
DOMENICA CHE PRECEDE IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
27 agosto 2017 Marco 12, 13-17
Riferimenti : primo libro dei Maccabei 1, 10. 41-42; 2, 29-38 -
Salmo 118 - Efesini 6, 10-18 |
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Mi ha invaso il furore contro i malvagi che
abbandonano la tua legge. I lacci dei malvagi mi hanno avvolto:
non ho dimenticato la tua legge. Riscattami dall’oppressione
dell’uomo e osserverò i tuoi precetti. Si avvicinano quelli che
seguono il male: sono lontani dalla tua legge.
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primo libro dei Maccabei 1, 10.
41-42; 2, 29-38 In quei giorni. Uscì dagli
ufficiali di Alessandro una radice perversa,
Antìoco Epìfane, figlio del re Antìoco, che era
stato ostaggio a Roma, e cominciò a regnare
nell’anno centotrentasette del regno dei Greci.
Il re prescrisse in tutto il suo regno che tutti
formassero un solo popolo e ciascuno
abbandonasse le proprie usanze. Tutti i popoli
si adeguarono agli ordini del re. Allora molti
che ricercavano la giustizia e il diritto
scesero nel deserto, per stabilirvisi con i loro
figli, le loro mogli e il bestiame, perché si
erano inaspriti i mali sopra di loro. Fu
riferito agli uomini del re e alle milizie, che
stavano a Gerusalemme, nella Città di Davide,
che laggiù, in luoghi nascosti del deserto, si
erano raccolti uomini che avevano infranto
l’editto del re. Molti corsero a inseguirli, li
raggiunsero, si accamparono di fronte a loro e
si prepararono a dare battaglia in giorno di
sabato. Dicevano loro: «Ora basta! Uscite,
obbedite ai comandi del re e avrete salva la
vita». Ma quelli risposero: «Non usciremo, né
seguiremo gli ordini del re, profanando il
giorno del sabato». Quelli si precipitarono
all’assalto contro di loro. Ma essi non
risposero loro, né lanciarono pietre, né
ostruirono i nascondigli, dichiarando: «Moriamo
tutti nella nostra innocenza. Ci sono testimoni
il cielo e la terra che ci fate morire
ingiustamente». Così quelli si lanciarono contro
di loro in battaglia di sabato, ed essi morirono
con le mogli e i figli e il loro bestiame, in
numero di circa mille persone.
Con la resistenza ebraica, avvenuta nel II
secolo a.C., il popolo ebraico si solleva contro
la tirannia straniera che vuole sradicare la
tradizione religiosa del popolo e,
rimescolandolo con popolazioni pagane, lo vuole
obbligare a rifiutare la propria fedeltà al Dio
dell'Alleanza. Questa sollevazione di popolo ha
una sua origine squisitamente religiosa e prende
un titolo: "la rivolta dei Maccabei". Il nome
che qualifica i due libri trae origine dal
soprannome di Giuda, detto il Maccabeo (uomo
simile ad un "martello"), figlio di Mattatia che
ha avuto con Giuda altri quattro figli, tutti
coinvolti nella sollevazione in massa del
piccolo popolo d'Israele. I fatti si svolgono
negli anni che vanno dal 170 al 130 a. C.,
mentre la Palestina è dominata dai Seleucidi che
risalgono, con il loro potere, alla spartizione
dell'impero, conquistato da Alessandro Magno e
suddiviso tra i suoi generali alla sua morte,
avvenuta nel 323 a. C. L'ellenizzazione
(tentativo di introdurre la cultura greca) trova
il suo riferimento particolare nella costruzione
di un "Ginnasio" che, in ogni città greca, è il
centro della vita sportiva, intellettuale e
religiosa della gioventù. Può sembrare curioso,
ma gli esercizi sportivi che si svolgono con
atleti nudi, per via della circoncisione,
rendono ridicoli i giudei che sono sbeffeggiati
dai non giudei. Questo fa vergognare i giovani
che tendono a mascherare mentre le nuove
famiglie rinunciano per i propri figli alla
circoncisione. Si arriva così al ripudio della
"Alleanza con il Signore". Nel 174 a.C. il
governo viene assunto da Antioco IV Epifane
("incarnazione di Giove") che governa la Siria e
che vuole ellenizzare il popolo d'Israele. Nel
169 a.C Antioco entra con il suo esercito in
Gerusalemme e la saccheggia insieme con il
tempio, spogliandolo delle sue bellezze e
depredando tutto quello che potevano rubare. (1
Mac1,20 ss). Il popolo d'Israele, come in una
guerriglia partigiana, lotta contro quelle
truppe che la Siria invia per sottomettere e
vincere i rivoltosi. Il cuore di questa
resistenza attiva è la famiglia di Mattatia e
dei suoi cinque figli. Volendo costituire "un
solo popolo", Antioco vuole imporre un progetto
politico pericoloso mentre obbliga di
abbandonare le proprie tradizioni, soprattutto
religiose, e pretende di sottomettere il popolo
d'Israele alla mentalità straniera. In
particolare viene abbandonato il riposo del
sabato, sono accolti culti pagani (il tempio di
Gerusalemme è stato trasformato nel tempio di
Giove); sono proibiti e distrutti i libri sacri,
pena la morte per chi li possiede, si
incoraggiano unioni matrimoniali con i pagani.
