 III domenica dopo l'epifania
22 gennaio 2017
Luca 9, 10b-17
Riferimenti : Esodo 16, 2-7a. 13b-18 - Salmo 104 - Seconda Corinzi 8, 7-15 |
È lui il Signore, nostro Dio: su
tutta la terra i suoi giudizi. Si è sempre ricordato della sua
alleanza, parola data per mille generazioni, dell’alleanza
stabilita con Abramo e del suo giuramento a Isacco. Fece uscire
il suo popolo con argento e oro, nelle tribù nessuno vacillava.
Quando uscirono, gioì l’Egitto, che era stato colpito dal loro
terrore. Distese una nube per proteggerlie un fuoco per
illuminarli di notte. |
Esodo 16, 2-7a. 13b-18 In quei
giorni. Nel deserto tutta la comunità degli
Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne.
Gli Israeliti dissero loro: «Fossimo morti per
mano del Signore nella terra d’Egitto, quando
eravamo seduti presso la pentola della carne,
mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto
uscire in questo deserto per far morire di fame
tutta questa moltitudine». Allora il Signore
disse a Mosè: «Ecco, io sto per far piovere pane
dal cielo per voi: il popolo uscirà a
raccoglierne ogni giorno la razione di un
giorno, perché io lo metta alla prova, per
vedere se cammina o no secondo la mia legge. Ma
il sesto giorno, quando prepareranno quello che
dovranno portare a casa, sarà il doppio di ciò
che avranno raccolto ogni altro giorno». Mosè e
Aronne dissero a tutti gli Israeliti: «Questa
sera saprete che il Signore vi ha fatto uscire
dalla terra d’Egitto e domani mattina vedrete la
gloria del Signore, poiché egli ha inteso le
vostre mormorazioni contro di lui». Al mattino
c’era uno strato di rugiada intorno
all’accampamento. Quando lo strato di rugiada
svanì, ecco, sulla superficie del deserto c’era
una cosa fine e granulosa, minuta come è la
brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si
dissero l’un l’altro: «Che cos’è?», perché non
sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: «È il
pane che il Signore vi ha dato in cibo. Ecco che
cosa comanda il Signore: “Raccoglietene quanto
ciascuno può mangiarne, un omer a testa, secondo
il numero delle persone che sono con voi. Ne
prenderete ciascuno per quelli della propria
tenda”». Così fecero gli Israeliti. Ne
raccolsero chi molto, chi poco. Si misurò con
l’omer: colui che ne aveva preso di più, non ne
aveva di troppo; colui che ne aveva preso di
meno, non ne mancava. Avevano raccolto secondo
quanto ciascuno poteva mangiarne.
Il popolo di Israele è stato liberato dalla
schiavitù dell'Egitto, ha superato l'ostacolo
drammatico delle acque del Mar Rosso, non è più
inseguito dall'esercito del faraone, ma soffre
il dramma interiore della insicurezza e del
bisogno sui problemi fondamentali della
sopravvivenza: l'acqua, il pane, la carne. Così
il popolo mormora contro Mosé e contro Aronne,
rimproverando loro di averli convinti di
avventurarsi nel deserto: infatti, resta solo la
prospettiva di morire di fame. Lamentandosi
contro Mosé ed Aronne, si lamentano contro Dio.
Nel libro dell'Esodo (15,22-27) viene ricordato
il ritrovamento dell'acqua che tuttavia risulta
"amara" e Mosè - su indicazione del Signore -
sceglie un legno e lo getta nelle acque che
diventano dolci. Ma ora la mormorazione con Mosé
ed Aronne si sviluppa per la nostalgia delle
"pentole di carne d'Egitto, che veniva mangiata
con pane a sazietà". E il Signore,
pazientemente, parla a Mosè dicendo che farà
piovere pane dal cielo. Al v. 12 (qui non
riportato) riprende il dialogo del Signore con
Mosè. Al pane dal cielo che giungerà di mattina,
il Signore aggiunge la carne che troveranno la
sera. La manna è dovuta alla secrezione di
insetti che vivono su certe tamerici, ma solo
nella regione centrale del Sinai; la si
raccoglie in maggio-giugno. Le quaglie, esauste
dalla traversata del Mediterraneo di ritorno
dalla loro migrazione in Europa, verso
settembre, si abbattono in grande quantità sulla
costa, a nord della penisola del Sinai, spinte
dal vento da ovest (Nm11,31). Il lungo e
travagliato peregrinare degli Israeliti nel
deserto diventa figura dell'esistenza umana.
