
II domenica dopo il martirio di Giovanni
7 settembre 2014
Giovanni. 5, 19-24 Riferimenti : Isaia 60,16b-22.
- Salmo 88 - 1Corinzi 15, 17-28. |
| Signore, Dio della mia salvezza, davanti a te
grido giorno e notte. Giunga fino a te la mia preghiera, tendi
l'orecchio al mio lamento. Io sono colmo di sventure, la mia
vita è vicina alla tomba. Sono annoverato tra quelli che
scendono nella fossa, sono come un morto ormai privo di forza.
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Isaia 60,16b-22.
Così dice il Signore Dio: Saprai
che io sono il Signore, il tuo salvatore e il tuo redentore,
il Potente di Giacobbe. Farò venire oro anziché bronzo,
farò venire argento anziché ferro, bronzo anziché legno,
ferro anziché pietre. Costituirò tuo sovrano la pace, tuo
governatore la giustizia. Non si sentirà più parlare di
prepotenza nella tua terra, di devastazione e di
distruzione entro i tuoi confini. Tu chiamerai salvezza le
tue mura e gloria le tue porte. Il sole non sarà più la tua
luce di giorno, né ti illuminerà più lo splendore della
luna. Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà
il tuo splendore. Il tuo sole non tramonterà più né la tua
luna si dileguerà, perché il Signore sarà per te luce
eterna; saranno finiti i giorni del tuo lutto.Il tuo popolo
sarà tutto di giusti, per sempre avranno in eredità la
terra, germogli delle piantagioni del Signore, lavoro delle
sue mani per mostrare la sua gloria. Il più piccolo diventerà un
migliaio,il più insignificante un’immensa nazione; io
sono il Signore: a suo tempo, lo farò rapidamente”.
Il popolo d’Israele, o almeno quella
popolazione che è riuscita a tornare da Babilonia a Gerusalemme,
ricca di sogni e di speranze, si ritrova di fronte alle
macerie di una città distrutta e, per molti tratti, decrepita,
abitata da persone che non l’accolgono volentieri poiché coloro
che tornano hanno pretese e dinamismo e portano sconcerto e
richieste poiché vorrebbero ritornare alle antiche proprietà. In
fondo la lontananza è stata di circa 70 anni. Questa
situazione difficile, e spesso disperante, viene riletta da un
personaggio credente,poeta e innamorato di Dio che scrive
sotto il nome di Isaia. È attribuito ad uno o più profeti che
gli studiosi chiamano Terzo Isaia, vissuto durante la
ricostruzione del Tempio di Gerusalemme e negli anni successivi
(dal 520 a.C. in poi). A questo autore si riferisce il testo che
stiamo leggendo, tratto dagli ultimi dieci capitoli(cc
56-66) di questo splendido libro, in cui sono descritti il
ritorno del popolo liberato e la ricostituzione di
Gerusalemme dopo l'esilio di Babilonia (587-538 a.C.).Tutto
il capitolo 60 è un canto di speranza per Gerusalemme e un sogno
sul futuro. Inizia con: "Alzati,Gerusalemme, rivestiti di
luce perché viene la tua luce..." (v. 1) e apre l’orizzonte
della ricchezza che si riversa attraverso i popoli che
arrivano al tempio. Anche nel tempio ricostruito, infatti,
affluiranno le ricchezze. Nel sogno la pace regna nella città
e la gloria di Dio si irradia nel benessere. Gerusalemme
diventa un riferimento fondamentale di speranza non solo per il
popolo, ma anche per tutto l'universo. Un modo curioso di
mostrare la ricchezza è il richiamo dei materiali per il nuovo
tempio che devono essere migliori di quelli impiegati da
Salomone, 500 anni prima. E i responsabili dei lavori non si
imporranno con la violenza poiché tutto si svolgerà in pace e
armonia. Non ci saranno tenebre e lutto. Persino le porte
avranno un nome e si chiameranno “Gloria”; le mura saranno
chiamate “salvezza”: sono riferimenti alla bellezza ed alla
sicurezza di un popolo senza pace e disarmato. La bellissima
definizione pronunciata per i tempi nuovi è: “Il tuo popolo sarà
tutto di giusti” (v 21). Per identificare la garanzia al
popolo il sole viene sostituito: “Il sole non sarà più la tua
luce di giorno, né ti illuminerà più lo splendore della luna.
Ma il Signore sarà per te luce eterna, il tuo Dio sarà il tuo
splendore”(v20). Nel genere apocalittico, utilizzato nella
linea della conclusione della storia umana (la stessa
immagine é utilizzata in Apocalisse 21,23): il sorgere del sole
e il sorgere della luna non sono più considerati portatori di
luce. Probabilmente ci si richiama alle credenze di Canaan in
cui si pensa che il sole e la luna siano divinità. In questo
caso, nella Gerusalemme rinnovata, il popolo, “tutto di giusti”
(v 21), sarà completamente liberato dall'idolatria: la
propria sicurezza non sarà negli astri divinizzati ma nel
Signore perché il Signore stesso sarà luce perenne per Sion.