Un gruppo, inizialmente si dà alla macchia.
Attaccato da un esercito siriano in giorno di
sabato, molti non si difendono e vengono
trucidati. Mattatia che è diventato, per
acclamazione, capo della rivolta, risolve il
problema in una decisione unanime, proclamando
la legittimità della difesa armata anche di
sabato e così viene espressa dalla scuola
farisaica: "Noi combatteremo contro chiunque
venga a darci battaglia anche in giorno di
sabato" (2,41). La storia insegna che non
esiste una vera libertà religiosa senza una
libertà civile e questa riflessione è stata
sperimentata nell'ultimo secolo. obbligando il
Concilio a ripensare profondamente ad una
verifica e ad un serio esame di coscienza,
proponendo e riflettendo molto mentre si è
discusso sullo schema della libertà religiosa.
Ci si ritrova a ripensare che il rispetto dei
diritti universali passa necessariamente per il
diritto alla libertà religiosa e vice versa. E
se non lo si percepisce, la dimensione religiosa
viene deformata, castrata, strumentalizzata e
soggetta ai diritti dei potenti. |
Efesini 6, 10-18 Fratelli,
rafforzatevi nel Signore e nel vigore della sua potenza.
Indossate l’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del
diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro la carne e il
sangue, ma contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori
di questo mondo tenebroso, contro gli spiriti del male che
abitano nelle regioni celesti. Prendete dunque l’armatura di
Dio, perché possiate resistere nel giorno cattivo e restare
saldi dopo aver superato tutte le prove. State saldi, dunque:
attorno ai fianchi, la verità; indosso, la corazza della
giustizia; i piedi, calzati e pronti a propagare il vangelo
della pace. Afferrate sempre lo scudo della fede, con il quale
potrete spegnere tutte le frecce infuocate del Maligno; prendete
anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la
parola di Dio. In ogni occasione, pregate con ogni sorta di
preghiere e di suppliche nello Spirito, e a questo scopo
vegliate con ogni perseveranza e supplica per tutti i santi. PdD
La lettera agli Efesini si conclude con il
capitolo 6 che stiamo leggendo in parte. Inizia con alcuni
riferimenti morali indirizzati ai figli, ai genitori, agli
schiavi ed ai padroni (6,1-9), prospettando un rapporto di
reciproca attenzione e comprensione che diventa fraternità nella
comunità cristiana che ha al centro Gesù. Ma Paolo si rende
conto che non è sufficiente il rapporto parentale o
istituzionale della società in cui si vive, dove il richiamo
morale ha un significato di responsabilità e di libertà e che
matura nel rispetto reciproco (e Paolo sintetizza tutto questo
come "lotta contro la carne e il sangue", a 11). Esiste
anche una lotta drammatica per "poter resistere alle insidie del
diavolo" (v 10). La lotta e la ricerca della fedeltà al Signore
portano ad infinite altre situazioni e occasioni che vanno
vissute con responsabilità, affrontando, nella fede, il bene e
il male, le potenze e la suggestione, la fatica e la solitudine,
lo sconforto e la sconfitta. Paolo sintetizza la vita cristiana
come fedeltà e testimonianza, sapendo che solo il Signore sa
offrirne la forza. La vita quotidiana è un combattimento di
fronte a cui bisogna attrezzarsi e per cui bisogna pregare. E
per armarsi, bisogna indossare l'armatura di Dio ( Nel Primo
Testamento si ricorda che Dio stesso si arma contro i suoi
nemici (cf.Is 11,4-5;59,16-18; "giustizia come corazza ed elmo
come salvezza";Sap 5,17-23). Paolo attribuisce queste armi
divine anche al cristiano. "Noi invece, che apparteniamo al
giorno, siamo sobri, vestiti con la corazza della fede e della
carità, e avendo come elmo la speranza della salvezza". (cf.1Ts
5,8). Ci sono anche "i Principati e le Potenze, contro cui
bisogna combattere. Sono i dominatori di questo mondo tenebroso,
sono gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti" (v
12). "Si tratta degli spiriti che, nell'opinione degli antichi,
governano gli astri e, per mezzo loro, tutto l'universo.