Ricevuta la libertà come dono, è il tempo
dell'apprendere a farne uso, perché la libertà
non è ancora la realizzazione, ma solo la
condizione fondamentale e iniziale della
realizzazione, che si gioca nel rapporto
personale. Perciò è necessario questo tempo,
come il tempo del conoscersi tra Dio e il
popolo. Non sono i momenti facili, festosi,
quelli che rivelano i sentimenti più veri, ma i
momenti difficili, quelli nei quali una carenza
o un dramma portano al limite le capacità di
reazione. Nel peregrinare per il deserto, gli
Israeliti si trovano senz'acqua, senza
nutrimento e debbono accettare di fondarsi sulla
Parola e sulla promessa di Dio. Dopo la sete, è
la volta della fame, ed è un reciproco mettersi
alla prova. Il popolo dubita delle intenzioni di
Dio e Dio mette alla prova lo stesso popolo con
una legge: ci sarà da mangiare a volontà, ma non
si potranno accumulare scorte alimentari per più
di un giorno. Insieme alla fiducia nella Parola
di Dio, questo popolo, che si deve educare alla
libertà e all'autonomia, deve potersi guardare
in giro, cogliere i fenomeni naturali posti
dalla Provvidenza che lo accompagna e lo
assiste. Così impara a cogliere la presenza
divina, misteriosa e libera, in relazione con
ciascuno su questo cammino ed esigente di una
risposta, altrettanto libera e amorosa. Anche
Gesù spezzerà il pane per una moltitudine, e per
questo la moltitudine vorrebbe farlo re (Gv
6,15); però Gesù la dissuade. La prospettiva non
si apre sul potere o la vittoria, ma sul dialogo
in una risposta libera e amorosa. |
Seconda Corinzi 8, 7-15 Fratelli,
come siete ricchi in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella
conoscenza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo
insegnato, così siate larghi anche in quest’opera generosa. Non
dico questo per darvi un comando, ma solo per mettere alla prova
la sincerità del vostro amore con la premura verso gli altri.
Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da
ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste
ricchi per mezzo della sua povertà. E a questo riguardo vi do un
consiglio: si tratta di cosa vantaggiosa per voi, che fin dallo
scorso anno siete stati i primi, non solo a intraprenderla ma
anche a volerla. Ora dunque realizzatela perché, come vi fu la
prontezza del volere, così vi sia anche il compimento, secondo i
vostri mezzi. Se infatti c’è la buona volontà, essa riesce
gradita secondo quello che uno possiede e non secondo quello che
non possiede. Non si tratta infatti di mettere in difficoltà voi
per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza. Per il
momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza,
perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza,
e vi sia uguaglianza, come sta scritto: «Colui che raccolse
molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno».
Paolo sta parlando ai Corinti circa
una colletta di soldi che sta facendo in favore della Chiesa di
Gerusalemme, in difficoltà economica, per i numerosi poveri cui
offre sostegno. Paolo mette in parallelo la ricchezza nella fede
con la generosità nel condividere i beni materiali. Siamo
durante il regno dell'imperatore Claudio (41-54 d.C.) e sono
sorte varie carestie nell'impero romano. Perciò anche la
Palestina subisce questo flagello e le comunità cristiane non
sono più capaci di mantenere il ritmo di aiuto che offrono ai
poveri. Questa colletta, (se ne parla in. Rm 15,26-28; Gal 2,10;
2Cor 8-9; At 24,17), verso i «santi», i cristiani di
Gerusalemme, bisognosi di soccorso (cf. 2Cor 8,4; vedi At
11,29-30) occupò un posto importante nelle preoccupazioni di
Paolo, che vi vedeva il segno e la garanzia dell'unità tra le
Chiese, fondate da lui, e quelle dei giudeo-cristiani. Egli
riconosce ai Corinti l'abbondanza dei doni della grazia di Dio e
li invita ad essere grandi anche in questa opera di generosità.
Il v. 8 afferma: «Non dico questo per darvi un comando, ma solo
per mettere alla prova la sincerità del vostro amore con la
premura verso gli altri». Paolo conosce la sua comunità, che ha
fondato e presso cui ha vissuto circa due anni, ma conosce bene
anche l'animo umano e sa che, a volte, il braccio della
generosità diventa corto. Sa poi anche che l'amore professato
con la voce va verificato nelle opere («Ma se uno ha ricchezze
di questo mondo e, vedendo il suo fratello in necessità, gli
chiude il proprio cuore, come rimane in lui l'amore di Dio?
Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e
nella verità» 1Gv 3,17-18). Egli non vuole forzare la mano ai
Corinti, mettendoli in difficoltà. Sa, però, che i suoi
detrattori hanno messo in giro voci maligne sul suo conto,
dicendo che il suo fine nascosto è quello di acquistarsi
benemerenze nel suo popolo. Così Paolo passa all'argomento forte
della sua esortazione: l'imitazione di Cristo. Egli si è fatto
povero della sua divinità (cfr. Fil 2,5-11) per farci diventare
ricchi della comunione sua con il Padre, e ci ha inseriti in
quella relazione d'amore che ci fa vivere. L'imitazione di
Cristo è farsi guidare dallo Spirito suo e del Padre nel
diventare sapienti della vita per realizzare il frutto (al
singolare) dello Spirito che Paolo esemplifica nella lettera ai
Galati: «Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace,
magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di
sé; contro queste cose non c'è legge» (Gal 5,22-23). Insieme,
Paolo introduce il principio dell'uguaglianza (vv 13-14). Lo
scopo non è l'impoverimento degli uni a favore degli altri, ma
la condivisione delle risorse. Così Paolo, dopo aver richiamato
due motivazioni teologiche (l'esempio di Gesù e il tema
dell'uguaglianza), ritorna all'esempio dei cristiani di
Macedonia, citati alcuni versetti prima, che, nella loro
«estrema povertà» hanno dato «al di là dei loro mezzi» (vv 2-3;
cf. Mc 12,41-44: obolo della vedova). Egli invita, comunque, la
comunità di Corinto, discretamente, a imitare la generosità dei
loro fratelli macèdoni. Vuole fare loro comprendere come il
comandamento "dell'amore del prossimo come se stessi", implichi
prima di tutto l'uguaglianza come giustizia e la distribuzione
di ciò che serve secondo il bisogno di ciascuno (e qui viene
ricordato l'episodio della manna: Es 16,18).
