nostro cercare Gesù, che per lo più è di là dal mare, cioè molto lontano
da come concepiremmo noi il suo operato e le sue parole.
Sempre con Gesù
occorre fare dei salti qualitativi, domandandoci, ad esempio,riguardo al
vangelo di oggi che cosa vuol dire per me sentire che Gesù è il pane
della
vita, in un contesto così tenebroso per le guerre e le violenze, così gretto
e chiuso per gli egoismi degli uomini, così diffidente anche nelle
disponibilità. Vuol dire forse che devo ricredermi sull’ascolto di parole
ripetute per cominciare una buona volta a mettere in silenzio me stesso e
lasciare che la “Parola – Pane di vita disceso dal cielo per dare la vita
– “lavori dentro di me, aprendo delle brecce di
preghiera e di conversione
per venire veramente a Lui per non avere più fame e affidarsi totalmente a
Lui per non avere più sete. Se lo si fa credendoci veramente, allora non
potremo sottrarci a vivere la vita ogni attimo con intensità e
gratitudine. Semplicemente. Sapendo che Lui è disceso dal cielo per tutti,
e anche per me.
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