Risiedono «nei cieli» (1,20s;3,10;Fil 2,10) o «nell'aria» (2,2),
tra la terra e il soggiorno di Dio, e coincidono in parte con
ciò che Paolo chiama altrove gli «elementi del mondo» (Gal 4,3).
Sono stati infedeli a Dio e hanno voluto assoggettare gli uomini
nel peccato (2,2); ma Cristo è venuto a liberarci dalla loro
schiavitù. Armati della sua forza liberante, i cristiani possono
ormai lottare contro di essi. Affascinati dalla potenza e dalla
forza dell'esercito romano in assetto di guerra, vengono
trasposti sul cristiano le attrezzature e l'equipaggiamento di
difesa e di offesa del soldato romano, come esemplificazione di
valori e forze di Dio che combattono le potenze del male.
L'armatura di Dio, la cintura della verità, la corazza della
giustizia, le calzature, lo scudo, la spada e l'elmo completano
la garanzia di una difesa. Di fatto tutta l'armatura è difesa,
salvo la spada che però è la Parola nuova, offerta dallo
Spirito. La raccomandazione della preghiera, mentre mantiene
desta la coscienza della propria fragilità, continua a reggere
la fiducia di essere aiutati e comunica con il Signore in una
preghiera di intercessione "per tutti i santi" che sono i
fratelli della comunità, resi santi dal battesimo, ma sempre
bisognosi di sostegno e di fiducia.

Il "denarius" d'argento recante l'effige e il nome di Tiberio
Cesare Augusto |
Marco
12, 13-17 In quel tempo. I sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani
mandarono dal Signore Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo
nel discorso. Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e
non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma
insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a
Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?». Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia,
disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio
vederlo». Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e
l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro:
«Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E
rimasero ammirati di lui.
Nell'ultima settimana della sua vita, Gesù si ferma per molto tempo nel
tempio di Gerusalemme e utilizza tutte le ore del giorno a disposizione per
aiutare i pellegrini a maturare più profondamente il loro rapporto con Il
Signore. Non c'è infatti un luogo più adatto di questo per imparare e
scoprire il volto di Dio. E Gesù si presta alle diverse e spesso insidiose
domande che gli vengono fatte da persone di alta levatura intellettuale, ma
anche diffidenti e manifestamente nemici del suo messaggio religioso. Esso è
troppo scopertamente nuovo per la misericordia di Dio che viene proclamata e
che mette in crisi tutta l'impostazione di prestigio, di eccellenza e di
dignità ebraica che non può abbassarsi ai livelli di perdono e di accoglienza
che Gesù mostra e predica. Tanto più che, in quel modo, lede profondamente il
significato di giustizia e di privilegio che Dio ha sempre garantito ai
giusti. E tutti coloro che fanno domande sono nella categoria delle persone
fedeli al rispetto della legge, rigide e coerenti anche nel mondo quotidiano.
A Gesù viene proposto un quesito morale da parte di un gruppo di farisei
ed erodiani, pur mortalmente nemici tra loro. I primi ritengono una empietà
appoggiare l'occupazione romana e riscuotono la simpatia di tutto il popolo.