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Luca 9, 10b-17 In quel tempo. Il Signore Gesù prese i suoi
discepoli con sé e si ritirò in disparte, verso una città chiamata Betsàida.
Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a
parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il
giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo:
«Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per
alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro:
«Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che
cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per
tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai
suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li
fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli
occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai
discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e
furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste. Il
racconto di Luca sui pani spezzati e distribuiti offre un particolare
messaggio teologico per aiutare la Comunità cristiana a vivere quel gesto di
comunione che ogni domenica ormai celebra dall'inizio del suo sorgere. Egli
lo lega ai gesti di Gesù carichi di senso e all'operosità dei credenti perché
vi trovino significati e sostegno per l'opera della loro vita quotidiana.
Tutto il testo, perciò, non va letto come una cronaca che ci mette in
difficoltà a volerne comprendere i vari aspetti: siamo verso sera, siamo nel
deserto, siamo con un numero spropositato di persone. Si parla di spezzare il
pane. Da che parte spuntano le ceste ecc? Luca vuole educare i credenti a
trasporre i gesti di Gesù nel gesto concreto di ogni Comunità, perché diventi
stimolo e coerenza nella settimana e perciò il testo è carico di richiami
dell'AT e di avvenimenti di Gesù stesso. Il racconto della manna che viene
dal cielo fa riferimento al popolo liberato e in cammino nel deserto (Es 16;
Num 11). Ma anche il pane che dà Gesù non è frutto dell'uomo. ma viene dal
cielo. Gesù è il nuovo Mosè. Infatti Mosè stesso aveva parlato di un futuro
"profeta pari a me" che Dio avrebbe suscitato (Dt18,15). E Gesù compie azioni
di salvezza e di liberazione come Mosè stesso. Isaia aveva parlato di "un
banchetto per tutti i popoli" (55,1-2). Anche Eliseo aveva sfamato molte
persone con pochi pani (20 pani per 100 persone: 2Re,4,42-44) e Gesù
amplifica il segno. Gesù è il profeta che visita il suo popolo, è il Messia
che raccoglie i suoi: peccatori perdonati, poveri evangelizzati, malati
guariti, donne e uomini alla pari. E' salvatore in tre gesti: parla, guarisce
e sfama la folla [5.000 uomini: 100 gruppi di 50 l'uno. Popolo benedetto
(numero 100), ricco dello Spirito (numero 50). E' verso sera che il problema
si pone sul mangiare. La notte incombente è il tempo del male,
dell'inattività, della solitudine. Alla preoccupazione dei discepoli che
risolvono suggerendo di congedare la folla, Gesù risponde: "Date voi stessi
da mangiare" e questo lascia tutti sconcertati. Accennano ad una
controproposta assurda: "Dobbiamo andare a comprare il pane per tutti?". Essi
pensano che ciascuno debba risolvere da solo le proprie necessità poiché non
ci sono risorse sufficienti. Gesù non ne fa un problema economico, ma un
problema di presenza (Ci sono io) e un problema di condivisione (Date ciò che
avete e troverete alla fine l'abbondanza). Gesù è l'ospite, quel giorno, che
invita, attraverso i discepoli, e fa sedere; egli è colui che forma una
comunità in cui non deve mancare la parola, la guarigione (la liberazione) e
il cibo donato dal Signore per sfamarsi nel deserto (richiamo alla
generosità e alla solidarietà). Viene così suggerito il cammino di una
pastorale cristiana: Parola di Dio, liberazione, celebrazione, Eucaristia
come dono e condivisione, comunione di vita abbondante. Le 12 ceste
richiamano il lavoro e la garanzia del nuovo popolo di Dio con l'attività dei
12. Il mondo dell'Eucaristia regge se: o c'è lo sforzo di tutti di operare
per la pace e lo sviluppo, o ci si preoccupa di guardare il bisogno degli
altri, o ci si organizza per trovare soluzioni, pur piccole. Altrimenti le
Eucarestie diventano una menzogna poiché mancano la scoperta della Parola che
cambia mentalità e converte, la liberazione dal male e la condivisione.
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