DECIMA DOMENICA DOPO PENTECOSTE
13 AGOSTO 2017
Marco. 12, 41-44
Riferimenti : primo libro dei Re. 8, 15-30 - salmo  47 - Prima lettera ai Corinzi. 3, 10-17
Grande è il Signore e degno di ogni lode nella città del nostro Dio. La tua santa montagna, altura stupenda, è la gioia di tutta la terra. Il monte Sion, vera dimora divina, è la capitale del grande re. Come avevamo udito, così abbiamo visto nella città del Signore degli eserciti, nella città del nostro Dio; Dio l’ha fondata per sempre.

primo libro dei Re. 8, 15-30
In quei giorni. Salomone disse: «Benedetto il Signore, Dio d’Israele, che ha adempiuto con le sue mani quanto con la bocca ha detto a Davide, mio padre: “Da quando ho fatto uscire Israele, mio popolo, dall’Egitto, io non ho scelto una città fra tutte le tribù d’Israele per costruire una casa, perché vi dimorasse il mio nome, ma ho scelto Davide perché governi il mio popolo Israele”. Davide, mio padre, aveva deciso di costruire una casa al nome del Signore, Dio d’Israele, ma il Signore disse a Davide, mio padre: “Poiché hai deciso di costruire una casa al mio nome, hai fatto bene a deciderlo; solo che non costruirai tu la casa, ma tuo figlio, che uscirà dai tuoi fianchi, lui costruirà una casa al mio nome”. Il Signore ha attuato la parola che aveva pronunciato: sono succeduto infatti a Davide, mio padre, e siedo sul trono d’Israele, come aveva preannunciato il Signore, e ho costruito la casa al nome del Signore, Dio d’Israele. Vi ho fissato un posto per l’arca, dove c’è l’alleanza che il Signore aveva concluso con i nostri padri quando li fece uscire dalla terra d’Egitto». Poi Salomone si pose davanti all’altare del Signore, di fronte a tutta l’assemblea d’Israele e, stese le mani verso il cielo, disse: «Signore, Dio d’Israele, non c’è un Dio come te, né lassù nei cieli né quaggiù sulla terra! Tu mantieni l’alleanza e la fedeltà verso i tuoi servi che camminano davanti a te con tutto il loro cuore. Tu hai mantenuto nei riguardi del tuo servo Davide, mio padre, quanto gli avevi promesso; quanto avevi detto con la bocca l’hai adempiuto con la tua mano, come appare oggi. Ora, Signore, Dio d’Israele, mantieni nei riguardi del tuo servo Davide, mio padre, quanto gli hai promesso dicendo: “Non ti mancherà mai un discendente che stia davanti a me e sieda sul trono d’Israele, purché i tuoi figli veglino sulla loro condotta, camminando davanti a me come hai camminato tu davanti a me”. Ora, Signore, Dio d’Israele, si adempia la tua parola, che hai rivolto al tuo servo Davide, mio padre! Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruito! Volgiti alla preghiera del tuo servo e alla sua supplica, Signore, mio Dio, per ascoltare il grido e la preghiera che il tuo servo oggi innalza davanti a te! Siano aperti i tuoi occhi notte e giorno verso questa casa, verso il luogo di cui hai detto: “Lì porrò il mio nome!”. Ascolta la preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo. Ascolta la supplica del tuo servo e del tuo popolo Israele, quando pregheranno in questo luogo. Ascoltali nel luogo della tua dimora, in cielo; ascolta e perdona!».