Gli erodiani sono sostenitori di Erode Antipa, un fantoccio mantenuto nella
sua regalità dall'imperatore Tiberio e, perciò, costituisce una fazione
collaborazionista dei romani. Si presentano, comunque a Gesù, insieme, per
l'occasione, sapendo che qualunque risposta sapesse offrire, avrebbe
scontentato o il popolo o l'autorità civile imperante. Questa prospettiva di
vittoria li rende alleati. Gesù scopre subito il tranello, soprattutto perché
ammantato di elogi e di rispetto per la sua persona, riconosciuto proprio da
loro come onesto, veritiero, grande maestro coraggioso e libero. "È lecito o
no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?». (v 14), L'accordo
tra parti nemiche ha un'unica e propria motivazione: far scadere la
credibilità del profeta, il quale, chiamato "maestro", deve rispondere. La
tassa fondamentale consiste nell'obbligo, per ogni persona, di dover pagare,
dai 12 anni (se donna) o 14 anni (se uomo), fino ai 65 anni all'erario romano
un danaro all'anno (testatico), equivalente ad una giornata di lavoro. Per
esigere questa tassa si sono fatti i censimenti, considerati, perciò,
strumenti di dominio, potenza e sfruttamento. Luca ricorda due censimenti, in
particolare: quello al tempo della nascita di Gesù (Lc 2,1-5) e la ribellione
di Giuda il Galileo per un censimento attorno agli anni 60 d.C. Gesù chiede a
loro una moneta (che non ha) ma che gli interlocutori trovano facilmente,
sotto gli abiti (non hanno tasche). Ma in tal modo mostrano che
disobbediscono alla legge poiché, nel tempio, una immagine umana scolpita,
anche se su una moneta, lo profana. Il danaro di Tiberio Cesare,
imperatore in quel momento, ha da un lato la rappresentazione dell'imperatore
di Roma e sul retro il titolo di Sommo Pontefice e l'immagine di una donna
seduta, simbolo della pace, forse Livia, madre di Tiberio. Se estraggono
la moneta, è perché la usano. Essi vengono pagati con questa moneta e al
mercato comprano e vendono con questa moneta. Anzi, proprio perché la
mostrano, fanno capire di non avere scrupoli di usarla, salvo il momento di
pagare le tasse. Ma a che cosa servono le tasse? La moneta è essenziale per
la ricchezza, il commercio, la stabilità e la sicurezza delle strade, la pace
che tutti godono. Allora "Voi pagate, per un bene che si può dichiarare "bene
comune", "restituendo" (questo è il vero significato del testo) a Cesare
quello che è opera dell'impero. Quindi, giustamente pagate le tasse per un
servizio che vi viene dato". Oggi, ancor più, sviluppandosi un impegno civico
verso le situazioni di bisogno e di indigenza, le tasse contribuiscono alle
spese dell'istruzione, della sanità, delle pensioni, dei trasporti, del bene
sociale, della sicurezza e della giustizia. Non c'è ragione per un'evasione
fiscale, salvo chiedere una onesta esazione e un serio controllo
dell'utilizzo del danaro pubblico. Resta tutto l'altro. "Restituite a Dio
quello che è di Dio". E di Dio è l'uomo, che porta l'immagine di Dio come la
moneta l'immagine dell'imperatore. E si restituisce a Dio, facendo la sua
volontà, offrendo amore a chi Dio ama, migliorando il mondo che il Signore ha
fatto con sapienza come dono, ricostruendo, operando, guarendo e perdonando.
Se sfrutti, se schiavizzi, se rifiuti, se strumentalizzi, se domini, non
restituisci a Dio la bellezza della sua creazione. Quando Paolo scrive ai
romani la sua lettera teologica, si sofferma anche con molta attenzione sul
comportamento corretto di cittadini esemplari. "(Rom 13,1-7). Ciascuno sia
sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c'è autorità se non da Dio:
quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all'autorità,
si oppone all'ordine stabilito da Dio che prevede ordine, responsabilità
reciproca e rispetto. L'anarchia getta nella disperazione i più deboli e
sviluppa violenza e oppressione. Il compito che viene richiamato con
responsabilità è quello di preoccuparsi del bene comune e il nostro tempo ha,
per fortuna, maturato la consapevolezza che lo Stato debba preoccuparsi delle
situazioni più difficili e più povere, insieme con la società civile, perché
sia riconosciuta per tutti la dignità di una vita decorosa. Anzi, lo sviluppo
dei rapporti e delle reciproche dipendenze tra stati e stati, popolazioni e
popolazioni, per un rapporto di responsabilità e di attenzione alle povertà,
impegna le nazioni più ricche a sostenere quelle più povere per una
fondamentale dignità e risposta alle esigenze fondamentali. Di questo debbono
preoccuparsi tutti, portando un contributo di solidarietà e di attenzione.
Questa è la premessa della pace. Ma la prima solidarietà è pagare le tasse e
fare in modo che tutti le paghino con coerenza, in una società che non
moltiplichi gli sprechi, che smantelli quel diffuso senso di illegalità e
quella prevalenza di interessi privati che rendono, la nostra società, una
realtà di furbi che sfrutta le ingenuità e le povertà dei deboli. Nella
società civile la comunità cristiana dove poter mostrare una lealtà ed una
passione tali da riesprimere, attraverso la propria operosità, il senso della
solidarietà e l'incoraggiamento al superamento della rassegnazione.
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