DOMENICA III DI PASQUA
30.04.2017
Giovanni 1, 29-34
Riferimenti : Atti degli Apostoli 19, 1b-7 - SALMO 106 - Ebrei 9, 11-15
Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre. Lo dicano quelli che il Signore ha riscattato, che ha riscattato dalla mano dell’oppressore e ha radunato da terre diverse. Ringrazino il Signore per il suo amore, per le sue meraviglie a favore degli uomini, perché ha saziato un animo assetato, un animo affamato ha ricolmato di bene.

Atti degli Apostoli 19, 1b-7
In quei giorni. Paolo, attraversate le regioni dell’altopiano, scese a Èfeso. Qui trovò alcuni discepoli e disse loro: «Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?». Gli risposero: «Non abbiamo nemmeno sentito dire che esista uno Spirito Santo». Ed egli disse: «Quale battesimo avete ricevuto?». «Il battesimo di Giovanni», risposero. Disse allora Paolo: «Giovanni battezzò con un battesimo di conversione, dicendo al popolo di credere in colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè in Gesù». Udito questo, si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù e, non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, discese su di loro lo Spirito Santo e si misero a parlare in lingue e a profetare. Erano in tutto circa dodici uomini.

Paolo, ormai, è nel pieno della sua missione, in viaggio oltre la Palestina. E' rimasto per molti mesi a Corinto e si sposta ora ad Efeso, una delle più grandi città dell'impero con una popolazione stimata di circa 300.000 abitanti. Come al solito, Paolo prende contatti con ebrei osservanti che però già conoscono Giovanni Battista. La domanda fondamentale che viene loro rivolta è sulla consapevolezza dell'esistenza e dei doni dello Spirito Santo "quando siete venuti alla fede". Essi riconoscono di non aver mai sentito parlare di Spirito Santo e quindi la dimensione della loro fede si ferma all'annuncio di Giovanni Battista. Questi aveva suscitato un infinito interesse sia tra gli ebrei residenti in Palestina e sia tra gli ebrei stranieri che spesso frequentavano le feste a Gerusalemme. Così, avendo fatto tesoro di tutto quello che avevano accolto, avevano intravisto nel messaggio di Giovanni sia l'incoraggiamento per un cambiamento e sia la novità del Messia per il tempo prossimo. Della predicazione di Giovanni Apollo, un giudeo di Alessandria, arrivato a Corinto, ne faceva motivo di vita e Luca, alcuni versetti prima, racconta il ministero sapiente che Apollo svolgeva presso i Giudei, insegnando la venuta di Gesù, il Messia atteso da Israele (18,28). Ma Luca, riportando questa testimonianza, precisa che Apollo parlava di Gesù sviluppando una riflessione sulle profezie dell'Antico Testamento ma della vita e della esperienza di Gesù Apollo sapeva ben poco, fermandosi egli al battesimo di Giovanni, poiché, di fatto Apollo non aveva conosciuto Gesù. Per completare allora una conoscenza successiva di ciò che era stato Gesù, si incaricarono Priscilla e Aquila, una coppia di coniugi cristiani e amici di Paolo, ad ascoltare Apollo,"poi lo presero con sé e gli esposero con maggiore accuratezza la via di Dio" (18 26). Il battesimo di Giovanni, dice Luca, è solo un ingresso nella conversione. E' quindi un cambio di mentalità per l'apertura all'attesa di Dio che manda il suo Messia. Segna un tempo di preparazione che attende l'incontro della fede con Gesù; e l'incontro avviene attraverso il battesimo, nel nome del Signore che invia il suo Spirito e che produce nella comunità dei credenti un cambiamento nuovo e fondamentale. Infatti apre:
- alla conoscenza di Gesù come ricchezza di speranza per tutti (la profezia), l
- a nuove espressioni di linguaggi che possono raggiungere più popolazioni (lingue che non delimitano la fede ma la propongono come una ricchezza universale per tutti),
- a una nuova comunità che si esprime in una più profonda comunione (espressa, in questo caso, in un numero simbolico, qui 12 uomini). Si scopre così che la fede di Gesù non è semplicemente un richiamo alla serietà personale, ad un comportamento corretto e coerente come spesso viene tradotto il comportamento cristiano ancora oggi, ma è molto di più. Si apre ad una nuova speranza perché tutti ipopoli possano conoscere il Salvatore, l'amore di Dio per noi. L'esperienza umana di Gesù non è solo onestà di fondo ma presenza di Dio tra noi, un paradigma per ogni credente nel tempo e nello spazio. Il richiamo allo Spirito, ripreso fortemente nel Concilio Vaticano secondo, dovrebbe aiutarci a ripensare più profondamente al cammino delle nostre comunità, preoccupati di andare, con l'attenzione, oltre ad una morale individuale.

Ebrei 9, 11-15
Fratelli, Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo, cioè non appartenente a questa creazione. Egli entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna. Infatti, se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo – il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente? Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa.