La terra d’Israele, infine, sarà capace di ospitare una
popolazione immensa che si moltiplicherà e sarà tutto dono di
Dio che mette mano con la sua potenza e fecondità. Ci si
richiama ai “germogli delle piantagioni del Signore”. C’è,
probabilmente la eco di Davide, il “Germoglio della radice di
Iesse” che diventa, finalmente,“un popolo immenso”. (v 22).
In tal modo il profeta incoraggia un popolo a costruire e a
camminare, forte della protezione del Dio che salva e libera.
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1Corinzi 15, 17-28. Fratelli, ma se Cristo non
è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei
vostri peccati. Perciò anche quelli che sono morti in Cristo
sono perduti. Se noi abbiamo avuto speranza in Cristo
soltanto per questa vita, siamo da commiserare più di
tutti gli uomini. Ora, invece, Cristo è risorto dai morti,
primizia di coloro che sono morti. Perché, se per mezzo di un
uomo venne la morte, per mezzo di un uomo verrà anche la
risurrezione dei morti. Come infatti in Adamo tutti muoiono,
così in Cristo tutti riceveranno la vita. Ognuno però al suo
posto: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua
venuta, quelli che sono di Cristo. Poi sarà la fine, quando egli
consegnerà il regno a Dio Padre, dopo avere ridotto al nulla
ogni Principato e ogni Potenza e Forza. È necessario infatti
che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto
i suoi piedi. L’ultimo nemico a essere annientato sarà la morte,
perché ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi. Però, quando dice
che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve
eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa. E quando tutto
gli sarà stato sottomesso, anch’egli, il Figlio, sarà sottomesso
a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in
tutti. .Il tema della
risurrezione è fondamentale per la fede cristiana. Soprattutto
nel mondo e nella cultura greca la risurrezione della carne
viene male interpretata per il disprezzo che viene riversato sul
corpo, prigione dell’uomo e dell’anima, peso stantio che non
permette di superare il male e la rozzezza della vita umana,
imbavagliata e prigioniera dalla corporeità e dai suoi bisogni.
Paolo non si rifà ad una esperienza personale, ma alla essenza
della predicazione proclamata e che, a sua volta, per fedeltà
alla tradizione, egli stesso l’ha ricevuta dagli apostoli. E
quando vuole sintetizzare la fede,la raccoglie in 4 verbi:
Gesù morì, fu sepolto, risuscitò, apparve.E nei primi 11
versetti del capitolo 15 (1 Cor 15,1-11) Paolo ha elencato le
apparizioni che, ufficialmente,vengono ricordate alla
comunità cristiana. La risurrezione di Gesù è il centro della
vita cristiana e della lieta notizia che, finalmente, fa
pulizia di tutte le morti e le paure. Perciò questa risurrezione
sta alla base della nostra risurrezione ed è garanzia di vita
nuova. Se cade l'una, cade anche la lieta notizia di Gesù e
tutta la fede sarebbe vana. Cadrebbero la speranza, il
perdono dei peccati, il senso dell’esistenza e della fedeltà.
Ritorneremmo a vivere nella disperazione del male, ci
ritroveremmo in una frustrazione terribile di inutilità e di
paura. Crollerebbero tutte le novità e tutte le aspettative.
Paolo ricorda che i rabbini pensano ad un primo momento della
presenza dell’inviato del Signore, quando inaugura il “regno
del Messia”. Paolo perciò intravede Gesù vincitore che lotta,
combatte e sottomette tutto ciò che si oppone a Dio, compreso
la morte. Paolo pensa che il regno del Messia debba durare
finché dura il mondo. Alla fine, sconfitti tutti i nemici,
compresi la morte, verrà il momento di riconsegnare, purificato,
il mondo dal Messia al Padre che inizierà il regno eterno di
Dio. I nemici di cui viene annunciato l’annientamento non
sono le persone ma i mali che impediscono all’uomo di vivere
in pienezza la propria esistenza. Questi mali sono la fame, la
nudità, la malattia, l’ignoranza, la schiavitù, la paura,
l’odio, l’egoismo, il peccato, la prepotenza e la sopraffazione.
Quando queste realtà negative saranno scomparse, allora il regno
di Cristo sarà compiuto. Chiunque s’impegna contro questi
mali, anche se non cristiano o non credente, collabora con Gesù
alla realizzazione del progetto del Messia. Quando tutto il
male che schiaccia e distorce la vita delle persone sarà
sconfitto, compresa la morte, allora Gesù consegnerà al Padre
il mondo (v 28). Paolo continua ad avere, come può, il
riferimento al Padre verso cui cammina, purificando, e continua
a misurarsi con l’Adamo che ha introdotto il peccato e la
morte nel mondo. Così la risurrezione di Gesù è il riscatto
dalla soggezione dell’uomo nuovo al male ed è il riscatto di
ogni uomo , a somiglianza di Gesù. Egli esprime in tal modo
la concezione globale della vita cristiana. Cristo è
contrapposto ad Adamo, il primo uomo, che ha aperto la strada
alla morte. Gesù apre la strada della vita. Questa vita è allora
il tempo della liberazione ed ogni uomo che opera per il
riscatto della vita dal male, lo sappia o no, cammina con Cristo
e salva il mondo. Per questo la sensibilità credente deve
saper vedere e valutare nel mondo situazioni e valori, pur
piccoli che riscattano noi e gli altri dal male. Va quindi
valorizzata quella visione di ringraziamento e di fiducia che ha
sostenuto S. Francesco nel suo cammino di speranza, lui che si
appoggiò alla croce e visse in sé la sofferenza di Gesù
crocifisso. |
Giovanni. 5, 19-24 In quel tempo. Gesù riprese a
parlare e disse loro:«In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se
stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello
che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti
ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà
opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati.
Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà
la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha
dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come
onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha
mandato. In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e
crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al
giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. Gesù compie un miracolo di sua iniziativa su un povero malato di
paralisi "alla piscina, chiamata in ebraico Betzada, presso le porte delle
pecore" (5,2). E’ costretto a letto, incapace di camminare da 38 anni (nel
Deuteronomio 38 anni sono praticamente la conclusione della vita (2,14) e
quindi in procinto di morire senza speranza (5,5).Il fatto della
guarigione, compiuta da Gesù, e il conseguente trasporto del lettino/branda
sulle spalle del miracolato aprono una discussione violenta sul sabato
mentre è palese a tutti l’azione immorale di violazione del sabato. Gesù
affronta la discussione, osando rispondere: “«Il Padre mio agisce anche ora e
anch’io agisco». Per questo i Giudei cercano ancor più di ucciderlo, perché
non soltanto viola il sabato, ma chiama Dio suo Padre, facendosi uguale a
Dio” (5,17-18). Il testo, nella sua concisione, è chiarissimo: Gesù opera
segni di liberazione e di guarigione, ma rivendica questi interventi come
opera di sviluppo della creazione. E’ opera da sempre del Padre, è opera
continua di impegno per salvare la vita e svilupparla. Il pensiero
giudaico stenta a conciliare il riposo di Dio dopo la creazione, riposo di
cui il sabato è l’immagine (Gen 2,2s), con la sua continua attività nel
governo del mondo. Si distingue, infatti, l’attività del Creatore, che è
terminata nel settimo giorno, e l’attività del Giudice, che non cessa mai.
Eppure, dice Gesù,Dio non desiste dall’azione di conservare la vita delle
creature e governa il mondo anche nei giorni di riposo. Così, mentre i
rabbini ammettono che Dio non riposa mai nella sua attività di giudice
supremo e capiscono che Gesù rivendica per sé l’uguaglianza perfetta con
Dio (Gv10,33). Gesù identifica la sua attività con quella del Giudice
sovrano. Da ciò l’indignazione dei Giudei e il discorso con cui Gesù
giustifica la sua pretesa (soprattutto Mt 12,1-8). Quello che
scandalizza gli ebrei dotti che lo accusano non è che Gesù chiami Dio Padre
perché Israele ha sempre considerato Dio come suo Padre; ma Gesù si pone
come colui che assolve da grandi peccati e si pone al centro anche del
sabato. In tal modo si è fatto uguale al Padre. E’ chiaro che qui il testo
riporta una confessione di fede nella comunità post-Pasquale, poiché è
praticamente impossibile che i discepoli riuscissero a capire qualcosa in
coerenza. Gesù sviluppa alcuni temi essenziali: · Il Figlio imita il
Padre. “Il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare
dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo”
(5,19). · Il Figlio conosce i segreti più profondi e la potenza più alta
del Padre: “Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che
fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne
siate meravigliati” (5,20). · Il Padre combatte contro la morte e dà la
vita attraverso la risurrezione. Al Figlio è dato lo stesso potere. “Come
il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a
chi egli vuole”(v 21) · Il Figlio giudica: “Il Padre infatti non
giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino
il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre
che lo ha mandato” ( 5,22-23). Ma il significato del giudizio va ripreso
da un testo precedente di Gesù a Nicodemo, riportato da Giovanni: “Dio,
infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma
perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17). In tal modo
l'autorità del Figlio, ricevuta dal Padre, implica il potere di giudicare, di
dare la vita, di resuscitare i morti e di salvare i credenti. In
conclusione Gesù non chiede altro per sé poiché sa che è troppo pretendere di
più. “Importante,però,almeno, che si ascolti la sua parola”. Perciò: «In
verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui
che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è
passato dalla morte alla vita». Tutto questo discorso di cui noi, oggi,
leggiamo solo in parte, è fondamentale perché esprime una pienezza di
disponibilità di Gesù verso il Padre: per un certo verso, si presenta egli
stesso come un apprendista che impara con grande fedeltà davanti al
maestro che insegna (v.19). E’ anche quello che Gesù si aspetta da noi,
con umiltà e con coraggio. L'agire di Gesù si fonda su un rapporto di amore
senza riserve del Padre verso ilFiglio e tutto il Vangelo, in particolare
quello di Giovanni, vorrà dimostrare questa fedeltà totale di ascolto da
parte di Gesù che sviluppa e matura la volontà di Dio nel tempo. |