Finalmente si corona il sogno di Davide che aveva progettato di costruire un tempio magnifico, degno della gloria del Dio liberatore del suo popolo e liberatore della propria vita, pensa Davide, che sa di essere stato portato alla pienezza della gloria di re. Ma il Signore aveva rifiutato questo progetto dalle mani di Davide poiché le sue mani si erano macchiate del sangue dei suoi nemici. Davide ha raccolto, comunque, materiali, danaro e tesori ingenti ed ha comprato il terreno su cui sarebbe stato costruito il tempio del Signore (2Sam24,18-25). La costruzione iniziò al quarto anno del regno di Salomone, figlio di Davide, e fu terminata sette anni dopo (1Re 6,37-38). Nella liturgia, qui riportata in parte, si possono verificare due parti distinte celebrate dal re: un primo discorso che è insieme benedizione, ossia preghiera di ringraziamento e memoriale dei benefici offerti dal Signore stesso. E' il re l'unico officiante che prega, esorta e benedice. Sta svolgendo, come re, il grande compito del padre di famiglia del suo popolo. Nella riflessione interviene anche il messaggio di Dio, in prima persona, per cui il re è anche profeta, poiché parla a nome di Dio comunicando il suo pensiero. Salomone, facendo memoria del progetto del tempio pensato dal padre, giustifica lo sfarzo e le spese e, insieme, ricorda Dio come garante della sua elezione. Tra fratelli e prima ancora nell'harem di Davide si è sviluppata una sorda lotta di successione, vinta da Salomone, scelto tra i figli rimasti di Davide per volontà espressa di Davide ma preparata dalla madre di Salomone, Bersabea.
La seconda parte è, propriamente, la preghiera "davanti all'altare, di fronte a tutta l'assemblea, e con le mani stese verso il cielo", in piedi come fa sempre l'ebreo, consapevole della sua dignità di creatura fatta da Dio con il suo soffio vitale. La richiesta fondamentale a Dio è quella che il Signore continui ad essere fedele, mantenendo insieme "alleanza e benevolenza (o fedeltà)" che sono propri del Dio d'Israele. Seguono perciò i ricordi di ciò che Dio ha offerto, aggiungendovi quindi la richiesta di nuovi favori. Nel linguaggio ebraico si ricordano "la bocca e la mano": cioè la promessa e la potenza. Nella preghiera traspare, insistente, la richiesta della continuità nella storia della discendenza di Davide e, insieme, lo stupore che un Dio, incontenibile per la sua grandezza, possa essere presente in questo tempio.
Ma c'è la fiducia di trovarsi nel luogo della presenza, più che nel luogo del culto poiché nelle parole di Salomone il tempio è fondamentalmente luogo della preghiera. C'è la preghiera di intercessione per altri e c'è l'intercessione per ottenere il perdono.
La preghiera insiste su un verbo fondamentale per Israele; "Ascolta" (ripetuto 5 volte) e c'è la consapevolezza che la preghiera nel tempio arrivi a percorrere le strade impercorribili dei cieli fino alla dimora di Dio.

Prima lettera ai Corinzi. 3, 10-17
Fratelli, secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento a come costruisce. Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l’opera di ciascuno sarà ben visibile: infatti quel giorno la farà conoscere, perché con il fuoco si manifesterà, e il fuoco proverà la qualità dell’opera di ciascuno. Se l’opera, che uno costruì sul fondamento, resisterà, costui ne riceverà una ricompensa. Ma se l’opera di qualcuno finirà bruciata, quello sarà punito; tuttavia egli si salverà, però quasi passando attraverso il fuoco. Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.

Paolo richiama ai Corinzi la loro fragilità e superficialità: essi infatti continuano ad essere "carnali", o "neonati", senza maturità, capaci solo di bere latte e non capaci di mangiare cibo solido (3,1-2). Il segno di questa immaturità sono "l'invidia e la discordia" che sorgono nella comunità, divisa nel parteggiare per i diversi ministri del Vangelo, siano pure Paolo o Apollo. Utilizzando due immagini, una agricola ed una edilizia, Paolo vuole ricordare che cosa è da attribuire agli operai e che cosa è fondamentale in questa opera di rinnovamento e di rigenerazione. I predicatori del Vangelo sono "servitori, collaboratori" e assomigliano ai contadini che irrigano, piantano, dissodano la terra, seminano. Ma chi fa crescere è il Signore. L'altra immagine, quella edilizia, ripensa al valore insostituibile del fondamento. E Paolo non teme di dire che "secondo la grazia di Dio, che mi è stata data, come un saggio architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra" (3,10) e questo fondamento è Gesù. Su questo fondamento si costruisce, utilizzando diversi materiali. L'oro, l'argento e le pietre preziose indicano non tanto un materiale edilizio ma raffinati elementi che rendono preziosa la costruzione, e manifestano un buon lavoro, coscienzioso e responsabile a beneficio dei fedeli. Gli altri materiali, "legno, fieno e paglia", rappresentano un lavoro povero, fatto male e, probabilmente, per secondi fini. C'è una verifica e "il giorno del Signore" verrà a collaudare la solidità e la consistenza. Chi ha predicato il Vangelo, usando materiale di scarto, si salverà, ma come attraverso il fuoco, a fatica, poiché l'opera mal fatta risulterà inconsistente.
La Chiesa è perciò il tempio di Dio, il nuovo tempio in cui Gesù è presente, ed è costituita dall'assemblea dei credenti. Si passa così dalla costruzione sontuosa e splendida di architetture che costituivano il vanto di una nazione, vedi il tempio di Gerusalemme nel tempo in cui Paolo scrive, alla realtà viva di un popolo che veramente, nella propria fede, conosce e celebra la presenza di Dio tra noi. Questo è il vero e autentico tempio di Dio. Fare del male a questa assemblea è peggio che distruggere un tempio. Per il Signore è una offesa gravissima.