L'autore biblico volle impostare, in questo testo, il significato di Gesù e il suo sacerdozio in rapporto di comunione tra noi e Dio, affrontando il problema del peccato, dell'espiazione, della conversione del cuore, dell'accoglienza di Dio. Nelle religioni pagane l'espiazione doveva avvenire attraverso offerte e sacrifici per
placare la divinità. Nell'Ebraismo il significato dell'espiazione non era tanto quello di placare un Dio adirato ma quello di ricostruire la possibilità di un rapporto. Dio non si scaglia contro il suo popolo, ma è l'uomo infedele che deve convertirsi per ritornare alla vita attraverso un cambiamento interiore e di azioni fedeli. Il mondo ebraico esprimeva questa esigenza attraverso lo "Yom Kippur:" una giornata interamente dedicata alla preghiera, al digiuno, alla Parola di Dio e ai riti espiatori. Così nel tempio il sommo sacerdote, entrando nel "Santo dei santi" (la parte più interna e inaccessibile del tempio), un'unica volta all'anno, aspergeva col sangue anche il luogo di Dio come aveva fatto al Sinai sul coperchio dell'arca, indicando questa comunione con Dio e il suo popolo: il sangue infatti era ritenuto la sede della vita e quindi, asperso sul popolo e sull'arca, crea legame e comunione. In questo testo, facendo riferimento al giorno dello "Yom Kippur" viene ricordato Cristo e il parallelismo diventa facile: - Gesù è sommo sacerdote, non ha bisogno di chiedere perdono per sé perché la sua offerta è pura,
- offre il suo sangue innocente, - entra nel tempio di Dio che è il cielo. Così la comunità cristiana sa di non aver più bisogno del sangue degli animali per chiedere perdono, ma celebra l'Eucarestia, la grande offerta di Gesù, riproposta tra noi, che ristabilisce questo contatto profondo tra la comunità credente e il Padre stesso, nel Figlio attraverso lo Spirito.


Il monte della Quarantema , a 4 km da Gerico, ove Gesù si ritirò in preghiera prima di iniziare la predicazione.

 

Giovanni 1, 29-34
In quel tempo. Giovanni, vedendo il Signore Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».
Giovanni, vedendo Gesù venirgli incontro, dice: Ecco l'agnello di Dio. Parole diventate così consuete nelle nostre liturgie che quasi non sentiamo più il loro significato. Un agnello non può fare paura, non ha nessun potere, è inerme, rappresenta il Dio mite e umile (se ti incute paura, stai sicuro che non è il Dio vero). Ecco l'agnello che toglie il peccato del mondo, che rende più vera la vita di tutti attraverso lo scandalo della mitezza. Gesù-agnello, identificato con l'animale dei sacrifici, introduce qualcosa che capovolge e rivoluziona il volto di Dio: il Signore non chiede più sacrifici all'uomo, ma sacrifica se stesso; non pretende la tua vita, offre la sua; non spezza nessuno, spezza se stesso; non prende niente, dona tutto. Facciamo attenzione al volto di Dio che ci portiamo nel cuore: è come uno specchio, e guardandolo capiamo qual è il nostro volto. Questo specchio va ripulito ogni giorno, alla luce della vita di Gesù. Perché se ci sbagliamo su Dio, poi ci sbagliamo su tutto, sulla vita e sulla morte, sul bene e sul male, sulla storia e su noi stessi. Ecco l'agnello che toglie il peccato del mondo. Non «i peccati», al plurale, ma «il peccato» al singolare; non i singoli atti sbagliati che continueranno a ferirci, ma una condizione, una struttura profonda della cultura umana, fatta di violenza e di accecamento, una logica distruttiva, di morte. In una parola, il disamore. Che ci minaccia tutti, che è assenza di amore, incapacità di amare bene, chiusure, fratture, vite spente. Gesù, che sapeva amare come nessuno, è il guaritore del disamore. Egli conclude la parabola del Buon Samaritano con parole di luce: fai questo e avrai la vita. Vuoi vivere davvero? Produci amore. Immettilo nel mondo, fallo scorrere... E diventerai anche tu un guaritore del disamore. Noi, i discepoli, siamo coloro che seguono l'agnello (Ap 14,4). Se questo seguire lo intendiamo in un'ottica sacrificale, il cristianesimo diventa immolazione, diminuzione, sofferenza. Ma se capiamo che la vera imitazione di Gesù è amare quelli che lui amava, desiderare ciò che lui desiderava, rifiutare ciò che lui rifiutava, toccare quelli che lui toccava e come lui li toccava, con la sua delicatezza, concretezza, amorevolezza, e non avere paura, e non fare paura, e liberare dalla paura, allora sì lo seguiamo davvero, impegnati con lui a togliere via il peccato del mondo, a togliere respiro e terreno al male, ad opporci alla logica sbagliata del mondo, a guarirlo dal disamore che lo intristisce. Ecco vi mando come agnelli... vi mando a togliere, con mitezza, il male: braccia aperte donate da Dio al mondo, braccia di un Dio agnello, inerme eppure più forte di ogni Erode.