RICOSTRUZIONE DEL TEMPIO DI GERUSALEMME

 

Marco. 12, 41-44
In quel tempo. Seduto di fronte al tesoro, il Signore Gesù osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».
Gesù è nel tempio di Gerusalemme e sta insegnando (v38). Egli mette in guardia dalla mentalità e dalla operosità degli scribi. Non discute il loro compito né il loro ruolo nella comunità ebraica, ma il loro comportamento. Mostrano vanità ed ostentazione, pretendendo riverenza e privilegi, approfittano delle persone deboli e delle vedove "per divorare le loro case" e così inducono a costruire un mondo di furbi, si esibiscono in pratiche religiose impeccabili (12, 38-40). Gesù è seduto di fronte al grande cassone dove vengono versate le offerte dei fedeli. Sente che i suoi sono affascinati dal rumore scrosciante delle monete che qualche ricco ha portato, e coglie l'occasione di offrire un esempio rovesciato di vera religiosità, aiutando i suoi a penetrare nel cuore di ogni persona, senza restare alle emozioni esterne o alle impressioni. Così indica una povera vedova. Marco tiene a ricordare l'attenzione che Gesù mantiene circa la religiosità di alcune donne: la sconosciuta, che soffriva di emorragia, di nascosto, aveva toccato con fede il mantello di Gesù (Mc5,25); la sirofenicia si accontenta delle briciole che cadono dalla tavola del popolo di Dio ed ha commosso Gesù (Mc7,24-30); questa vedova offre tutto quello che ha; tra qualche giorno una donna offrirà il profumo in casa di Lazzaro a Betania (Mc 14,3). Gesù ha ammirazione per la gratuità e la discrezione di questa vedova che dona tutto, che non si esibisce, né si lamenta della sua povertà. Essa non fa parte del gruppo di Gesù e, probabilmente, non ha neppure sentito molto degli insegnamenti che Gesù ha offerto alle persone che lo hanno incontrato. Eppure Gesù la riconosce come una vera ospite del Regno, capace di scelte evangeliche poiché ha offerto, in modo totale, "tutto quello che aveva per vivere". Gesù spesso richiama la totalità e l'ha posta al vertice delle scelte che siamo incoraggiati a fare verso Dio. "Ama con tutto il cuore, tutta l'anima, tutta la mente e tutte le forze" (Mc12,30). E non a caso viene ricordato il numero 4 che corrisponde all'orizzonte del mondo. E con questo amore il nostro mondo deve potersi aprire anche al prossimo. Nel testo si contrappone il molto e il tutto; e si entra, qui, in una dimensione radicale da cui non ci si può liberare facilmente. Questa radice resterà comunque ad interrogarci anche quando altri potrebbero apprezzarci per ciò che diamo o per ciò che facciamo. La riflessione a cui Gesù vuol portare è anche il coraggio di saper vedere oltre le apparenze. Non è il tanto, il cumulo, l'abbondanza che conta agli occhi di Dio. A noi può sembrare una grande conquista, può rappresentare la soluzione di molti problemi e, probabilmente, con la quantità molto si decide. Ma agli occhi di Dio valgono, in particolare, l'interiorità e la pienezza del dono, a somiglianza di ciò che il Signore ha fatto. Egli ci ha dato il suo Figlio, ce lo ha consegnato nelle mani, non è intervenuto a castigare né lo ha sottratto dalle mani degli uccisori. Ha accettato di offrire fino in fondo la sua pienezza. E Gesù propone alla sua Chiesa questi stessi parametri e questi stessi cammini di maturazione